CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2022, n. 29763
Accertamento ispettivo – Omesso versamento di premi e contributi – Opposizione agli atti esecutivi – Rimborsi spese – Compensazione di voci non comparabili – Esclusione
Fatti di causa
1. I, società cooperativa a responsabilità limitata, ha agito in giudizio nei confronti dell’INAIL e dell’INPS dinanzi al Tribunale di Alessandria, al fine di accertare l’insussistenza dell’obbligo di corrispondere le somme pretese dall’INAIL con raccomandata del 21 marzo 2012 e dall’INPS con raccomandata del 12 novembre 2012 a titolo di premi e contributi non versati per lavoratori dipendenti, in relazione all’accertamento della Direzione provinciale del lavoro di Alessandra dell’8 marzo 2010.
I si è opposta, inoltre, all’avviso di addebito 30120130000906138000 del 23 agosto 2013, notificato il 9 settembre 2013, che le ha ingiunto il pagamento della somma di Euro 109.488,81, a titolo di contributi non versati per lavoratori dipendenti nel periodo ottobre 2007/settembre 2009, in relazione alla richiesta di pagamento formulata dall’INPS il 12 novembre 2012 e al predetto verbale di accertamento dell’8 marzo 2010.
Il Tribunale di Alessandria ha respinto il ricorso, rilevando che:
a) l’avviso di addebito consente d’identificare la pretesa dell’INPS e comunque l’opposizione è tardiva, in quanto proposta allorché era già decorso il termine sancito dall’art. 617 cod. proc. civ.;
b) il verbale ispettivo ha tenuto conto del contratto collettivo indicato dalla cooperativa nel regolamento e, a fronte di tale dato, non è pertinente il richiamo all’art. 36 Cost. come parametro di valutazione della retribuzione complessivamente considerata;
c) ai lavoratori non sono state corrisposte le somme dovute per legge e per contratto a titolo di tredicesima, trattamento di fine rapporto e integrazione del trattamento di malattia;
d) non sono state assoggettate a contribuzione le somme erogate per rimborso spese, senza tuttavia giustificare in alcun modo gli esborsi effettuati;
e) non stati prospettati elementi specifici idonei a confutare i rilievi dell’accertamento;
f) l’imponibile in materia di contribuzione previdenziale e assicurativa è disciplinato dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 1989, n. 389, e non hanno alcun rilievo le previsioni del regolamento interno della cooperativa.
2. La sentenza è stata appellata dalla società cooperativa.
Con sentenza pronunciata il 13 aprile 2016 e pubblicata il 15 luglio 2016, con n. 214, la Corte d’appello di Torino ha respinto il gravame, in base ai seguenti rilievi:
a) per ammissione della stessa parte appellante, le contestazioni sui vizi formali devono essere dedotte nel termine di venti giorni dalla notificazione dell’avviso di addebito ed è irrilevante, ai fini della richiesta di rimessione in termini, la mancata indicazione nell’avviso di addebito del termine per proporre opposizione agli atti esecutivi:
nella cartella devono essere inserite le sole avvertenze in ordine all’impugnazione sul merito della pretesa e, ad ogni modo, neppure sussiste il vizio denunciato, in quanto l’avviso di addebito reca un richiamo inequivocabile al verbale ispettivo dell’8 marzo 2010;
b) dopo accurata analisi della documentazione prodotta, gl’ispettori hanno rilevato che la cooperativa non ha adempiuto agli obblighi previsti dalla legge e dal contratto collettivo con riguardo a tredicesima mensilità, festività, trattamento di fine rapporto, ferie, indennità di malattia e hanno così provveduto, «lavoratore per lavoratore e mese per mese», nel periodo dal 2005 al 2009, a ridefinire gl’imponibili previdenziali: sono stati quindi inclusi anche i rimborsi spese, per i quali non è stata fornita alcuna documentazione giustificativa attestante, a titolo esemplificativo, spese di vitto o di trasporto e per i quali sono state comunque addotte in giudizio spiegazioni generiche in ordine alla diversa qualificazione come indennità di trasferta;
