CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 marzo 2019, n. 7061
Licenziamento – Cessione del ramo d’azienda in crisi – Invalidità degli accordi sindacali – Mancata applicazione dei criteri di scelta legali
Rilevato
che con sentenza del 14 agosto 2014, la Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello proposto da A.B., S.B., M.C., G.G. e M.P. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva rigettato le domande di accertamento di illegittimità dei licenziamenti loro intimati il 23 dicembre 2010 in ragione dell’invalidità degli accordi sindacali del 29 giugno 2009 e 6 luglio 2009, aventi ad oggetto la cessione del ramo d’azienda in crisi da D. s.p.a. in liquidazione in concordato preventivo (cui era stata ammessa il 30 giugno 2009), ora D.U. s.r.l. in liquidazione, a D.S. s.r.l. e di conseguente continuità del rapporto lavorativo con la cessionaria ai sensi dell’art. 2112 c.c.;
che avverso tale sentenza i lavoratori ricorrevano per cassazione con tredici motivi, cui le due società resistevano con distinti controricorsi; il P.G. comunicava le sue conclusioni scritte a norma dell’art. 380 bis1 c.p.c.; le società comunicavano memoria ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c. (e l’avv. P.F. rinunciava alla procura alle liti ricevuta da D.U. s.r.l. in liquidazione), mentre i primi comunicavano memoria tardiva e pertanto inammissibile;
Considerato
che le parti ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione degli artt. 12 prel. c.c. e 5 I. 223/1991, per mancata applicazione in via estensiva alla fattispecie dei criteri di scelta legali (in assenza di altri pattuiti in sede sindacale), per simiglianza o comunque analogia di materia, in esito alla valutazione del materiale probatorio e segnatamente della circostanza, una volta ceduto il ramo d’azienda tra le società, del licenziamento di tutti i lavoratori non trasferiti (primo motivo); omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, artt. 12 prel. c.c. e 5 I. 223/1991, in relazione alla collocazione in mobilità, alla scadenza dei periodi di cassa integrazione successivi alla cessione del ramo d’azienda, di tutti i lavoratori non trasferiti dalla cedente (come da clausola dell’accordo sindacale del 6 luglio 2009 e pure risultante da quello del 29 giugno 2009), della quale era prevista la cessazione dell’attività produttiva (secondo motivo); omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, artt. 1175, 1176 c.c. e 5 I. 223/1991, in riferimento all’applicazione dei criteri previsti dall’5 I. 223/1991 in conformità ai canoni di buona fede (terzo motivo); nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 c.p.c., 1175, 1176 c.c., 5 I. 223/1991 alla stregua di error in procedendo, per omesso esame della domanda basata sull’allegazione di applicazione dei criteri previsti dall’ultima norma denunciata alla stregua di un comportamento conforme a correttezza e buona fede (quarto motivo);
nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 1175, 1176 c.c., 5 I. 223/1991 alla stregua di error in procedendo, per omessa motivazione del rigetto dell’eccezione di applicazione dei criteri previsti dall’ultima norma denunciata alla stregua di un comportamento conforme a correttezza e buona fede (quinto motivo); violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 2112, in particolare quinto comma c.c., per omesso esame dell’eccezione di anteriorità della stipulazione del contratto di affitto (il 7 luglio 2009), da qualificare cessione, di ramo d’azienda rispetto al decreto (del 26 ottobre 2009) di omologazione del concordato preventivo, in violazione del verbale di accordo sindacale del 29 giugno 2009, ai sensi dell’art. 47, quinto comma I. 428/1990 (sesto motivo); violazione o falsa applicazione degli artt. 2112 c.c. e 47, quinto comma I. 428/1990, per validità erroneamente ritenuta degli accordi sindacali del 29 giugno e 6 luglio 2009, ai sensi dell’art. 47, quinto comma I. 428/1990, nonostante l’anteriorità del trasferimento di azienda, in forma di affitto (il 7 luglio 2009), rispetto al decreto (del 26 ottobre 2009) di omologazione del concordato preventivo (settimo motivo); omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, quale la prescrizione, nell’accordo sindacale del 29 giugno 2009, della sussistenza dell’omologazione del concordato preventivo alla data di trasferimento d’azienda del 7 luglio 2009 (ottavo motivo);
nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. alla stregua di error in procedendo, per omesso esame della previsione, nell’accordo sindacale del 29 giugno 2009, della sussistenza dell’omologazione del concordato preventivo alla data di trasferimento d’azienda del 7 luglio 2009 (nono motivo); nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 1175, 1176 c.c., 5 I. 223/1991 alla stregua di error in procedendo, per omessa motivazione del rigetto dell’eccezione di mancato rispetto della prescrizione dell’accordo sindacale del 29 giugno 2009 di anteriorità del decreto di omologazione del concordato preventivo alla cessione di azienda (decimo motivo); omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, quale la natura frodatoria dei due atti di trasferimento