CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 marzo 2021, n. 7079
Riliquidazione del trattamento pensionistico integrativo degli ex dirigenti – Indennità di funzione e di posizione – Cumulabilità
Rilevato che
1. E.S., vedova di G.L., già dirigente superiore dell’I., in quiescenza dal 10.7.1972 e deceduto il 29.1.1998, adì il Tribunale di Roma per chiedere la condanna dell’INPS alla ricostituzione del trattamento pensionistico del de cuius e del proprio, di reversibilità, con il computo della quota A della indennità di funzione introdotta con la L. n. 88 del 1989, art. 13. La domanda si fondava sugli artt. 5 e 30 del regolamento di previdenza I.
1.1. Il Tribunale rigettò la domanda ritenendo prescritto il diritto azionato.
La Corte di Appello di Roma, su appello della pensionata, con sentenza del 22 dicembre 2004, rigettò l’eccezione di prescrizione ma ritenne infondata nel merito la domanda, sul presupposto che l’indennità di funzione fosse subordinata all’effettivo esercizio della prestazione, circostanza quest’ultima non ricorrente nel caso di specie.
1.2. La ricorrente propose ricorso per cassazione. Questa Corte, con sentenza pubblicata in data 21/4/2008, n. 10322, accolse il ricorso sulla base del seguente principio di diritto: «Il regolamento di previdenza 3 ottobre 1969 del disciolto Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie, che, in base al rinvio contenuto nel D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 75, regola l’erogazione in favore del personale già appartenente a detto ente dei trattamenti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, tramite la gestione speciale ad esaurimento costituita presso l’INPS, attribuisce nell’art. 30 al dipendente collocato a riposo il diritto alla riliquidazione della pensione in relazione alle variazioni nella retribuzione pensionabile del personale in servizio che siano frutto di provvedimenti di carattere generale, disponendo che ai fini di tale riliquidazione venga assunta come base la “nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui l’impiegato si trovava all’atto della cessazione dal servizio”. Pertanto, tenuto conto del trasferimento all’INPS di una parte del personale ex I., disposto in via definitiva dalla L. 29 febbraio 1980, art. 24 quater, di conversione del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663 (…), ai dipendenti dell’I. collocati in pensione prima dello scioglimento dell’ente spetta, ai fini del sistema perequativo di cui al cit. art. 30 del Regolamento, il trattamento dei loro parigrado in servizio presso l’INPS, con l’ulteriore conseguenza che, nel caso di dipendenti con qualifica dirigenziale al momento del collocamento in quiescenza, deve tenersi conto nella riliquidazione del trattamento, della quota di indennità di funzione attribuita ai dirigenti INPS dal Comitato esecutivo di detto ente, in base alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 13, comma 4, qualora si tratti (come nella specie) di quota fissa e continuativa per tutti i dirigenti sulla base del solo possesso della relativa qualifica, e subordinata, per il personale in servizio, al solo effettivo esercizio delle funzioni, senza alcun ulteriore requisito di carattere soggettivo”».
1.3. La Corte quindi rinviò alla Corte d’appello di Roma che, con sentenza pubblicata in data 21/4/2009, n. 6624, dichiarò il diritto della ricorrente all’indennità di funzione, già spettante al coniuge deceduto, liquidata ai dirigenti Inps in servizio ex art. 13 L. n. 88/1989 e secondo le modalità di attuazione di cui alla delibera Inps n. 740/1990 e con decorrenza dal 1/7/1990; condannò pertanto l’Inps alla ricostituzione del trattamento pensionistico integrativo diretto e poi reversibile ai sensi dell’art. 30 del Regolamento I. e con decorrenza dal 1/7/1990, oltre interessi; ritenne invece preclusa la richiesta di quantificazione delle somme dovute, in quanto domanda nuova avendo l’originaria ricorrente nei pregressi gradi del giudizio formulato solo una domanda di condanna generica.
1.4. In forza di questa sentenza, E.L., quale erede di E.S., ha agito in via esecutiva con atto di pignoramento presso terzi che è stato opposto dall’Inps; il giudice dell’esecuzione ha sospeso l’esecuzione e, ritenendo che il dispositivo della sentenza fosse di mero accertamento, ha assegnato alle parti termine per riassumere il giudizio di merito davanti al Tribunale di Roma.
1.5. Il giudizio è stato così riassunto da E.L. e il Tribunale, dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio, ha accolto la domanda e ha condannato l’Inps al pagamento di € 92.138,00 a titolo di arretrati di indennità di funzione in favore di G.L. e di E.S.
1.6. La sentenza è stata appellata dall’Inps e la Corte d’appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, pubblicata in data 20/12/2017, n.4383, ha rigettato l’impugnazione.