c) come risulta anche dalla testimonianza dell’ispettrice G.M., gl’importi dovuti a titolo di tredicesima, ferie e integrazione del trattamento di malattia sono stati quantificati alla stregua delle previsioni del contratto collettivo applicato «nella misura in cui, lavoratore per lavoratore» non sono stati corrisposti: la stessa società cooperativa, nel riferire che «in molti casi tredicesima, ferie e indennità malattia sono state pagate», ammette che in altri casi il pagamento di tali voci è stato omesso;
d) quanto all’assunto dell’appellante che la retribuzione corrisposta, comprensiva delle indennità, non sia inferiore a quella derivante dall’integrale applicazione del contratto collettivo con riguardo a tredicesima, ferie e integrazione di malattia, non può essere condiviso: il punto nodale è se la cooperativa abbia pagato tredicesima, ferie e integrazione di malattia nella misura stabilita dal contratto collettivo e se gli asseriti rimborsi spese siano realmente tali o se, al contrario, debbano essere assoggettati a contribuzione; non si possono compensare voci come rimborsi spese o indennità, anche a voler assegnare loro natura retributiva, con voci come tredicesima, ferie e integrazione malattia;
e) per quel che concerne le festività e l’integrazione per malattia, si è tenuto conto del contratto collettivo applicato dalla cooperativa, ma le conclusioni non mutano assumendo come parametro il contratto collettivo prodotto in giudizio dall’appellante.
3. Contro questa sentenza, mai notificata, la società cooperativa I. ricorre per cassazione, con atto notificato il 13 gennaio 2017 e basato su cinque motivi, illustrati da memoria.
4. L’INPS e l’INAIL resistono con controricorso.
5. La causa è stata fissata per la trattazione in camera di consiglio dinanzi a questa sezione, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1 cod. proc. civ.
6. Il pubblico ministero non ha depositato in cancelleria conclusioni scritte.
Motivi della decisione
1. I Società cooperativa a responsabilità limitata chiede di cassare la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 214 del 2016, in base a cinque motivi, che possono essere così compendiati.
1.1. Con il primo mezzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, del decreto del Ministero delle finanze 28 giugno 1999 (Approvazione dei modelli della cartella di pagamento e dell’avviso di intimazione ai sensi degli articoli 25 e 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602) e dell’art. 3, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
Avrebbe errato la Corte d’appello nel negare la rimessione in termini e nel reputare tardiva l’opposizione agli atti esecutivi.
L’art. 1, comma 2, del d.m. 28 giugno 1999 non distinguerebbe tra opposizioni relative a vizi formali e opposizioni inerenti al merito della pretesa e richiederebbe in via generale, in armonia con le prescrizioni dell’art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990, l’indicazione delle modalità e dei termini d’impugnazione delle cartelle.
Meriterebbe dunque di essere rimeditato, in quanto fondato su un’interpretazione riduttiva del dato normativo, l’orientamento di questa Corte (Cass., sez. lav., 30 dicembre 2009, n. 27824), che non considera essenziale la specificazione – nella cartella notificata – del termine per proporre opposizione agli atti esecutivi e postula come indefettibile la sola indicazione dei termini per contestare il merito delle pretese.
Nel caso di specie, peraltro, l’avviso di addebito, nel menzionare un unico termine di quaranta giorni, avrebbe ingenerato il ragionevole affidamento circa l’applicabilità del medesimo termine anche alle opposizioni agli atti esecutivi. Sussisterebbero, pertanto, i presupposti per rimettere in termini il contribuente, che tale affidamento ha riposto.
1.2. Con il secondo motivo, la cooperativa censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
L’avviso di addebito richiamerebbe un inesistente verbale ispettivo del 5 novembre 2012, notificato il 15 novembre 2012, e contravverrebbe all’art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990, che impone d’indicare e rendere disponibile anche l’atto dell’amministrazione da cui risultano le ragioni della decisione.