del ramo d’azienda (undicesimo motivo); nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. alla stregua di error in procedendo, per omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della nullità, o comunque dell’invalidità, illegittimità o inefficacia dei due verbali di accordo sindacale del 29 giugno e 6 luglio 2009, per la loro natura frodatoria delle ragioni dei lavoratori in violazione della disciplina dell’art. 2112 c.c. e delle leggi 223/1991 e 300/1970 (dodicesimo motivo); nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 1175, 1176 c.c., 5 I. 223/1991 alla stregua di error in procedendo, per omessa motivazione del rigetto dell’eccezione relativa alla natura frodatoria della complessiva operazione in danno dei lavoratori ricorrenti (tredicesimo motivo);
che il collegio ritiene che il primo motivo sia inammissibile;
che esso difetta di specificità, in assenza di alcuna confutazione della giustificazione argomentata della Corte territoriale alla base della ritenuta inapplicabilità nel caso di specie dei criteri di scelta (per le ragioni esposte all’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza), per la mera reiterazione della tesi difensiva già disattesa, in violazione del principio prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959);
che peraltro essa è conforme ai principi di diritto in materia, secondo cui in caso di trasferimento di imprese assoggettate a procedura concorsuale o di rami di esse, l’art. 47, quinto comma l. 428/1990, ha previsto ampia facoltà, per l’impresa subentrante, di concordare condizioni contrattuali per l’assunzione ex novo dei lavoratori, in deroga a quanto dettato dall’art. 2112 c.c. nonché la possibilità di escludere parte del personale eccedentario dal passaggio, in quanto tale derogabilità, laddove prevista dall’accordo sindacale, anche se peggiorativa del trattamento dei lavoratori, si giustifica con lo scopo di conservare i livelli occupazionali: con la conseguenza che i principi dettati dagli artt. 4 ss. della I. 223/1991, e in particolare quelli relativi alla obbligatoria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e delle modalità di applicazione di tali criteri, non si estendono analogicamente alla fattispecie disciplinata dall’art. 47 citato, per la differente ratio dei due istituti e l’assoluta diversità di disciplina (Cass. 19 gennaio 2018, n. 1383);
che il secondo motivo è infondato;
che non è stato omesso l’esame del fatto oggetto di doglianza, essendo anzi la circostanza della collocazione in mobilità, alla scadenza dei periodi di cassa integrazione successivi alla cessione del ramo d’azienda, di tutti i lavoratori non trasferiti dalla cedente stata riportata nell’esposizione delle ragioni della decisione del Tribunale (all’ultimo capoverso di pg. 7 della sentenza) ed esaminata nel senso (lungi dalla sua decisività, piuttosto) della sua infondatezza (all’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza);
che il terzo motivo è inammissibile;
che la deduzione della (non) conformità ai canoni di buona fede dell’applicazione dei criteri previsti dall’art. 5 l. 223/1991 non costituisce un fatto storico (che è stato comunque esaminato dalla Corte territoriale), come esplicitamente previsto dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., che ad esso ha rigorosamente circoscritto l’ambito devolutivo del vizio motivo (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), quanto piuttosto una valutazione giuridica, pure congruamente argomentata, operata dalla Corte nel senso dell’irrilevanza avendo ritenuto l’inapplicabilità di tali criteri (all’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza);
che il quarto e il quinto motivo, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
che non sussiste il vizio di error in procedendo per omessa pronuncia denunciato, ricorrente quando sia mancata qualsiasi decisione su un capo di domanda, da intendere quale richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, su ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica sulla quale debba essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. 16 maggio 2012, n. 7653; Cass. 27 novembre 2017, n. 28308; Cass. 16 luglio 2018, n. 18797): avendo la Corte espressamente pronunciato, nel senso dell’inapplicabilità dei criteri infondatamente invocati nel caso di specie (all’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza);
che il sesto e il settimo motivo, pure congiuntamente esaminabili, sono infondati;
che occorre premettere come le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale ad ulteriore sostegno della piena legittimazione dell’operazione di cessione, previo affitto, del ramo d’azienda tra le due società controricorrenti (dal penultimo capoverso di pg. 13 al primo di pg. 15 della sentenza), assolutamente condivisibili per la loro esattezza, non siano state punto confutate dai ricorrenti: con evidenti, sia pur marginali, riflessi di inammissibilità, per difetto di specificità, in violazione della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c.;
