CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 novembre 2020, n. 25523
Tributi – Accertamento – Cessione di immobili – Prezzo di cessione inferiore a quello del preliminare, al valore della perizia di mutuo, alle quotazioni OMI – Rettifica – Legittimità
Rilevato che
– con sentenza n. 487/10/2014, depositata il 7 marzo 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Emilia-Romagna (hinc: «CTR»), ha rigettato l’appello proposto da T.G. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 393/01/2010 della Commissione tributaria provinciale di Rimini (hinc: «CTP»), che aveva rigettato il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. THU01T500533/2009 con il quale l’Ufficio, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, imprenditore edile, maggiori ricavi non dichiarati, ai fini Irpef, Iva e Irap, per l’anno 2005, in relazione alla cessione di due unità immobiliari a prezzi fatturati inferiori a quelli indicati in preliminari di vendita, al valore degli immobili emerso dalle perizie estimative prodromiche alla concessione dei mutui, alle quotazioni OMI e dei listini camerali nonché agli importi indicati nelle dichiarazioni rese dagli acquirenti di uno degli appartamenti;
– in punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che:
1) era infondata la censura relativa all’assunta carenza motivazionale dell’atto di accertamento per mancata allegazione dei prezziari OMI e dei listini delle opere edili della Camera di commercio, in quanto trattavasi di documenti di “pubblico dominio”, riportati in pubblicazioni periodiche consultabili da qualunque interessato; 2) non erano fondate le riserve espresse dal contribuente in merito alla mancata firma del preliminare di compravendita relativo ad uno degli appartamenti rinvenuto presso l’istituto di credito – dal quale si evinceva un corrispettivo superiore a quello indicato nel rogito di vendita- e in merito alla copertura con gli importi indicati nella perizia estimativa oltre che del valore dell’appartamento anche di altri oneri (Iva, spese di registrazione etc.), in quanto trattavasi di considerazioni generiche che non potevano mettere in dubbio la valenza della perizia estimativa – formulata su tale preliminare quale “atto tecnico” volto a stabilire la congruità del prezzo in relazione al previsto finanziamento bancario; 3) in conformità all’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, come novellato dalla legge n. 88 del 2009, l’Agenzia delle entrate aveva effettuato non già una rettifica di valori ma una “contestazione dei corrispettivi pattuiti e corrisposti in concreto” basandosi su elementi presuntivi – dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza- quali, oltre alle valutazioni di mercato OMI e ai dati dei listini camerali sui costi delle opere edili, gli importi periziati e le dichiarazioni rese dagli acquirenti del secondo appartamento;
– avverso la sentenza della CTR, il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;
– il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis.1 c.p.c.;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, 197.
Considerato che
– con il primo motivo il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 212 del 2000, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR erroneamente rigettato il motivo di appello relativo alla dedotta carenza motivazionale dell’avviso di accertamento in questione per mancata allegazione ad esso delle valutazioni OMI e dei listini camerali (trattandosi di “documenti di pubblico dominio, riportati in pubblicazioni periodiche consultabili da qualunque interessato”), ancorché, ad avviso del ricorrente, la semplice conoscibilità degli atti richiamati nell’atto impositivo non fosse sufficiente a integrare gli estremi di una corretta motivazione, dovendo le determinazioni dell’Amministrazione essere portate pienamente a conoscenza del contribuente al momento della notifica dell’atto impositivo e non essendo ammessa alcuna successiva integrazione di conoscenza, tanto più che i dati cui l’avviso, nella specie, aveva rinviato (valutazioni OMI e tabelle tenute dalle Camere di commercio) non erano, al tempo, neppure accessibili (essendo alla data del 23/7/2009 di notifica dell’avviso di accertamento, relativo all’anno 2005, disponibili sul sito OMI solo i valori del secondo semestre 2007- primo semestre 2009 mentre gli altri dati erano disponibili dietro oneroso pagamento);
– il motivo è infondato;
– va innanzitutto premesso che è pacifico che la motivazione dell’avviso di accertamento contenga il riferimento ad atti esterni, quali “le valutazioni OMI e i listini camerali”, ad esso non allegati.
