CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2021, n. 27665
Tributi – Imposta di registro – Patrimonio indisponibile del Comune – Atto di concessione per la gestione di impianti sportivi – Aliquota applicabile – Art. 5 della Tariffa, Parte Prima, allegata al DPR n. 131 del 1986
Fatti di causa
A seguito della registrazione dell’atto con il quale il Comune di La Spezia aveva concesso, alla Società Sportiva Dilettantistica S. s.r.I., vincitrice della relativa gara, la gestione per dieci anni di impianti sportivi rientranti nel patrimonio indisponibile dell’ente territoriale, l’Agenzia delle Entrate notificava avviso di liquidazione della imposta di registro, ritenendo non corretta l’applicazione dell’imposta di registro dell’1% del canone di concessione, ai sensi dell’art. 5 della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.p.r. n. 131 del 1986 e dell’art. 40, co. 1 bis, d.p.r. n. 131 del 1986, trovando invece applicazione l’aliquota del 3%, ai sensi dell’art. 9 della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.p.r. n. 131 del 1986.
Il Comune impugnava l’avviso sostenendo la piena equiparabilità, ai fini qui considerati, dei beni patrimoniali indisponibili (art. 826 c.c.) ai beni demaniali (art. 822 c.c.), la rilevanza della disciplina dettata dagli artt. 40, co. 1 bis, d.p.r. n. 131 del 1986 e 5 lett. a-bis) della Tariffa, allegata al d.p.r. citato, e la applicabilità dell’aliquota d’imposta dell’1% del valore dei canoni di concessione.
La Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia respingeva il ricorso e la decisione, su appello del contribuente, era riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Liguria, con sentenza n. 990 in data 4/5/2017, depositata in data 5/7/2017.
Rilevava il giudice di appello che l’art. 9 della Tariffa, “che ha, evidentemente, natura residuale ed è applicabile solo qualora l’atto non rientri in una specifica previsione normativa”, non può trovare applicazione nella fattispecie concreta, viceversa disciplinata dal comma 1 dell’art. 5, il quale “stabilisce che le locazioni e gli affitti di beni immobili sono soggetti a registrazione con aliquota dell’1% (lett. a) quando hanno per oggetto immobili strumentali, ancorché assoggettati ad IVA e con l’aliquota del 2% (lett. b) in ogni altro caso” o dal comma 2 della medesima disposizione, “sempre con l’aliquota del 2%, in caso di concessioni di beni demaniali, cessioni e surrogazioni relative”.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, con un motivo, cui resiste il contribuente con controricorso e memoria.
Ragioni della decisione
Con il motivo di impugnazione la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 9, Tariffa, Parte Prima, allegata al d.p.r. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., perché il giudice di appello ha condiviso la tesi del Comune di La Spezia senza considerare che l’atto di concessione si presenta come una convenzione dal contenuto complesso nel quale le parti assumono obblighi reciproci anche di contenuto patrimoniale, cosa che esclude l’assimilabilità del rapporto così costituito ad una locazione di immobili strumentali. Sottolinea che se l’ente locale intende affidare a terzi la gestione di impianti sportivi, rientranti non tra i beni demaniali ma tra quelli del suo patrimonio indisponibile, mediante concessione amministrativa, la relativa convenzione sconta l’imposta di registro nella misura del 3%, come previsto dall’art. 9, Tariffa, Parte Prima, allegata al d.p.r. n. 131 del 1986.
La censura è infondata
Dalla lettura degli artt. 822 e 824 c.c., si evince che i beni soggetti al regime dei beni demaniali, qualora appartengano al Comune, sono le strade, le autostrade, le strade ferrate, gli aerodromi, gli acquedotti, gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche, nonché i cimiteri ed i mercati comunali.
Fanno, inoltre, parte del patrimonio dell’ente locale due ulteriori categorie di beni e precisamente i beni del patrimonio indisponibile, individuati dall’art. 826 c.c., tra i quali gli edifici destinati a sede di uffici pubblici (con i loro arredi) e gli altri beni destinati ad un pubblico servizio (es. asili, case di riposo ed impianti sportivi), nonché i beni del patrimonio disponibile, che comprendono i restanti beni del Comune, non individuati dal codice civile, tra i quali gli edifici destinati ad uso di abitazione, gli uffici privati, gli immobili ad uso commerciale ed industriale.
Essi, al pari dei beni demaniali, sono sottoposti, nel caso di trasferimento in godimento a terzi, al regime giuridico delle concessioni amministrative, mentre per quanto concerne i beni del patrimonio disponibile dell’ente si fa invece riferimento a quanto previsto dalla disciplina privatistica della locazione degli immobili.
In passato, l’Agenzia delle Entrate, nel definirne l’inquadramento fiscale delle operazioni di cui qui si discute, ha sostenuto che l’ente, agendo in veste di pubblica autorità, esulasse dal campo di applicazione dell’IVA, ma al riguardo si è espressa la Corte di Giustizia europea che, con la sentenza 25/10/2007, causa C-174/06, ha affermato il ‘principio per il quale “la concessione di beni immobili demaniali posta in essere da un ente privo dei poteri propri della pubblica autorità è un’operazione rilevante ai fini Iva”.
