CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2021, n. 27651
Tributi – Imposta di registro – Cessione di ramo d’azienda – Prezzo contrattuale incoerente con le scritture contabili del cedente – Rettifica del valore di cessione – Legittimità – Responsabilità solidale per la maggiore imposta
Rilevato
Con atto a rogito notaio G.S. del 17 marzo 2007, la soc. C.M. e P.1985 cedeva alla soc. M.C. spa un ramo d’azienda, costituito da opificio in agro casertano, organizzato per la produzione di paste alimentari e molitorio.
Rispetto all’assai più basso valore pattiziamente dedotto in contratto, l’Ufficio guardava all’appostamento in bilancio della cedente C.M. e P.1985, con ripresa a tassazione nei confronti della cedente per la maggior somma presuntivamente percepita rispetto al prezzo contrattuale e, per entrambe, per la maggior imposta di registro connessa alla rivalutazione del valore del negozio posto in essere.
La cessionaria soc. M.C. spa contestava l’atto impositivo sia perché doveva ritenersi prevalente il prezzo contrattuale, sia perché l’appostamento nel bilancio di una società a lei estranea, quale la cedente C.M., non poteva riverberarsi nei suoi confronti, né – infine – perché il mancato aggiornamento o rettifica di bilancio della cessionaria non poteva esplicarsi in danno ad essa cessionaria soc. M.C.
Le ragioni della parte contribuente erano apprezzate in entrambi in gradi di merito, donde ricorre per cassazione l’Avvocatura generale dello Stato svolgendo due motivi, mentre è rimasta intimata la parte contribuente.
Considerato
Vengono posti due motivi di ricorso.
1. Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 51 d.P.R. n. 131/1986, nonché degli articoli 2423, 2424 e 2425 del codice civile. Della gravata sentenza l’Ufficio critica il sovvertimento della valenza delle scritture contabili, riferibili unicamente alla volontà assembleare, donde gli amministratori non possono dare valore alle diverse voci iscritte a bilancio, senza assicurarsi una nota integrativa di bilancio.
2. Con il secondo motivo si prospetta ancora censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 57, terzo comma, d.P.R. n. 131/1986, affermando che l’imposta di registro trova la solidarietà di entrambe le parti contrattuali, per cui si riverberano anche su di essa gli eventuali errori contabili della cedente, donde corretta la ripresa a tassazione – ai fini di registro – anche nei suoi confronti.
3. I due motivi, strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono fondati.
Occorre premettere che in presenza di una cessione si ha effetto “realizzativo”, con le conseguenti ricadute contabili, ma soprattutto fiscali. Ai fini delle imposte dirette ciò comporta l’insorgere del presupposto impositivo in capo al cedente e il riconoscimento del costo fiscale dell’azienda, per il prezzo pagato, in capo all’acquirente (ai fini dell’art. 110 T.U.I.R.). Ai fini IVA, pur essendo una cessione, l’operazione non rileva per assenza del presupposto impositivo che, come noto, all’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 633/1972 individua la cessione dei beni (recte: dei singoli beni) e delle prestazioni di servizio. Non rileva, viceversa, la cessione d’azienda (comma 3, lett. b) del medesimo art. 2) in quanto, per l’appunto, complesso di beni organizzati per l’esercizio di impresa. Ai fini dell’imposta di registro la tassazione del ramo d’azienda ha come base imponibile il “valore venale” del prezzo e quindi quello dichiarato in atto (art. 51, d.P.R. n. 131/1986), salvo tuttavia il giudizio di congruità in sede di controllo dell’Amministrazione finanziaria.
Fermo restando che il prezzo della cessione di azienda o di ramo di azienda è frutto della libera contrattazione delle parti, deve, invece, escludersi che possa svolgersi in modo incoerente con le scritture contabili che hanno valenza verso i terzi (compreso il Fisco) a garanzia dell’affidamento sulla reale consistenza dell’impresa. Anche tale operazione è, infatti, soggetta al rispetto del criterio della correttezza e veridicità del bilancio, che comporta che tutti gli elementi attivi e passivi costituenti l’azienda vengano iscritti in bilancio al loro valore reale e vieta l’inserimento di poste inesistenti o sopravalutate. In materia societaria, ciò trova, del resto, specifica testuale conferma dalla previsione dell’art. 2427 c.c., (nella formulazione anteriore alla sostituzione operata dal D.lgs. n. 127 del 1991) e da quella dell’attualmente vigente art. 2426 c.c., comma 1° n. 6, che – al fine di garantire i terzi che il valore dell’azienda non venga determinato in maniera artificiosa o comunque scarsamente controllabile attraverso la sopravalutazione di un bene immateriale quale per esempio l’avviamento (v. anche Cass.. 14687/00). Tanto premesso, deve rilevarsi che – riscontrata sottovalutazione del cespite immobiliare del ramo d’azienda ceduto e consideratala indicativa di una corrispondente sopravalutazione della posta di avviamento suscettibile di ammortamento (solo in senso atecnico qualificabile simulazione) – l’Ufficio, in presenza di idonee presunzioni, ha legittimamente proceduto alla rettifica con accertamento analitico – induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d). Ed a tale ultimo riguardo, deve, invero, osservarsi che – come, in tema di componenti positive di reddito costituite dalle plusvalenze realizzate a seguito di cessione di azienda, l’Amministrazione finanziaria può procedere ad accertamento induttivo, ai fini delle imposte dirette, contrapponendo al valore indicato in bilancio il valore accertato in sede di applicazione dell’imposta di registro (cfr. Cass. 12899/07, 21055/05, 19548/05, 4117/02); così, specularmente, con riferimento alla componente negativa del reddito costituita dalla quota di ammortamento dell’avviamento conseguito all’acquisto di azienda, l’Amministrazione finanziaria può procedere ad accertamento induttivo, rettificando il valore dell’avviamento indicato in bilancio, in misura tale da renderlo compatibile, nell’ambito del prezzo corrisposto per la cessione, con il valore di altri cespiti aziendali oggetto di accertamento di valore incontestatamente effettuato ai fini di altra imposta, mentre resta onere del contribuente, che deduca l’inesattezza di una tale correzione, contrastare probatoriamente l’accertamento, anche con il ricorso ad elementi indiziari (cfr. Cass. n. 9950/2008).
In estrema sintesi, la discrepanza tra valore iscritto a bilancio e (assai minore) valore negoziale pattuito (ancorché sulla scorta di perizia giurata) autorizza l’Ufficio a procedere a rettifica sia a fini di registro, sia a fini di imposte dirette, dando prevalenza al primo, per la sua valenza di attestazione verso i terzi delle reali situazioni societarie. Né, peraltro, la società era vincolata indefettibilmente a quell’iscrizione, potendo procedere a sua variazione, purché con le procedure richieste per le note integrative al bilancio, la cui volontà costitutiva è riferibile unicamente all’assemblea. E tale mancata rettifica, donde la ripresa a tassazione, esplica i suoi effetti anche nei confronti dei soggetti coobbligati solidalmente per l’imposta di registro (cfr. Cass. V, n. 5838/2011).
I motivi sono quindi fondati ed il ricorso dev’essere accolto, la sentenza cassata con rinvio al giudice di merito
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara (in diversa composizione), cui demanda anche la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
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