CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25524
Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Rettifica – Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – Art. 112 c.p.c.
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso, affidato a un motivo, per la cassazione della sentenza n. 100/44/10 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia e depositata il 30.7.2010 la quale aveva confermato la sentenza della CTP di Milano di accoglimento del ricorso di I.V.V. avverso un avviso di accertamento effettuato ai sensi dell’art. 62 bis del DL 331/1993 con il quale si era proceduto alla rettifica dei ricavi a fronte di quelli dichiarati.
La CTR ha ritenuto che l’ufficio non avesse effettuato una contestazione specifica sullo scostamento dei costi in quanto superiori alla media dei ricavi.
Resiste il contribuente con controricorso.
Ritenuto in diritto
1. Con il motivo l’Agenzia lamenta la violazione dell’art.36 D.lgs 546/1992 per motivazione apparente in relazione all’art. 360 comma 1 n.4. In particolare deduce che la CTR avrebbe, da un lato, adottato una motivazione per relationem senza nessuna adesione alle argomentazioni sviluppate dal giudice di primo grado e, dall’altro, una motivazione apparente in quanto scollegatale circostanze dedotte. L’ufficio aveva evidenziato che il contribuente, esercente l’attività di agente monomandatario senza rappresentanza per la società R.C.S. Pubblicità s.p.a., rispetto ai ricavi aveva dichiarato componenti negativi altissimi (circa 2/3 dei ricavi) senza che fossero state riscontrate cause particolari che avessero potuto influire tanto negativamente sullo svolgimento dell’attività, non essendo sufficiente la dedotta modifica della fascia dei clienti e delle percentuali delle provvigioni effettuate unilateralmente dalla mandante.
La censura è inammissibile.
2. La CTR ha osservato che l’argomento posto a fondamento l’appello dell’ufficio, incentrato sulla consistenza dei costi ritenuti largamente superiori alla media dei ricavasse generico, in quanto era “mancata una contestazione specifica ovvero la pertinenza o meno a una parte di essa”.
L’omessa pronuncia denunciarle come error in procedendo ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce – in una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c.
Nell’omessa motivazione, invece, l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia; tale vizio va denunciato ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
3. Sul punto questa Corte ha già avuto occasione di rimarcare che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311).
In particolare, si è precisato (Cass. 14 marzo 2006, n. 5444) che la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c., e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al numero 5 dell’articolo 360 del codice di procedura civile si coglie nel senso che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), là dove, nel caso dell’omessa motivazione, l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi su uno dei fatti principali della controversia.
Fatte queste premesse, il motivo di ricorso non coglie la ratio decidendi della sentenza di appello.
Nel caso in esame il fatto (e cioè la consistenza dei costi in relazione alla media dei ricavi, appare preso in esame e la sentenza, nell’escludere la fondatezza delle ragioni di appello, ha seguito in maniera sommaria, ma inequivocabile, un percorso logico incompatibile con l’argomento riproposto dall’Ufficio.
Poiché l’Ufficio ha censurato la sentenza solo facendo valere il vizio di cui all’art. 360 n. 4 cpc il ricorso deve essere, conseguentemente, dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in € 5600.00 oltre accessori.
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