1.3. Con la terza doglianza, svolta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia contrasto irriducibile tra motivazioni inconciliabili.
La sentenza impugnata avrebbe considerato talune voci come retribuzione, assoggettandole alla relativa contribuzione, per poi contraddittoriamente disconoscere ogni rilievo delle componenti indicate nella verifica di congruità della retribuzione complessiva rispetto alle previsioni del contratto collettivo applicato.
1.4. Con la quarta censura, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., che imporrebbe all’Istituto di dedurre la tipologia delle festività e i lavoratori cui tali festività non sarebbero state pagate.
La Corte di merito, nel far gravare sulla cooperativa «anche il pagamento di festività di cui non solo non si era definita la natura, ma neppure si era provata da parte degli Enti appellati il mancato pagamento», avrebbe violato, pertanto, l’art. 2697 cod. civ.
1.5. Con il quinto motivo, la ricorrente allega, infine, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. con riguardo all’integrazione per malattia.
L’INPS, nel caso di specie, non avrebbe dimostrato il titolo (l’integrazione per malattia e la spettanza in relazione a ciascun lavoratore).
La Corte territoriale si sarebbe limitata ad argomentare che l’integrazione per malattia è prevista e regolata sia dal contratto collettivo prodotto dall’INPS sia da quello invocato dalla cooperativa, senza considerare che l’INPS non ha né dedotto né provato «quanta e quale malattia in integrazione fosse stata erogata, e quanta ne fosse stata calcolata come dovuta, e in relazione a quali lavoratori, e se essi avessero due o più anni di anzianità».
La sentenza impugnata, in violazione dell’art. 2697 cod. civ., avrebbe considerato pacifica la circostanza del mancato pagamento dell’integrazione in esame, «assolvendo l’INPS dalla prova del fatto costitutivo del credito».
2. Occorre esaminare, in primo luogo, l’eccezione di tardività dell’odierno ricorso, sollevata dall’INAIL.
2.1. La sentenza sarebbe stata pubblicata il 15 luglio 2016 e sarebbe tardivo il ricorso notificato il 16 gennaio 2017.
2.2. L’eccezione dev’essere disattesa.
Come correttamente rileva la parte ricorrente nella memoria illustrativa (pagine 1 e 2) e come emerge dagli atti di causa, il ricorso è stato ritualmente avviato alla notifica il 13 gennaio 2017 nei confronti tanto dell’INPS quanto dell’INAIL ed è questo termine, relativo al perfezionarsi del procedimento notificatorio per il notificante, che rileva ai fini dello scrutinio della tempestività dell’impugnazione.
Ad ogni modo, il ricorso sarebbe tempestivo anche a voler assumere come data di notifica il 16 gennaio 2017, in quanto il 15 gennaio 2017, data di scadenza del termine lungo di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (art. 327, primo comma, cod. proc. civ.), cade di domenica e il 16 gennaio 2017 è giorno ancora utile, considerando la proroga di diritto del termine che scade di sabato o di domenica al primo giorno non festivo successivo (art. 155, commi quarto e quinto, cod. proc. civ.).
3. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto implicano la soluzione delle medesime questioni giuridiche. Essi sono inammissibili.
3.1. Come si può desumere dalla sentenza impugnata (pagina 5), il giudice di prime cure ha qualificato come opposizione agli atti esecutivi quella proposta dall’odierna ricorrente, per far valere i vizi formali dell’avviso di addebito e, in particolare, la carenza degli elementi idonei a consentire l’esatta identificazione della pretesa dell’INPS.
Sulla scorta di tali considerazioni, il Tribunale di Alessandria ha ritenuto tardiva l’azione proposta oltre il termine di venti giorni prescritto dall’art. 617 cod. proc. civ.
Tale statuizione è stata impugnata con l’appello, in ragione della necessità di rimettere in termini la cooperativa, ignara del termine di decadenza previsto per dedurre vizi formali e dunque legittimata a dolersi della nullità dell’avviso di addebito perché sprovvisto dell’indicazione delle ragioni della pretesa dell’Istituto (pagina 6 della sentenza impugnata, che così riassume i motivi di gravame).