A fondamento della sua decisione ha ritenuto che l’unico motivo di appello dell’Inps – secondo cui nulla era dovuto agli eredi del L., F. e C.F. (essendo nel frattempo deceduta E.L.), avendo già provveduto al pagamento di quanto dovuto dal momento che, dal 1 gennaio 1996, per effetto della legge n. 334/1997, l’indennità di funzione era rimasta assorbita nell’indennità di posizione -, costituiva questione nuova, tardivamente proposta: essa, invero, afferendo alla concreta quantificazione della pretesa già accolta nell’an debeatur con pronuncia ormai passata in giudicato, avrebbe dovuto essere proposta, al più tardi, in sede di giudizio di rinvio dalla Cassazione, vale a dire nel corso del giudizio poi definito dalla stessa Corte d’appello con la sentenza n. 6624/2009. Già in quella sede, infatti, l’Inps avrebbe dovuto eccepire la non cumulabilità fra i due elementi, con la conseguenza che, sul punto, la questione, non dedotta ma deducibile, era ormai coperta dal giudicato.
1.7. Contro la sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione fondato su un unico motivo, al quale resistono con controricorso C. e F.F., quali eredi di E.L., a sua volta erede di E.S.
La proposta del relatore, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, è stata notificata alle parti costituite.
In prossimità dell’adunanza i controricorrenti hanno depositato memoria.
Considerato che
1. con l’unico motivo di ricorso l’Inps denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 392 cod.proc.civ., 2909 cod.civ., 345 cod.proc.civ., art. 1, comma 2, L. 334/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod.proc.civ.: assume che il giudizio definitosi con la sentenza n. 6624/2009 aveva solo accertato l’an del diritto e aveva espressamente dichiarato inammissibile, perché nuova, la domanda della S. volta ad ottenere la quantificazione del credito; stante i limiti segnati dalla domanda, volta al solo accertamento e non anche alla quantificazione del credito, nessuna eccezione era tenuto a sollevare esso ricorrente in merito alla non cumulabilità dell’indennità di funzione con l’indennità di posizione per i periodi successivi all’1/1/1996.
2. Il motivo è fondato.
È opportuno premettere che, in tema di giudicato interno, la S.C. non è vincolata all’ interpretazione compiuta dal giudice di appello, ma ha il potere-dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello, con conseguente preclusione di ogni esame della stessa (Cass. 15/03/2019, n. 7499; Cass. 21/07/2003, n. 11322).
2.1. Dalla ricostruzione dei fatti di causa, compiutamente esposti nel ricorso per cassazione nel rispetto del principio di autosufficienza e desumibili dalle sentenze depositate dal ricorrente in questa sede, si evince che nessun giudicato può essersi formato sulla eccezione sollevata dall’Inps nel giudizio seguito alla opposizione all’esecuzione e avente ad oggetto la non cumulabilità dell’indennità di funzione con l’indennità di posizione, secondo quanto disposto dalla L. 337/1997.
2.2. Il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 10322/2008, di cui la Corte d’appello di Roma ha fatto applicazione nella sentenza n. 6624/2009, pur riconoscendo il diritto dell’erede alla riliquidazione della pensione diretta e di reversibilità spettanti ai danti causa sulla base della nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui l’impiegato si trovava all’atto della cessazione del servizio, non contiene alcuna regola in ordine alla sua esatta quantificazione e, tanto meno, statuisce in merito ai criteri legali desumibili dalla legge n. 1997, n. 334 (enunciati in Cass. 26/4/2013, n. 10080, e in Cass. 11788/2012, secondo cui «Ai fini della riliquidazione del trattamento pensionistico integrativo degli ex dirigenti dell’I., ai sensi dell’art. 30 del Regolamento interno di previdenza, l’indennità di posizione di cui all’art. 1 della legge n. 334 del 1997 non è cumulabile con la quota A dell’indennità di funzione di cui all’art. 13 della legge n. 88 del 1989, fatto salvo il trattamento di miglior favore»).
2.3. La stessa Corte d’appello, in sede di rinvio, con sentenza passata in cosa giudicata, ha affermato che la domanda dell’attrice era limitata all’an debeatur e che era pertanto inammissibile, siccome nuova, la domanda avente ad oggetto la condanna dell’Inps al pagamento di una somma determinata.
Tale affermazione, in quanto coperta dal giudicato, non può più essere contestata in questa sede, sicché inammissibili si palesano le difese degli odierni controricorrenti secondo, cui il giudizio conclusosi con la sentenza n. 6624 del 2009 aveva ad oggetto anche il quantum debeatur.