Dispone l’art. 7, comma 1, ultimo periodo, legge n. 212 del 2000, a proposito degli atti dell’Amministrazione finanziaria, che: «Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.». In materia di accertamenti in rettifica ed accertamenti d’ufficio, prevede, a sua volta, l’art. 42, secondo comma, ultimo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, nella versione vigente ratione temporis, che : « Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.». Il successivo comma dispone infine che: «L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma.»;
– come da ultimo ricordato nella sentenza n. 1252 del 2020, nella giurisprudenza di questa Corte, molteplici sono le pronunce che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell’accertamento, hanno ritenuto sufficiente che l’atto esterno, richiamato da quello impositivo, fosse, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell’avviso. Non si intende, in questo senso, far riferimento alle affermazioni giurisprudenziali relative alla conoscibilità di atti richiamati, già oggetto di precedente notificazione al contribuente (Cass. 25/07/2012, n. 13110), o sottoposti a pubblicità legale (Cass. 19/12/2014, n. 27055, in motivazione), trattandosi di ipotesi accomunabili dall’operatività di presunzioni legali (per quanto diversificate) di conoscenza, e quindi di equiparazione ex lege della conoscibilità alla conoscenza;
– piuttosto, ci si riferisce a quelle pronunce che hanno ritenuto legittima anche la motivazione per relationem che richiami, senza allegarli, atti che si possano presumere, solo iuris tantum, conosciuti dal destinatario dell’accertamento (Cass. 17/12/2014, n. 26527; Cass. 27/11/2015, n. 24254; Cass. 30/10/2018,n. 27628). E, soprattutto, ci si richiama a quell’orientamento che, finanche nel caso di doppia motivazione per relationem, ovvero quando il documento menzionato nella motivazione dell’atto tributario faccia a sua volta riferimento ad ulteriori documenti, ritiene sufficiente che questi ultimi siano, se non in possesso o comunque conosciuti dal contribuente, quanto meno agevolmente conoscibili da quest’ultimo (Cass. 12/12/2018, n. 32127; Cass. 24/11/2017, n. 28060; Cass. 04/06/2018, n. 14275, ex plurimis, in tema di avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii a quello riguardante i redditi della società, ancorché solo a quest’ultima notificato; Cass. 17/05/2017, n. 12312, ex plurimis, relativa all’accertamento del maggior valore dell’immobile sulla base dei prezzi medi evincibili dal listino della Borsa immobiliare dell’Umbria, pubblicato dalla locale camera di Commercio ed agevolmente reperibile dalla contribuente);
– infatti, deve ritenersi che l’interpretazione giurisprudenziale degli artt. 7, comma 1, ultimo periodo, legge n. 212 del 2000 e 42 , secondo comma, ultimo periodo, e terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, nel senso che non sia nullo l’accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente, realizzi un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell’amministrazione, ex art. 97 Cost.) – che giustificano l’ammissibilità, anche normativa, della motivazione per relationem (sul punto cfr. Cass. 29/01/2008, n. 1906, in motivazione) – ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex artt. 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attività di ricerca complessa (Cass. n. 1252 del 2020, cit.);
-nella specie, la CTR ha fatto buon governo dei suddetti principi nel ritenere che la mancata allegazione all’avviso di accertamento in questione dei prezziari OMI e dei listini camerati non implicasse una carenza motivazionale dell’atto impositivo medesimo in quanto trattavasi di documenti di “pubblico dominio”, riportati in pubblicazioni periodiche consultabili da qualunque interessato; con ciò significando che tali dati cui rinviava l’avviso de quo rientrassero nella sfera quantomeno di agevole conoscibilità da parte del contribuente con conseguente sufficienza motivazionale dello stesso;
– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2729 c.c. per avere la CTR ritenuto erroneamente sussistenti nella fattispecie elementi indiziari della sottofatturazione – dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza- ancorché, oltre alle valutazioni OMI e alle tabelle camerali, l’Agenzia delle entrate avesse fatto riferimento nella ricostruzione dell’effettivo corrispettivo di vendita a un atto preliminare privo di sottoscrizione di entrambi i contraenti, e pertanto inesistente, peraltro riferito alla vendita di una diversa costruzione immobiliare;
– il motivo si profila in parte inammissibile e in parte infondato;
– va premesso che l’accertamento fiscale da cui muove la presente controversia, è un accertamento di tipo analitico-induttivo, con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (ex multis: Cass., sez. 5, n. 33508 del 2018; n. 20060 del 2014);
