CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2022, n. 29830
Previdenza – Stato di handicap grave – Accertamento tecnico preventivo ex art. 445-bis c.p.c. – Fattispecie completa e non frazionaria – Legittimazione passiva INPS
Fatti di causa
1. Il signor S.G. ha promosso un accertamento tecnico preventivo obbligatorio (art. 445-bis cod. proc. civ.), allo scopo di sentire riconoscere lo stato di handicap grave, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).
L’INPS, il 24 febbraio 2016, ha presentato ricorso introduttivo del giudizio, a norma dell’art. 445-bis, sesto comma, cod. proc. civ. e ha eccepito:
a) l’inammissibilità dell’azione di accertamento mero del requisito sanitario, proposta senza alcuna indicazione della specifica prestazione richiesta: tale lacuna impedirebbe di riscontrare la sussistenza «d’un interesse ad agire concreto ed attuale»;
b) la propria carenza di legittimazione passiva, in quanto spetterebbe ad altri enti l’erogazione delle prestazioni connesse con l’handicap grave.
2. Con sentenza pronunciata il 15 luglio 2016 e pubblicata il 13 settembre 2016, con il numero 599 del 2016, il Tribunale di Genova ha rigettato l’opposizione, confermando le risultanze dell’accertamento peritale, e ha condannato l’INPS a rifondere a S.G. metà delle spese del giudizio, compensando tra le parti il residuo mezzo.
A fondamento della decisione, il Tribunale di Genova ha argomentato che:
a) l’accertamento dell’handicap grave, pur propedeutico all’erogazione di svariate provvidenze e di molteplici agevolazioni, verte essenzialmente su «uno status della persona», che si configura come «un bene della vita autonomo all’interno dell’ordinamento giuridico, meritevole in sé di tutela giurisdizionale»;
b) l’handicap grave non integra una «mera condizione di fatto» e dunque una frazione della fattispecie costitutiva del diritto, che può formare oggetto dell’accertamento del giudice solo nella sua interezza;
c) un’interpretazione che costringa il disabile alla preventiva identificazione dei benefici che rivendica gli renderebbe «più difficile l’accesso alla giustizia per la protezione dei suoi diritti in contraddizione con gli strumenti apprestati dalla legge per la persona affetta da handicap» e pregiudicherebbe la «necessaria effettività delle tutele»;
d) sussiste la legittimazione passiva dell’INPS, che è subentrato allo Stato in ogni funzione riguardante l’invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l’handicap e la disabilità;
e) la presenza di orientamenti contrastanti in ordine all’interesse ad agire giustifica la compensazione per un mezzo delle spese di lite che, per il residuo mezzo, possono esser poste a carico dell’INPS.
3. Contro questa sentenza, l’INPS ricorre per cassazione, con atto notificato l’8-15 marzo 2017 e affidato a due motivi.
4. S.G. resiste con controricorso.
5. La causa è stata fissata per la trattazione in camera di consiglio dinanzi a questa sezione, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1 cod. proc. civ.
6. Il pubblico ministero non ha depositato in cancelleria conclusioni scritte.
Il controricorrente, in prossimità dell’adunanza camerale, ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. L’INPS chiede a questa Corte, in base all’art. 445-bis, ultimo comma, cod. proc. civ. e all’art. 111 Cost., di cassare la sentenza n. 599 del 2016, pronunciata dal Tribunale di Genova, sulla scorta di due motivi che si possono così compendiare.
1.1. Con il primo mezzo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 445-bis cod. proc. civ. e dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e imputa alla Corte territoriale di avere ammesso un’azione autonoma di mero accertamento di fatti come l’handicap grave, che, isolatamente considerati, rappresenterebbero soltanto «elementi frazionari della fattispecie costitutiva di un diritto».
Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile l’azione, volta a «ottenere un accertamento da far valere solo in vista di situazioni del tutto ipotetiche» e sprovvista dell’indicazione dell’utilità che s’intende conseguire.
1.2. Con la seconda censura, l’Istituto denuncia, sempre in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 102 cod. proc. civ., dell’art. 130 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), dell’art. 10 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, e dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992.