La questione della rimessione in termini e della nullità dell’avviso di addebito è prospettata, rispettivamente, con il primo e con il secondo motivo di ricorso per cassazione.
3.2. Le doglianze proposte, così ricostruite, si palesano inammissibili, per ragioni rilevabili ex officio da questa Corte e diverse da quelle illustrate dall’INPS, che fa leva sul difetto di autosufficienza e sulla mancata trascrizione dell’avviso di addebito, e dall’INAIL, che pone l’accento sull’irrituale tentativo di ottenere, in sede di legittimità, una rivalutazione dell’esaustivo accertamento di fatto compiuto nei gradi di merito.
La sentenza del Tribunale di Alessandria, nella parte in cui ha ricondotto all’opposizione agli atti esecutivi le critiche d’indole formale mosse dalla cooperativa, era impugnabile unicamente con il ricorso per cassazione, alla stregua dell’inequivocabile disposto dell’art. 618 cod. proc. civ.
Peraltro, la qualificazione espressa adottata dal Tribunale di Alessandria, neppure contraddetta dall’odierna ricorrente, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
È oramai consolidato, a tale riguardo, l’orientamento che inquadra come opposizione agli atti esecutivi, da instaurare nei termini dell’art. 617 cod. proc. civ., la contestazione dell’assoluta indeterminatezza della cartella di pagamento, per mancanza di motivazione (Cass., sez. III, 19 ottobre 2015, n. 21080, in continuità con Cass., sez. lav., 30 novembre 2009, n. 25208), e ascrive all’ambito dei vizi formali la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, dedotta nell’odierno giudizio (Cass., sez. lav., 10 maggio 2019, n. 12531).
La carenza di motivazione, invero, si risolve in carenza dei requisiti formali minimi di validità del titolo esecutivo e, in particolare, in carenza «delle indicazioni necessarie per identificare il credito e per rendere possibile la difesa di merito, carenza che si può far valere soltanto con l’opposizione di cui all’art. 617 cod. proc. civ.» (Cass., sez. lav., 12 aprile 2019, n. 10340).
La qualificazione esplicita dell’azione come opposizione agli atti esecutivi avrebbe imposto all’odierna ricorrente d’impugnare con il ricorso per cassazione, e non con l’appello, le statuizioni del Tribunale di Alessandria, anche in ordine alla richiesta preliminare di ottenere una rimessione in termini, ribadita dinanzi a questa Corte con il primo mezzo, che sollecita la revisione dell’orientamento espresso anche di recente (Cass., sez. lav., 14 gennaio 2022, n. 1103, punto 3.1.b.).
Né le statuizioni del giudice di prime cure, che si devono reputare oramai irretrattabili in difetto di rituale e tempestivo ricorso per cassazione, possono essere surrettiziamente rimesse in discussione mediante l’impugnativa della pronuncia della Corte d’appello che le ha confermate, rigettando il gravame della cooperativa.
Si deve dare continuità, in conclusione, a quanto questa Corte ha affermato di recente, ritenendo l’inammissibilità di un motivo confezionato in maniera affine, «per intervenuto giudicato interno, dal momento che, avendo il primo giudice qualificato come opposizione agli atti esecutivi la doglianza dell’odierna ricorrente concernente l’invalidità delle intimazioni di pagamento per omessa (rectius, inesistente) notifica delle cartelle presupposte, tale statuizione andava impugnata non già con l’appello, bensì con il ricorso straordinario per cassazione» (Cass., sez. lav., 27 giugno 2022, n. 20518).
4. Sgombrato il campo dalle censure di carattere formale, si può procedere all’esame delle contestazioni sul merito della pretesa dell’INPS e dell’INAIL, così come tempestivamente dedotte dalla cooperativa.
5. È infondato il terzo mezzo, che denuncia nella sua essenza l’anomalia della motivazione.