– in particolare, ai sensi del quarto e del quinto comma dell’art. 52 del d.P.R. n. 131 del 1986, a decorrere dal 1 luglio 1986, il potere di rettifica dei valori dichiarati negli atti era impedito qualora gli stessi fossero risultati pari o superiori a quel minimum determinato dalla capitalizzazione delle rendite catastali – che si otteneva moltiplicando per specifici coefficienti fissi di legge il valore catastale – con l’unico limite dato dall’eventuale individuazione, da parte dell’Ufficio, di corrispettivi non dichiarati. Pur essendo inibito l’accertamento di valore, il criterio automatico di valutazione non implicava una diversa determinazione della base imponibile, che si identificava, ai sensi del combinato disposto degli artt. 43, comma 1, e 51 del TUR, con il «valore del bene o del diritto alla data dell’atto», assumendosi per tale «quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito». Per le cessioni di immobili soggette ad I.V.A., l’art. 15 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41 aveva esteso (per i fabbricati classificati o classificabili nei gruppi A, B e C) il principio della non rettificabilità del corrispettivo dichiarato, ove determinato in base ai parametri automatici previsti per l’imposta di registro, salvo che da atto o documento il corrispettivo risultasse di maggiore ammontare;
– l’art. 35, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006 (cd. Decreto Visco-Bersani), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006 (decreto in vigore dal 4 luglio 2006), ha inserito nell’art. 54, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 (ai fini dell’I.V.A.) una disposizione in base alla quale «per le cessioni aventi ad oggetto beni immobili e relative pertinenze, la prova di cui al precedente periodo s’intende integrata anche se l’esistenza delle operazioni imponibili o l’inesattezza delle indicazioni di cui al secondo comma sono desunte sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi dell’articolo 14 del presente decreto». Lo stesso art. 35, con il comma 3, del citato decreto legge n. 223 del 2006 ha inoltre inserito nell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 (ai fini delle imposte sui redditi) una disposizione analoga alla precedente ed in base alla quale «per le cessioni aventi ad oggetto beni immobili, ovvero la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento sui medesimi beni, la prova […] si intende integrata anche se l’infedeltà dei ricavi viene desunta sulla base del valore normale dei predetti beni determinato ai sensi dell’art. 9, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi». Il comma 4 dello stesso art. 35 cit. ha, inoltre, espressamente abrogato l’art. 15 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41. Il d.l. n. 223/2006 ha, quindi, introdotto presunzioni semplici legali relative che consentivano all’ente impositore di rettificare la dichiarazione del contribuente sulla base del solo scostamento tra il corrispettivo dichiarato per le cessioni di beni immobili ed il valore normale degli stessi, determinato (in forza dell’art. 1, comma 307, della legge n. 296 del 2006 – legge finanziaria 2007 – e del provvedimento direttoriale del 27 luglio 2007, emesso in attuazione di tale legge e con il quale erano indicati i criteri utili per la determinazione del valore normale dei fabbricati ai sensi dell’art. 14 del decreto nn. 633 del 1972 e dell’art. 9, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi) secondo i valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare (O.M.I.) presso l’Agenzia del Territorio e i coefficienti di merito relativi alle caratteristiche dell’immobile, integrati da altre informazioni in possesso degli uffici tributari. Anche se inizialmente tali nuovi disposizioni sono state ritenute di natura «procedimentale» e, quindi, applicabili anche ad accertamenti relativi ad anni d’imposta precedenti al 4 luglio 2006 (data di entrata in vigore del decreto Visco-Bersani), 1, comma 265, della legge n. 244 del 2007, in vigore dal 1 gennaio 2008, ha stabilito che le presunzioni legali (basate sul valore normale) si applicano soltanto per gli atti formati a decorrere dal 4 luglio 2006, mentre per gli atti formati anteriormente, valgono «agli effetti tributari, come presunzioni semplici». Successivamente la Commissione europea, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, ha rilevato l’incompatibilità – in relazione all’I.V.A., ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette – delle disposizioni introdotte dall’art. 35 del decreto-legge n. 223 del 2006 con l’art. 73 della Direttiva comunitaria 2006/112/CE, secondo cui la base imponibile I.V.A. «comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni». In considerazione di tale parere, la legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria del 2008) con l’art. 24, commi 4, lettera f), e 5, è nuovamente intervenuta sull’art. 39 citato, stabilendo alla lettera d) del primo comma dell’art. 39: «Per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica:[…] d) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’articolo 32. L’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti», nonché sul terzo comma dell’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedendo: «L’Ufficio può tuttavia procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture di cui ai numeri 2), 3) e 4) del secondo comma dell’art. 51, dagli elenchi allegati alle dichiarazioni nonché da altri atti e documenti in suo possesso»;