Il Tribunale di Genova avrebbe errato nel ritenere l’INPS l’unico legittimato passivo nel giudizio volto all’accertamento dello status di handicap grave, presupposto dell’attribuzione di benefici erogati da altri soggetti come la Provincia, l’ASL, l’Agenzia delle Entrate, il Comune, l’eventuale datore di lavoro.
Il G., nel presentare ricorso per accertamento tecnico preventivo obbligatorio, non soltanto non avrebbe richiesto l’attribuzione di benefici chiaramente individuati, ma neppure avrebbe chiamato in giudizio gli enti incaricati di erogare le provvidenze.
Il contraddittorio sarebbe stato instaurato soltanto nei confronti dell’INPS, che neppure sarebbe «titolare dal lato passivo del rapporto obbligatorio», e l’accertamento ottenuto, dunque, non potrebbe essere opposto ad altri soggetti, che, pur deputati a elargire i benefici in esame, non sono stati ritualmente convenuti in giudizio.
2. Le contestazioni dell’INPS si appuntano sull’accertamento dello stato di handicap grave, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, e attengono, anzitutto, alla carenza d’interesse ad agire del ricorrente e, in secondo luogo, al difetto d’integrità del contraddittorio.
L’INPS ha prospettato tali profili preliminari, nel formulare dichiarazione di dissenso, che preclude l’emissione del decreto di omologa. In sede di dissenso, invero, possono essere dedotte non solo le critiche all’accertamento peritale, ma anche le contestazioni sugli aspetti preliminari, concernenti i presupposti processuali e le condizioni dell’azione, che sono stati oggetto della verifica giudiziale e non sono stati ritenuti preclusivi dell’ulteriore corso del giudizio (Cass., sez. lav., 2 agosto 2019, n. 20847).
Entrambe le censure, che devono essere esaminate congiuntamente per l’intima connessione che le avvince, sono infondate.
3. Il ricorrente muove dalla corretta premessa che l’accertamento tecnico preventivo di cui all’art. 445-bis cod. proc. civ. presupponga, come proiezione dell’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ., la rispondenza dell’accertamento medico-legale, richiesto in vista di una prestazione previdenziale o assistenziale, a una concreta utilità.
Tale requisito potrebbe difettare ove siano manifestamente carenti, alla stregua di una valutazione prima facie, altri presupposti della prestazione richiesta. Si deve evitare, difatti, il rischio della proliferazione smodata del contenzioso sull’accertamento del requisito sanitario (Cass., sez. VI-L, 26 maggio 2021, n. 14629; Cass., sez. VIL, 5 febbraio 2020, n. 2587): la giurisdizione è «risorsa non illimitata» e tale rilievo s’impone soprattutto «a fronte di una crescente domanda di giustizia» (Corte cost., sentenza n. 77 del 2018, punto 13 del Considerato in diritto).
Nella medesima prospettiva, s’inquadra l’esigenza di una specifica individuazione della prestazione richiesta, essenziale sul piano dell’interesse ad agire: non si può dunque ritenere ammissibile la richiesta di un accertamento sanitario genericamente individuato (Cass., sez. VI-L, 24 novembre 2021, n. 36382).
Nel caso di specie, sussiste l’interesse ad agire, concreto e attuale, di chi ha promosso la procedura di accertamento dell’handicap grave e la statuizione del Tribunale genovese resiste, pertanto, alle censure proposte con il primo mezzo.
A tale riguardo, si deve dare continuità all’orientamento di questa Corte (Cass., sez. lav., 15 settembre 2021, n. 24953), che, in tema di accertamento tecnico preventivo ex art. 445-bis cod. proc. civ., ha ravvisato la sussistenza dell’interesse ad agire per il riconoscimento della condizione di portatore di handicap grave (art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992), anche a prescindere dalla specificazione del beneficio che, in forza di tale riconoscimento, si rivendica.