L’improprio richiamo per lapsus calami all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., precisato nella memoria illustrativa (pagine 6 e 7) in replica ai rilievi d’inammissibilità dell’INPS incentrati sulla formale articolazione del motivo (pagina 6 del controricorso), non impedisce d’intendere e di qualificare rettamente la censura come denuncia di una violazione costituzionalmente rilevante.
5.1. L’anomalia denunciata, ancor oggi deducibile in sede di legittimità (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053) anche al cospetto di una “doppia conforme”, si sostanzierebbe nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
La Corte di merito, pur considerando come retribuzione ai fini dell’imposizione contributiva alcune voci esaminate nel corso dell’accertamento ispettivo, le espungerebbe – con contraddizione insanabile – dalla complessiva valutazione di conformità della retribuzione alle previsioni del contratto collettivo.
5.2. L’antinomia denunciata non sussiste.
La sentenza impugnata ha correttamente delimitato il tema del decidere, che verte sull’accertamento della corrispondenza della retribuzione in concreto corrisposta a quella che sarebbe dovuta, in virtù del contratto collettivo destinato a trovare applicazione per ammissione della stessa cooperativa (pagina 11).
Tale corrispondenza è stata puntualmente riscontrata sulla scorta della documentazione prodotta, per ognuno dei lavoratori coinvolti e per l’intero arco temporale rilevante.
All’esito di un meticoloso accertamento ispettivo, confermato dalle prove testimoniali acquisite in causa e non confutato in modo efficace dalla cooperativa, sono stati quantificati gl’importi dovuti per tredicesima, ferie e integrazione del trattamento di malattia, «quando gli stessi, dalla documentazione esaminata, sono risultati non corrisposti e nella misura in cui, lavoratore per lavoratore, non lo sono stati» (pagina 10 della sentenza d’appello). Peraltro, la stessa cooperativa ha ammesso che, in alcuni casi, queste voci non sono state corrisposte, limitandosi a evidenziare che, in molti casi, non meglio specificati, gl’importi sono stati regolarmente pagati (pagina 11).
La Corte territoriale, in seguito a tale disamina, ha ritenuto privo di consistenza il tentativo della parte ricorrente di compensare voci che essa stessa ha qualificato come “rimborsi spese”, pur senza produrre i documenti di supporto, con voci del tutto eterogenee, che non sono state corrisposte secondo gli accertamenti ispettivi espletati (pagina 13 della sentenza della Corte torinese).
Peraltro, su queste voci, denominate “rimborso spese” e giustificate solo nel corso della causa come compensi per trasferte, la Corte d’appello ha escluso, con valutazione che non risulta adeguatamente censurata, che siano stati acquisiti elementi risolutivi (pagina 13 della sentenza che ripercorre le testimonianze acquisite), atti a suffragarne la diversa imputazione oggi tratteggiata.
A fondamento della decisione, la Corte di merito ha indicato una motivazione perspicua, coerente nei passaggi in cui si dipana e scevra dalle anomalie censurate: non si possono compensare voci non comparabili.
La cooperativa pretende, al contrario, di sovvertire tale premessa e di porre a raffronto tredicesima, ferie e integrazione del trattamento di malattia, vagliate caso per caso in sede ispettiva, e le diverse voci che la stessa cooperativa ha indicato come rimborso spese, salvo adoperarsi ex post per mutarne la qualificazione e imputarle ad altre componenti del trattamento retributivo.
L’eterogeneità delle voci che si chiede di compensare e la strumentalità della riqualificazione dei rimborsi spese e dell’imputazione a diverse voci della retribuzione sono ragioni intelligibili della decisione adottata e risultano tutt’altro che inconciliabili «per la contradizion che nol consente».
6. Inammissibili si rivelano, infine, la quarta e la quinta doglianza, che possono essere esaminate congiuntamente, in quanto investono – rispettivamente per le festività non retribuite e per l’integrazione del trattamento di malattia – il medesimo profilo della violazione dell’art. 2697 cod. civ.
