CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2020, n. 21994
Tributi – Disconoscimento nota di variazione – Fallimento del cliente – Mancato pagamento di fatture – Onere di prova – Dichiarazione del curatore fallimentare – Irrilevanza – Presunzioni contrarie – Circostanze indiziarie – Continuazione prestazioni in favore del cliente inadempiente
Rilevato che
Le parti contribuenti hanno impugnato alcuni avvisi di accertamento relativi al periodo di imposta 2010 avente ad oggetto IRPEF, IRAP, IVA, oltre accessori e sanzioni, conseguenti al disconoscimento di una nota di variazione emessa nei confronti di P. e P. SAS per fatture emesse negli anni 1985 – 1995 e non pagate.
La CTP di Lecco, previa riunione, ha accolto parzialmente i ricorsi e la CTR della Lombardia, con sentenza in data 20 febbraio 2018, ha accolto l’appello dell’Ufficio. Ha evidenziato il giudice di appello che le fatture in oggetto sono state pagate sulla base di una serie di circostanze indiziarie (fatture risalenti nel tempo, l’avere i professionisti continuato a prestare assistenza alla società, avvenuto versamento dell’IVA e contabilizzazione delle fatture). La Corte di merito ha ritenuto, diversamente dal giudice di prime cure, irrilevante la dichiarazione resa dal curatore del fallimento, secondo la quale non era avvenuto alcun pagamento nei confronti dei contribuenti.
Propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a due motivi; resiste con controricorso l’Ufficio.
La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.
Considerato che
1 – Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto irrilevante ai fini probatori la dichiarazione resa dal curatore del fallimento P. e P. SAS che ha attestato l’omessa liquidazione di importi al contribuente. Rileva parte ricorrente, conformemente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, che tale dichiarazione, in quanto resa da un pubblico ufficiale, fa piena prova fino a querela di falso dei fatti avvenuti in sua presenza. Deduce parte ricorrente che la sentenza di appello avrebbe omesso di considerare la qualifica di pubblico ufficiale del curatore del fallimento. Deduce, peraltro interlocutoriamente, parte ricorrente che tale dichiarazione atterrebbe alle risultanze della contabilità e della documentazione bancaria della società dichiarata fallita, oltre che agli esiti dei riparti in sede fallimentare, osservando infine che la CTR avrebbe potuto ricorrere a una CTU.
1.1 – Il primo motivo si colloca ai limiti dell’inammissibilità, non essendo stato riprodotto il contenuto della dichiarazione menzionata nel motivo. Non potrebbe essere, pertanto, accertato in sede di legittimità, alla luce del ricorso, se la dichiarazione resa dal curatore del fallimento P. e P. SAS sia da riferirsi alla dichiarazione di assenza di liquidazione di attivo in sede di riparto a favore del contribuente, ovvero se si riferisca all’esame della contabilità del fallito (o di altra documentazione), dalla quale non risulterebbe alcun pagamento effettuato dalla società dichiarata fallita in favore del contribuente.
1.2 – Il motivo è, comunque, infondato, nella parte in cui parte ricorrente deduce l’esistenza di piena prova della dichiarazione resa dal curatore quanto al contenuto delle risultanze contabili o della ulteriore documentazione ascrivibile all’imprenditore dichiarato fallito. Un atto avente pubblica fede, in quanto redatto da un pubblico ufficiale, assume valore probatorio in funzione dei fatti da esso attestati come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale e alle dichiarazioni a lui rese; diversamente, non vi è alcuna efficacia probatoria privilegiata in relazione al contenuto delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale da terzi, ovvero in relazione al contenuto di documenti formati dai suddetti terzi (Cass., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 24461; Cass., Sez. V, 24 novembre 2017, n. 28060), come anche in relazione ai fatti di cui i pubblici ufficiali abbiano notizia da altre persone o a quelli che si assumono veri in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass., Sez. I, 30 maggio 2018, n. 13679).
1.3 – Tali principi sono applicabili al curatore del fallimento che, in quanto pubblico ufficiale, può attestare con piena prova i fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, rimanendo liberamente valutabile ogni altra circostanza di cui egli dia atto (Cass., Sez. I, 2 settembre 1998, n. 8704). Se, pertanto, tale piena prova può essere apprezzata in relazione alle attività da lui eseguite (esecuzione di un piano di riparto), altrettanto non può avvenire per le circostanze di cui egli abbia avuto conoscenza attraverso l’esame della documentazione dell’imprenditore dichiarato fallito.
1.4 – Infondato è, in ogni caso, il motivo, in relazione alla censura attinente alla valorizzazione in sede probatoria della dichiarazione resa dal curatore del fallimento relativa all’inesistenza di pagamenti ricevuti dal contribuente, posto che è passato in giudicato l’accertamento compiuto dalla Corte del merito secondo cui la nota di variazione è stata emessa nei confronti della società fallita («emessa nei confronti della P. e P. s.a.s.») e non nei confronti del Curatore del Fallimento, il che avrebbe onerato il curatore della relativa registrazione. Il soggetto passivo della originaria fattura e della relativa nota di variazione rimane, pertanto, accertato nella persona dell’imprenditore dichiarato fallito.