– questa Corte ha, quindi, ripetutamente affermato che, in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione dell’art. 39 cit. ad opera dell’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 che, con effetto retroattivo – stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea – ha eliminato la presunzione relativa di corrispondenza dei corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi introdotta dall’art. 35 cit., così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta «anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti», l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass. n. 23379 del 2019; n. 9474 del 2017; Cass. n. 26487 del 2016; n. 24054 del 2014; Cass. n. 11439 del 2018; n. 2155 del 25/1/2019);
– nella sentenza impugnata, la CTR, facendo buon governo dei suddetti principi, ha correttamente condiviso l’operato dell’Ufficio che, nel ricostruire con metodo analitico-induttivo i maggiori ricavi del contribuente in relazione alle vendite di due unità immobiliari, ha fondato l’indagine su diversi elementi indiziari – stimati precisi, gravi e concordanti – quali, oltre allo scostamento tra il corrispettivo dichiarato negli atti di vendita dalle quotazioni OMI e dalle rilevazioni delle tabelle camerali, per la compravendita di uno degli appartamenti, il valore dell’immobile indicato nella perizia dell’istituto di credito prodromica alla concessione del finanziamento e per la compravendita dell’altro uguale e contiguo appartamento la dichiarazione -non validamente contestata dal contribuente- resa dagli acquirenti dello stesso; ciò in conformità all’insegnamento di questa Corte secondo cui «La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare» (Cass. sez. 3, n. 5787 del 2014; v. Cass., sez. 6-5, n. 30276 del 2017); in particolare, quanto alla denunciata erroneità della sentenza per avere la CTR ravvisato un elemento presuntivo grave, preciso e concordante nel preliminare di compravendita non firmato dalle parti e, pertanto, inesistente, la censura non coglie la ratio decidendi, avendo il giudice di appello, nella valutazione complessiva degli elementi indiziari, fatto riferimento, al preliminare di compravendita relativo ad uno dei due appartamenti, non sottoscritto dalle parti – reperito presso l’istituto di credito e riportante un corrispettivo superiore a quello di cui al rogito esclusivamente quale documento sul quale era stata redatta la perizia estimativa volta a stabilire la congruità del prezzo in relazione al previsto finanziamento bancario, perizia alla quale – quale “atto tecnico, redatto da un professionista del settore”- occorreva, a suo avviso, dare rilevanza, non essendo stata validamente contestata dal contribuente; ogni altra argomentazione relativa alla assunta riferibilità del preliminare di vendita in questione a una diversa costruzione immobiliare, tende inammissibilmente a rivisitazioni di valutazioni di merito già effettuate dal giudice di appello;
– con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per omessa/apparente motivazione per avere la CTR- sull’eccezione relativa alla mancanza di sottoscrizione del preliminare utilizzato dall’Agenzia quale elemento presuntivo per fondare l’accertamento — apoditticamente affermato che non erano “accoglibili le riserve espresse dal contribuente in merito al fatto che il preliminare risult[asse] non firmato dalle parti” senza alcuna altra argomentazione sul punto;
– il motivo è inammissibile in quanto non coglie il decisum per avere la CTR superato le riserve del contribuente in merito alla mancata sottoscrizione del preliminare di compravendita (reperito presso l’istituto di credito) relativo ad uno dei due appartamenti in considerazione del fatto che occorresse dare rilievo- unitamente agli scostamenti del prezzo indicato nel rogito dai valori Omi e dalle tabelle camerali -alla perizia estimativa -redatta in base al preliminare e volta a stabilire la congruità del prezzo in relazione al previsto finanziamento bancario- quale “atto tecnico redatto da un professionista del settore”, non oggetto di valida contestazione da parte del contribuente;
– in conclusione, il ricorso va rigettato;
– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
– rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessive euro 5.000 oltre spese prenotate a debito;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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