CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25526
Accertamento – Vendita di mobili ed immobili – Espropriazione forzata o asta pubblica – Contratti stipulati od aggiudicati in seguito a pubblico incanto – Calcolo base imponibile
Svolgimento del processo
Con distinti ricorsi n. 640/07 e n. 641/07, depositati entrambi il 14 giugno 2007, la C. snc in liquidazione, quale parte venditrice, e la K.C. srl, quale acquirente, hanno impugnato l’avviso di rettifica e liquidazione n. 2005.2V.88, prot. n. 9589 e 9590 del 2 aprile 2007, con il quale l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Brindisi, ha rettificato, sulla base di una perizia dell’Ufficio Tecnico Erariale, i valori dichiarati nel trasferimento immobiliare posto in essere con atto per notar C.D.L., registrato il 27 luglio 2005 al n. 88, serie 2V, elevandoli da €. 865.000,00 ad €. 1.722.727,00.
La CTP di Brindisi, nel contraddittorio delle parti, disposta Ctu, con decisioni n. 168/1/08 e 169/1/08, depositate il 3 settembre 2008, ha parzialmente accolto i ricorsi, riducendo il valore degli immobili ad € 1.305.900,00. In data 9 ottobre e 28 ottobre 2009 le società summenzionate hanno impugnato le suddette decisioni, chiedendone la riforma.
La CTR di Bari, Sez. dist. di Lecce, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 10/23/12, ha respinto l’appello.
La K.C. srl ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La C. snc in liquidazione non ha svolto attività difensiva.
La sola K.C. srl ha depositato memorie difensive.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la K.C. srl lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 44, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986, nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
La società ricorrente sottolinea che, ai sensi del citato articolo 44, comma 1, per la vendita di mobili ed immobili avvenuta in sede di espropriazione forzata o all’asta pubblica e per i contratti stipulati od aggiudicati in seguito a pubblico incanto, la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione e che l’erario non può, di conseguenza, procedere alla rettifica del valore dichiarato.
Essa sostiene che, pertanto, la CTR avrebbe errato nell’affermare che, nella presente controversia, tale disposizione non sarebbe stata applicabile perché non sarebbe stata data prova che la cessione in esame era avvenuta all’esito di una formale gara pubblica.
In particolare, la K.C. srl afferma che il giudice di secondo grado avrebbe omesso di valutare la copia dell’atto di compravendita del 14 luglio 2005 e quella degli avvisi di vendita del Tribunale di Lecce allegate agli atti.
La doglianza è infondata.
L’articolo 44, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986 determina in misura pari al prezzo di aggiudicazione la base imponibile in caso di vendita di mobili ed immobili avvenuta in sede di espropriazione forzata o all’asta pubblica e di contratti stipulati od aggiudicati in seguito a pubblico incanto.
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che si tratti di norma eccezionale, non suscettibile di interpretazione analogica od estensiva (Cass., Sez. 5, n. 3420 dell’8 marzo 2002).
Con riferimento alla portata della sua applicazione, la Suprema Corte di Cassazione ha escluso che la cessione di quote immobiliari disposta dal curatore, a trattativa privata, su autorizzazione del giudice delegato del fallimento, possa essere compresa tra le ipotesi dell’articolo 44, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986, atteso che, in questo caso, non si riscontra alcuna forma pubblica di gara determinativa di un prezzo del bene prossimo ai valori reali, ben potendo il corrispettivo della vendita discostarsi da quello fissato autoritativamente dal giudice (Cass., Sez. 5, n. 6403 del 22 aprile 2003).
Allo stesso modo, ha affermato che le alienazioni di immobili adottate in regime di amministrazione straordinaria e di concordato preventivo con cessione dei beni non rientrano fra le ipotesi tassativamente previste dall’articolo 44, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986 poiché, considerata la natura negoziale degli atti di cessione, non è dato riscontrare una determinazione amministrativa o giudiziale del valore, che può essere liberamente stabilito dalle parti, in quanto la finalità della procedura non è di realizzare il maggiore prezzo possibile, ma, più semplicemente, di perseguire la maggiore convenienza economica dei creditori (Cass., Sez. 5, n. 4633 del 26 febbraio 2014, non massimata; Cass., Sez. 6 – 5, n. 15746 del 21 giugno 2013; Cass., Sez. 5, n. 3420 dell’8 marzo 2002).