1.5 – Ne consegue che è irrilevante conoscere in questa sede se il contribuente si sia insinuato al passivo del fallimento (presupposto indefettibile ai fini della collocazione nel progetto di ripartizione), come anche se sia o meno stato soddisfatto nel riparto, in quanto ciò che rileva è il mancato pagamento da parte dell’imprenditore dichiarato fallito e non da parte del curatore della cui dichiarazione relativa all’omesso pagamento del contribuente nei diversi progetti di ripartizione del fallimento P. e P. SAS non ha valenza probatoria ai fini che qui interessano.
1.6 – La sentenza impugnata non si è sottratta ai suddetti principi, così rigettandosi il primo motivo.
2 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., nonché insufficiente e apparente motivazione della sentenza a termini dell’art. 36 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’inserimento della nota di variazione è contraddetto da una pluralità di elementi indiziari, costituiti dalla antichità dell’emissione delle fatture (per cui non sarebbe verosimile una mancata attivazione del creditore per il suo recupero), dalla continuazione dell’assistenza professionale nei confronti della società cliente inadempiente, nonché dalla contabilizzazione delle fatture anno per anno e dal conseguente versamento delle imposte. Il ricorrente deduce come il percorso argomentativo del giudice di appello non appare comprensibile. Deduce parte ricorrente come sia rimesso alla iniziativa economica, a termini dell’art. 41 Cost., proseguire un incarico professionale. Deduce come sia certo che l’IVA sia stata versata negli anni, come rilevato dalla stessa sentenza impugnata, osservando come l’unico elemento presuntivo utilizzato dal giudice di appello circa il mancato pagamento delle fatture sarebbe costituito dall’antichità della emissione delle fatture. Deduce, pertanto, che non sarebbe plausibile ritenere in questo contesto di non essersi attivati per il recupero degli importi e che vi sarebbe, pertanto, violazione delle regole di gravità e inferenza degli elementi indiziari addotti. Si deduce, infine, che la società committente P. e P. SAS era stata dichiarata fallita nel 1998 il cui fallimento è stato chiuso nel 2009.
Osserva parte ricorrente che la nota di variazione è stata emessa quale effetto della chiusura del fallimento per non avere potuto recuperare l’IVA sulle fatture emesse e non pagate.
2.1 – Il secondo motivo è infondato sub specie della nullità della sentenza, non ricorrendo il dedotto error in procedendo essendo la motivazione della sentenza compiuta quanto alla sua formulazione, quanto alla indicazione nell’iter motivazionale delle fonti di prova («l’inserimento della variazione in dichiarazione contraddice infatti una pluralità di elementi indiziari, che inducono a ritenere come, al contrario, i pagamento vi siano stati […] a fronte di ciò la dichiarazione del curatore, invocata dai contribuenti a sostegno delle propri ragioni, appare priva di rilevanza, non comprendendosi peraltro su quale base di conoscenze questi abbia rilasciato la suddetta dichiarazione […]»).
2.2 – Quanto alla dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 2697 e 2729 cod. civ. il motivo è inammissibile, posto che parte ricorrente mira a ripercorrere il giudizio di pregnanza indiziaria effettuato dalla Corte di merito al fine di effettuare nuovamente in sede di legittimità il ragionamento decisorio, giudizio che rimane riservato al giudice del merito. E’, difatti, principio consolidato quello secondo cui il vizio di violazione di legge – che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge – come anche il vizio di falsa applicazione di legge – che consiste nel sussumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addica, sul presupposto che la fattispecie astratta da essa prevista – non sono invocabili nel caso in cui si deduca, come nella specie, una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa – nella parte in cui la sentenza ha ritenuto provato il pagamento delle fatture – è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura non è consentita come violazione di legge ma sotto rispetto del vizio di motivazione (Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054). Il che è reso evidente dalla deduzione della violazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in cui non si deduce una apparente violazione di norme di legge, ma si mira alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI, 4 aprile 2017, n. 8758), laddove la deduzione delle regole in materia di ripartizione dell’onere della prova attengono non alla valutazione del materiale istruttorio dal giudice di merito, ma all’utilizzo di prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o per assoggettamento a prudente apprezzamento di prove legali ovvero alla considerazione quale prove legali di elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., Sez. VI, 17 gennaio 2019, n. 1229).
Né sono stati individuati dal ricorrente errori logici nel ragionamento inferenziale del giudice del merito, che ha ritenuto inverosimile che un contribuente abbia emesso fatture per prestazioni non pagate per svariati anni (anziché emettere note prò forma in applicazione del principio di cassa: Cass., Sez. V, 30 luglio 2014, n. 17306), senza mai attivarsi per il recupero forzoso degli importi, assumendosi il rischio, evidenziato dal controricorrente, della formulazione di eccezione di prescrizione presuntiva di cui all’art. 2656, n. 2 cod. civ.
3 – Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato. Si dà atto che, nonostante l’enunciazione in epigrafe, il controricorrente non ha proposto ricorso incidentale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 6.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto che e i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, se dovuti.
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