6.1. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. può essere ritualmente dedotta in sede di legittimità solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata, secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., sez. lav., 20 luglio 2022, n. 22782, punto 8.2.).
Mediante la violazione dell’art. 2697 cod. civ., non si può censurare la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sul presupposto della corretta individuazione della parte gravata dall’onere di offrirle in causa (Cass., sez. II, 22 luglio 2022, n. 22956, punto 8.2.). In questo caso si configura un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nei rigorosi limiti oggi tracciati dal codice di rito (Cass., sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313).
Esula dai compiti di questa Corte la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e la formulazione di una propria valutazione delle prove, che si sovrapponga a quella compiuta dai giudici di merito e assecondi il più appagante coordinamento dei dati di fatto, vagheggiato dal ricorrente.
Questa Corte è chiamata a verificare se il provvedimento impugnato abbia dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della decisione e se la motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria e se il ragionamento probatorio abbia o meno travalicato i limiti del ragionevole e del plausibile.
6.2. Nel caso di specie, il giudice del gravame non si è discostato dalla regola di riparto dell’onere della prova che questa Corte ha ribadito a più riprese in tema di riscossione di contributi previdenziali:
l’opposizione avverso la cartella esattoriale di pagamento instaura un giudizio ordinario di cognizione su diritti ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale e, nel contesto di tale giudizio, grava sull’ente previdenziale l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa (fra le molte, Cass., sez. lav., 28 aprile 2017, n. 10583).
Come si è già evidenziato nello “Storico di lite” e nello scrutinio della terza censura, la Corte di merito ha tenuto nel debito conto le risultanze dell’accertamento ispettivo, basato sulla disamina di una considerevole mole di documenti (pagina 9) e confermato anche dalle prove orali acquisite (pagina 10), e si è attenuta all’analitica quantificazione, «lavoratore per lavoratore» (pagina 10), delle diverse voci non corrisposte, anche per le festività e l’integrazione del trattamento di malattia che formano oggetto del quarto e del quinto mezzo.
In tale ponderato apprezzamento, la Corte territoriale ha assunto a parametro le previsioni del contratto collettivo che la cooperativa ha affermato di applicare, in virtù del suo regolamento interno e delle stesse clausole dei contratti di lavoro stipulati con i soci, ha richiamato, quanto alle festività e all’integrazione per malattia (pagine 11 e 12 della sentenza), le pertinenti pattuizioni negoziali e, nel motivare le conclusioni raggiunte, ha valorizzato anche la genericità delle contestazioni dell’odierna ricorrente in merito ai pagamenti effettuati (pagina 11).
Tale articolata motivazione, lungi dal porre a carico della cooperativa un onere della prova che non le incombe, si traduce nel riconoscimento della fondatezza della pretesa delle parti controricorrenti, all’esito del meticoloso e globale vaglio critico di tutte le emergenze istruttorie e delle argomentazioni delle parti.
Vaglio critico che, sotto le sembianze della dedotta violazione di legge, la parte ricorrente, con rilievi generici e privi di carattere decisivo, ambisce irritualmente a scardinare, ad onta di due pronunce di merito fondate sulle medesime ragioni di fatto.
Colgono nel segno, pertanto, i rilievi d’inammissibilità, formulati tanto dall’INPS quanto dall’INAIL con riguardo alle critiche in esame.
7. Dalle considerazioni svolte discende, in ultima analisi, il rigetto del ricorso.
8. A norma dell’art. 385, primo comma, cod. proc. civ., la parte ricorrente dev’essere condannata a rifondere a ciascuna delle parti controricorrenti le spese di lite, liquidate nella misura indicata in dispositivo alla luce del valore della controversia e dell’attività processuale svolta.
9. A norma dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228), il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si deve dare atto con la presente ordinanza (Cass., S.U., 27 novembre 2015, n. 24245), per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rifondere alle parti controricorrenti le spese del giudizio, che liquida per ciascuna di esse in Euro 7.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.