2.4. Lo stesso apprezzamento è stato inoltre compiuto dal giudice dell’esecuzione, investito dall’Inps dell’opposizione contro il pignoramento presso terzi avviato dalla L., il quale ha ritenuto di mero accertamento e, pertanto, non immediatamente eseguibile la sentenza della Corte d’appello n. 6624/2009, sospendendo così l’esecuzione e assegnando alla parte un termine per l’introduzione del giudizio di merito volto alla quantificazione del credito.
3. A fronte di questo quadro processuale l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui la questione della non cumulabilità dell’indennità di funzione con l’indennità di posizione ai sensi della legge del 1997, n. 334 avrebbe dovuto essere proposta dall’Inps al più tardi nel giudizio di rinvio, è errata.
Il giudicato, come si è detto, è sceso solo sul diritto degli eredi all’indennità di funzione, collegata al mero possesso della qualifica dirigenziale al momento della cessazione dal servizio del de cuius, senza che fosse necessaria la ricorrenza di ulteriori requisiti di natura soggettiva, come l’effettivo esercizio delle funzioni.
Nessun contraddittorio si è svolto tra le parti in ordine ai requisiti di concreta erogabilità della prestazione, in dipendenza di altri fattori quali, in particolare, la titolarità dell’indennità di posizione e la sua inclusione nella base di calcolo del trattamento pensionistico.
Che si tratti di due prestazioni diverse è ben descritto nel precedente richiamato (Cass. n.11788/2012), in cui si delineano le peculiarità e le funzioni delle due indennità.
Sotto questo profilo, la Corte, con la sentenza citata, ha specificato che entrambe mirano a retribuire lo svolgimento di funzioni dirigenziali, nell’intento del legislatore di procedere ad un riequilibrio retributivo.
L’indennità di posizione di cui alla L. n. 334 del 1997, come riconosciuto dalla Corte costituzionale (ordinanza 9 maggio 2003, n. 162), armonizza il trattamento economico dei dirigenti generali, inizialmente non interessati dalla privatizzazione del rapporto di lavoro con il trattamento previsto per la dirigenza “contrattualizzata” dal CCNL relativo al biennio 1996-1997.
Essa esprime una “rivalutazione retribuiva” (e, per questo, viene espressamente ribadito che si tratta di un’anticipazione sul futuro assetto retributivo) resa necessaria “anche in considerazione del livello retributivo che può risultare talvolta più elevato di quello dei dirigenti generali, stabilito a favore dei dirigenti statali e degli enti pubblici non economici dai rispettivi contratti collettivi”.
Sia l’indennità di posizione che l’indennità di funzione mirano a retribuire lo svolgimento di funzioni dirigenziali, sicché appare coerente con la previsione normativa il principio di diritto enunciato dalla Corte, secondo cui «Ai fini della riliquidazione del trattamento pensionistico integrativo degli ex dirigenti dell’I., ai sensi dell’art. 30 del Regolamento interno di previdenza, l’indennità di posizione di cui alla L. n. 334 del 1997, art. 1, non è cumulabile con la quota A dell’indennità di funzione di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 13, fatto salvo il trattamento di miglior favore.».
Queste considerazioni servono a chiarire quale fosse l’ambito della cognizione devoluta al Tribunale di Roma nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 6624/2009: la domanda proposta aveva ad oggetto l’accertamento del (l’an del) diritto del de cuius all’indennità di funzione ed in tali limiti si è svolta l’indagine del giudice, senza che alcun contraddittorio sia stato esteso alle condizioni di concreta derogabilità della prestazione e alla specifica posizione patrimoniale del titolare del diritto.
La questione della cumulatività tra le due prestazioni attiene ad un momento successivo al riconoscimento del diritto, e in particolare a quello della concreta erogabilità della prestazione, come è dato di evincere dalla locuzione «fatto salvo il trattamento di miglior favore», il che rimanda alla fase più propriamente liquidatoria, richiedendo un giudizio di comparazione tra il trattamento già in godimento e quello conseguente al riconoscimento giudiziale dell’emolumento.
Né vi era un obbligo dell’Inps di sollevare la detta eccezione nel giudizio conclusosi con la sentenza 6624/2009, trattandosi di questione che non investe antecedenti essenziali e necessari della pronuncia sull’an.
In conclusione, l’eccezione sollevata in sede di giudizio di opposizione all’esecuzione dall’Inps non può dirsi preclusa dal giudicato (cfr. Cass. 1273/1992, n. 3003).
Conseguentemente, il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata e le parti rimesse dinanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per un riesame della fattispecie nonché per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello dì Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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