Presupposto per l’applicazione della disposizione in esame è, perciò, che il trasferimento avvenga in via coattiva e non in forza della semplice autonomia negoziale delle parti e, comunque, nell’ambito di una procedura pubblica sotto il controllo del giudice o, in ogni caso, con un prezzo determinato dal giudice stesso o dalla pubblica autorità.
In particolare, occorre che la fissazione del corrispettivo della vendita avvenga al fine di ottenere la somma più alta e non per ragioni diverse, collegate all’interesse dei creditori.
Nella specie, la società ricorrente, oltre a non chiarire la natura della procedura di liquidazione che vedeva coinvolta la parte venditrice, non ha dedotto neppure che il corrispettivo fosse stato stabilito dall’autorità giudiziaria od amministrativa, né ha indicato in quali atti fosse attestato che tale corrispettivo rappresentasse il massimo valore dei beni ceduti.
Gli stessi documenti menzionati nel ricorso che non sarebbero stati esaminati dalla CTR non sono idonei a fornire a questo Collegio gli elementi necessari per desumere l’applicabilità dell’articolo 44, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986.
Se ne ricava che, non essendo possibile accertare se ricorrano i presupposti cui la normativa in questione subordina la preclusione per l’Erario di rideterminare la base imponibile, il motivo deve essere rigettato.
2. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio poiché la sentenza impugnata non avrebbe tenuto in alcuna considerazione i rilievi contenuti nella perizia di parte che, concernendo elementi non adeguatamente valutati dal Ctu nominato in primo grado, avrebbero dovuto condurre ad una decisione differente.
La doglianza merita accoglimento.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato anche di recente che “allorché ad una consulenza tecnica d’ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte il giudice che intenda disattenderle ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte”, incorrendo, in tal caso, nel vizio di motivazione deducibile ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. 1, n. 23637 del 21 novembre 2016).
Da ciò si evince che il giudice di secondo grado, pur potendo limitarsi a fare proprie la conclusioni del Ctu, è tenuto, però, a motivare in ordine alle specifiche critiche della parte all’elaborato dell’ufficio, a meno che lo stesso Ctu non abbia preso posizione al riguardo (Cass., Sez. 6 – 3, n. 1815 del 2 febbraio 2015).
Inoltre, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che è nulla, per mancanza del requisito di cui all’articolo 132, comma 1, n. 4), c.p.c., la sentenza la motivazione della quale consista nel dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, quanto non meglio individuati documenti ed atti ad essa allegati, senza indicare la ragione giuridica o fattuale che, come emergente dall’oggetto del rinvio, il giudice abbia ritenuto di condividere (Cass., Sez. 3, n. 7402 del 23 marzo 2017).
Nella specie, la CTR non ha neppure menzionato la Ctu di primo grado e nulla ha detto in ordine alle contestazioni contenute nella consulenza di parte, essendosi limitata a ritenere adeguata la motivazione della CTP ed a fare riferimento ad una relazione allegata all’avviso di rettifica della quale, però, non ha riportato, nemmeno in maniera sintetica, il contenuto.
Deve concludersi, pertanto, che la corte di merito non abbia fornito una motivazione della sua decisione, avendo solo confermato quella appellata senza prendere posizione sulle censure di parte, né valutare, nei limiti del gravame, le prove poste a fondamento della sentenza di prime cure.
3. Il ricorso va, pertanto, accolto, limitatamente al secondo motivo.
La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR di Bari in diversa composizione affinché decida la causa nel merito anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso limitatamente al secondo motivo e lo respinge quanto al primo;
cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR di Bari in diversa composizione che deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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