Da qui l’orientamento per il quale i contratti posti in essere tra ente locale e altri soggetti, aventi ad oggetto la concessione di beni demaniali o del patrimonio indisponibile a fronte di un corrispettivo (cd. canone di concessione), si configurano come un’operazione rilevante ai fini IVA, atteso che i contratti/convenzioni hanno natura «pattizia», comportano obblighi reciproci tra le parti e non rilevano alcun potere autoritativo esercitato unilateralmente dall’ente concedente.
Questa Corte, in applicazione di tali principi e richiamando gli orientamenti europei, ha avuto occasione di affermare, in tema di IVA, che “ai sensi dell’art. 4, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, la gestione di servizi cimiteriali, l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica ed i servizi polifunzionali da parte del Comune, sono attività esenti da imposta, in quanto prive del requisito della commercialità e svolte dall’ente pubblico in veste di pubblica autorità ed “in conformità” alle finalità istituzionali.” (Cass. n. 2639/2015) ed ancora, sempre in tema di IVA, che “è soggetto passivo chiunque eserciti un’attività economica che, ai sensi dell’art. 4 della Direttiva 17 maggio 1977 n. 77/388/CEE (norma oggi sostituita senza apprezzabile variazioni dall’art. 9 della Direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE), come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria, comprende ogni operazione di “sfruttamento” del bene, da intendersi come possibilità di trarre da esso in modo stabile un’utilità sotto forma di corrispettivo, mentre va esclusa la “redditività”, intesa come idoneità dell’attività a produrre reddito integri un presupposto impositivo.” (Cass. n. 20713/2014).
In altri termini, l’attività dell’ente pubblico svolta a titolo oneroso può essere considerata non soggetta ad imposizione solo quando viene svolta nell’esercizio del potere-dovere istituzionale ed in regime di monopolio, quando cioè la stessa attività non possa essere svolta anche da soggetti di diritto privato.
Nuova valenza al concetto di pubblica autorità è stata data dalla sentenza della Corte di giustizia Ce 14.12.2000, causa C-446/98, la quale ha previsto che “le attività esercitate in quanto pubbliche autorità (…) sono quelle svolte dagli enti pubblici nell’ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in base allo stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati”.
Ne discende che, per stabilire se un ente pubblico agisca o meno in veste di pubblica autorità, si rende necessario individuare le «modalità di svolgimento dell’attività», ovvero valutare se l’attività è caratterizzata dall’esercizio di poteri di natura unilaterale ed autoritativa o se si svolga su base sostanzialmente «pattizia», attraverso una disciplina che individui le reciproche posizioni soggettive.
La medesima sentenza, inoltre, ha sottolineato che ai fini dell’inclusione nel campo di applicazione dell’Iva non assume rilievo l’oggetto o il fine dell’attività svolta dall’ente e neppure l’eventuale appartenenza dei beni utilizzati nell’attività al demanio o al patrimonio dell’ente.
Le attività degli enti pubblici, quindi, non sono assoggettabili ad Iva quando gli enti agiscono nella loro veste di pubblica autorità, in quanto soggetti di diritto pubblico, mentre sono assoggettate al tributo armonizzato le attività svolte dall’ente alla stregua di un qualunque soggetto di diritto privato, indipendentemente dall’oggetto dell’attività e dei beni impegnati nello svolgimento della stessa.
Orbene, il motivo di ricorso per cassazione non tiene conto di quanto precede e neppure individua specifici errori di diritto in cui la CTR della Liguria sia eventualmente incorsa nella qualificazione dell’atto oggetto di tassazione, in ragione della acclarata commercialità dell’attività affidata al soggetto privato, e si appalesa addirittura non autosufficiente (art. 366 c.p.c.) laddove non riporta l’intero contenuto delle clausole convenzionali che regolano il rapporto.
Va da sé che la mera riproduzione degli argomenti svolti nei gradi di merito non consente a questa Corte di verificare l’eventuale erronea applicazione della disciplina fiscale invocata posto che, dalla lettura della impugnata sentenza, si evince che il giudice di appello ha accertato che “l’importo del canone versato all’Ente territoriale è assoggettato a IVA e che tale circostanza, oltre all’intenzione delle parti quale desumibile dal “contratto di concessione per la gestione degli impianti sportivi comunali”, induce a ritenere che l’attività di gestione del “patrimonio immobiliare indisponibile” da parte dell’Ente locale configuri attività commerciale”.
La soluzione della controversia, ed il corretto inquadramento fiscale dell’operazione, avuto anche riguardo al principio di alternatività IVA/Registro (art. 40, d.p.r. n. 131 del 1986, risiede non nel rilievo della natura dei beni concessi in godimento alla Società Sportiva Dilettantistica S. ma dal fatto che l’operazione de qua, come ‘evidenziato dal giudice di merito, concretizza una prestazione di servizi rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.
Quanto, poi, alla misura dell’imposta di registro, la CTR ha correttamente ritenuto di escludere l’applicabilità dell’art. 9 della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.p.r. n. 131 del 1986, considerato che si tratta di disposizione del tutto residuale che riguarda la tassazione proporzionale degli “Atti diversi da altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale: 3%”.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in € 2.200,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed altri accessori di legge.
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