La legge n. 104 del 1992, improntata a una visione unitaria e una tutela ad ampio raggio della persona disabile nelle multiformi estrinsecazioni della vita quotidiana, configura la condizione di portatore di handicap come un vero e proprio status, come una qualità giuridica che contraddistingue la persona che «presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione» (art. 3, comma 1, della legge citata).
A tale condizione psicofisica, che dev’essere accertata ad opera delle Unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all’art. 4 della legge n. 104 del 1992, si correlano «una pluralità indeterminata di situazioni soggettive attive e passive» (sentenza n. 24953 del 2021, cit., punto 12) e una vasta gamma di misure volte a rimuovere le discriminazioni che l’handicap ingenera. Tali misure si collocano non soltanto sul versante meramente assistenziale, ma anche su quello, più articolato e complesso, dell’inclusione.
Alla luce di tali premesse, questa Corte ha affermato che la citata condizione della persona «assume un pieno rilievo giuridico» (sentenza n. 24953, cit., punto 20), in quanto si raccorda al fondamentale compito della Repubblica di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3, secondo comma, Cost.).
Alla tutela riconosciuta dalla Costituzione si affiancano anche le fonti sovranazionali, improntate all’obiettivo di piena ed effettiva integrazione della persona disabile.
La Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30, garantisce al disabile «l’effettivo esercizio del diritto all’autonomia, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità» (art. 15).
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, tutela «il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità» (art. 26).
Nella medesima prospettiva, si colloca la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 18, che si prefigge di «contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità».
Pertanto, «l’istanza tesa al semplice riconoscimento di tale stato psicofisico non richiede altra indicazione al fine di integrare l’interesse ad attivare il procedimento di cui all’art. 445-bis cod. proc. civ., laddove il medesimo stato sia stato in concreto negato dal soggetto che istituzionalmente ha il potere di accertarlo» (sentenza n. 24953, cit., punto 20).
Sono proprio «[l]o spessore e la oggettiva rilevanza che il diritto positivo riconosce alla situazione del soggetto nei cui confronti risulti accertato l’handicap, ovvero a chi dello stesso si prenda stabilmente cura» a conferire all’handicap la peculiarità di «una fattispecie completa e non frazionaria che restituisce, successivamente e nell’arco della intera esistenza quotidiana, alla persona da tutelare una variegata gamma di strumenti giuridici atti a tentare di colmare i divari che l’inserimento sociale determina» (sentenza n. 24953 del 2021, cit., punto 21).
Alla speciale tutela che l’ordinamento appresta sul piano sostanziale fa riscontro il riconoscimento dell’interesse ad agire, che rafforza e rende effettiva la tutela giurisdizionale dei diritti, in assenza della quale ogni posizione soggettiva è flatus vocis.
Correttamente, pertanto, il provvedimento impugnato fa leva sul profilo della necessaria effettività delle tutele, che sarebbe pregiudicata da un’interpretazione restrittiva dell’interesse ad agire (pagina 4). Interpretazione che, peraltro, come osserva la parte resistente nel controricorso. (pagina 12), propizierebbe il moltiplicarsi di azioni meramente esplorative, con conseguente aggravio del contenzioso, in contrasto con la ratio di snellimento sottesa all’introduzione di questa speciale procedura.
Il riconoscimento dell’interesse all’accertamento dello stato di handicap grave, nei termini prospettati, non contraddice la giurisprudenza di questa Corte, che reputa inammissibili le azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti che costituiscano solo elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto. Tale fattispecie, invero, può formare oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e, quindi, nella sua interezza (Cass., S.U., 20 dicembre 2006, n. 27187, richiamata anche dall’INPS a pagina 12 del ricorso).
Lungi dal porsi come segmento irrelato d’una fattispecie più complessa, meramente propedeutico al conseguimento di utilità future e incerte, l’accertamento della predetta qualità si raccorda a una molteplicità di vantaggi, tangibili e concreti, ciascuno espressione della protezione che la Repubblica si è impegnata a garantire al disabile e che non può non riverberarsi sull’interesse ad agire e sul versante della tutela giurisdizionale.