che giova preliminarmente distinguere l’affitto (che è trasferimento temporaneo di titolarità e disponibilità, in previsione programmata della sua retrocessione) dalla cessione (del ramo) d’azienda (che ne attua invece la definitiva allocazione ad un diverso soggetto) e sottolineare la finalità essenzialmente conservativa del primo istituto, nell’ambito di una procedura concorsuale di tipo liquidatorio (fallimento e concordato preventivo con cessione di beni, come appunto quello in esame), del valore d’avviamento in funzione della più vantaggiosa collocazione del compendio aziendale sul mercato, per la realizzazione del migliore interesse dei creditori: particolarmente incentivata dalla novellazione della disciplina fallimentare per effetto del d.Ig. 5/2006, del d.Ig. 169/07 e succ. mod., in virtù dell’adozione di più flessibili, efficienti e tempestive modalità di vendita, ispirate a criteri competitivi (artt. 104bis, 104ter, 105, 107 e 182 I.fall.);
che ogni fase dell’operazione di trasferimento del ramo d’azienda è stata compiuta in piena aderenza agli accordi sindacali stipulati il 29 giugno 2009 e il 6 luglio 2007, nell’ambito di un concordato preventivo liquidatorio fondato sul presupposto di una “grave crisi”: indubbiamente integrato dallo “stato di crisi”, nel quale si trova l’imprenditore che ad esso sia ammesso, in quanto nozione inclusiva anche dello stato d’insolvenza (art. 160, primo e ultimo comma I. fall.);
che, infatti, la stipulazione del contratto di affitto d’azienda è avvenuta il 7 luglio 2009, dopo l’ammissione della cedente (al contrario invece dell’ipotesi scrutinata da: Cass. 16 maggio 2002, n. 7120) alla procedura di concordato preventivo (il 30 giugno 2009) e previa autorizzazione del giudice delegato (il 3 luglio 2009), come risultante dalla relazione del commissario giudiziale ai sensi dell’art. 172 I. fall. (nella trascrizione al primo periodo di pg. 64 del ricorso); mentre la successiva cessione del ramo il 26 gennaio 2010, e quindi dopo l’omologazione del concordato preventivo il 26 ottobre 2009;
che la normativa applicata e la tempistica osservata sono assolutamente rispettose della previsione dell’art. 5 della Direttiva 2001/03/CE e in particolare del suo terzo comma (“Uno Stato membro ha facoltà di applicare il par. 2, lett. b)” , ossia di modificare, nei trasferimenti di azienda, le condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa, “a trasferimenti in cui il cedente sia in una situazione di grave crisi economica quale definita dal diritto nazionale, purchè tale situazione sia dichiarata da un’autorità pubblica competente e sia aperta al controllo giudiziario”), così come interpretata dalla giurisprudenza eurounitaria (Corte Giust. UE 11 giugno 2009, causa C – 561/07, CEE c. Repubblica Italiana, p.ti da 42 a 51);
che anche l’affitto d’azienda (richiamata la superiore distinzione dalla cessione) è stato comunque stipulato dopo l’apertura della procedura concorsuale liquidatoria e previa autorizzazione del giudice ad essa delegato, ai sensi dell’art. 167, secondo comma I. fall.: secondo il regime previsto di gestione degli atti di straordinaria amministrazione, quale è indubbiamente il contratto di affitto di ramo d’azienda in parola;
che l’ottavo, il nono e il decimo motivo, congiuntamente esaminabili, sono anch’essi infondati;
che, a parte i profili di inammissibilità, per l’incongrua deduzione dei vizi di omesso esame di un fatto decisivo e di omessa motivazione alla stregua di errores in procedendo (nono e decimo motivo), in ogni caso neppure configurabili alla luce del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), la circostanza, comune a tutti i motivi, della prescrizione, nell’accordo sindacale del 29 giugno 2009, di sussistenza dell’omologazione del concordato preventivo alla data di trasferimento d’azienda del 7 luglio 2009, è stata comunque esaminata e debitamente valutata dalla Corte territoriale (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 11 al primo di pg. 12 della sentenza);
che infine l’undicesimo, il dodicesimo e il tredicesimo motivo, anch’essi congiuntamente esaminabili, sono parimenti infondati;
che non sussistono i vizi denunciati nella verificata inesistenza, per le ragioni già illustrate, di omissioni né di esame di alcun fatto storico (tanto meno decisivo), né di pronuncia, né di motivazione, per la ritenuta legittimità, con piena consapevolezza e argomentata giustificazione, degli accordi sindacali censurati (anche) come in frode alla legge, già ravvisata dal primo giudice (così al primo capoverso di pg. 7 della sentenza): e ciò, in quanto presupposto del ragionamento argomentativo svolto dalla Corte territoriale, a fondamento della validazione dell’operazione di trasferimento di ramo d’azienda in ambito concorsuale, nel rispetto dei suddetti accordi, stipulati in conformità alle previsioni di legge in materia;
che pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza;
che ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato per entrambi i ricorsi come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i lavoratori alla rifusione, in favore delle due parti controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in favore di ciascuna in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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