Da tali principi, ribaditi anche di recente da questa Corte (Cass., sez. VI-L, 15 giugno 2022, n. 19260, e Cass., sez. lav., 4 aprile 2022, n. 10753, punto 3), non v’è ragione di discostarsi.
4. Infondata è anche la seconda censura, che verte sul tema della legittimazione passiva.
Questa Corte, nell’esaminare il procedimento amministrativo volto al riconoscimento della tutela, ha posto l’accento sulla previsione dell’art. 20 del decreto-legge 10luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009; n. 102, che regola l’accertamento dello stato psicofisico descritto dall’art. 3 della legge n. 104 del 1992.
La previsione citata, rubricata «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», modifica l’art. 10, comma 6, del d.l. n. 203 del 2005, come convertito, e accentra quindi in capo all’INPS la gestione e la responsabilità per ogni attività connessa al riconoscimento dell’handicap. Anche l’integrazione della composizione delle commissioni mediche con un medico dell’INPS quale componente effettivo rispecchia il nuovo assetto di competenze e il ruolo primario dell’INPS.
In attuazione di tale accentramento, il legislatore individua l’Istituto «quale unico legittimato passivo nei procedimenti giurisdizionali in materia di accertamento sanitario e amministrativo delle condizioni sanitarie dell’invalidità civile essendo venuto meno ogni riferimento normativo ad organi o istituzioni diversi dall’Inps in ordine alla notificazione degli atti introduttivi del giudizio, nonché la soppressione della previsione legislativa che, nei giudizi previdenziali, qualificava l’Inps come litisconsorte necessario del Ministero dell’economia e delle finanze» (sentenza n. 24953 del 2021, cit., punto 16).
Il novellato art. 10, comma 6, del d.l. n. 203 del 2005 dispone che, «a decorrere dalla data di effettivo esercizio da parte dell’Inps delle funzioni trasferite», gli atti introduttivi dei procedimenti giurisdizionali in materia di handicap e disabilità, le sentenze ed ogni provvedimento reso in detti giudizi siano notificati (in via esclusiva) all’INPS presso le sedi provinciali territorialmente competenti.
Su tali previsioni e sull’accentramento in capo all’INPS delle funzioni in materia d’invalidità civile, cecità civile, sordomutismo, handicap e disabilità pone l’accento anche la decisione impugnata (pagina 5).
In questo contesto si colloca l’art. 38 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, che, nelle controversie in materia di handicap e disabilità, ha introdotto come condizione di procedibilità l’accertamento tecnico preventivo obbligatorio delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere.
Alla luce della ricostruzione del quadro normativo che si è appena tratteggiata, questa Corte ha concluso, anche di recente, che «nel giudizio relativo all’ATP legittimato passivamente è sempre e solo l’INPS, competente in via esclusiva a seguito della riforma del 2009 per tutti i procedimenti in materia di invalidità» (Cass., sez. lav., 30 giugno 2022, n. 20862).
A favore di tale conclusione milita anche l’art. 445-bis, quinto comma, cod. proc. civ., in merito alla notificazione agli enti competenti del decreto che definisce il procedimento di ATP. Gli enti quindi provvedono, dopo la verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni.
Tale elemento sistematico avvalora la legittimazione passiva dell’INPS e l’estraneità degli enti che corrispondono le singole provvidenze e che solo successivamente sono chiamati a interloquire – allo speciale procedimento delineato dall’art. 445-bis cod. proc. civ. (sentenza n. 20862 del 2022, cit.).
Si deve dunque ritenere che correttamente il contraddittorio sia stato instaurato dal G. nei confronti dell’INPS e che nessun litisconsorzio necessario si ravvisi con gli enti incaricati di elargire i benefici connessi con lo stato di handicap grave.
5. Le considerazioni svolte conducono a rigettare il ricorso.
6. Le spese del presente giudizio possono essere compensate per intero, in ragione della complessità e della novità delle questioni dibattute e del consolidarsi dell’orientamento di questa Corte in epoca posteriore alla proposizione del ricorso. 7. A norma dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228), il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si deve dare atto con la presente ordinanza (Cass., S.U., 27 novembre 2015, n. 24245), per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove-dovuto.
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