CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 settembre 2019, n. 22760
Tributi – Importazione indiretta di carni – Dazi – Valore della merce importata – Prezzo di prima vendita tra venditore grossista e fornitore extraeuropeo – Legittimità
Rilevato che
Salumificio P. Srl impugnava quattro avvisi di rettifica per le bollette doganali IM4 n. 26704Y del 19.4.2004, IM4 n. 4440K del22.1.2004, IM4 n. 12537/R del 18.2.2004 e IM4 n. 55648/H del 4.8.2004, emessi dall’Agenzia delle dogane in relazione alla importazione indiretta di carni originarie del Sudamerica mediante vendite successive sull’assunto che il prezzo di prima vendita, applicato ai fini daziari, non aveva tenuto conto delle fatture di conguaglio del prezzo medesimo tra la contribuente e il fornitore, la M.E. Spa, in posizione estera.
La contribuente rilevava, in particolare, che le fatture emesse erano sì il corrispettivo complessivamente pattuito con la M.E. Spa ma che ciò era irrilevante poiché il valore indicato era corrispondente al prezzo della precedente vendita, legittimamente scelto ex art. 147 DAC, in base al principio del first sale pdce, che riporta il valore in dogana al prezzo dovuto dal venditore grossista al fornitore extracomunitario, trattandosi di vendita finalizzata all’esportazione verso il territorio italiano di carni macellate e tracciabili secondo i tassativi protocolli comunitari.
Le impugnazioni, previa riunione dei ricorsi, erano accolte dalla CTP di Genova. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.
Con separati ricorsi Salumificio P. Srl impugnava altresì i corrispondenti avvisi di irrogazione delle sanzioni, che erano accolti dal giudice di primo grado. Le sentenze, previa riunione degli atti di gravame, erano confermate dalla CTR della Liguria.
L’Agenzia delle dogane propone avverso le sentenze della CTR della Liguria n. 46/03/11 e n. 70/05/13, separati ricorsi per cassazione, rispettivamente con tre motivi e cinque motivi. Resiste la contribuente con separati controricorsi, proponendo altresì ricorso incidentale rispetto alla sentenza n. 70/05/13.
Considerato che
1. Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso n.r.g. 593/2015 al ricorso n.r.g. 1667/2013, di iscrizione più risalente, che hanno ad oggetto controversie dipendenti e relative a questioni legate da vincolo di consequenzialità necessaria.
Il giudizio di cui al ricorso più risalente, infatti, ha ad oggetto gli avvisi di rettifica delle bollette doganali d’importazione, mentre l’altro concerne, in relazione alle medesime condotte, gli atti di irrogazione delle conseguenti sanzioni.
2. Va disattesa, in secondo luogo, l’istanza del PG di rinvio per la trattazione alla pubblica udienza.
La questione, infatti, è già stata oggetto di reiterata disamina da parte della Corte anche rispetto al medesimo importatore (v. Cass. n. 5206 del 01/03/2013; v. anche Cass. n. 5188 e 5193 del 01/03/2013).
3. Per le ragioni esposte va esaminato per primo il ricorso n.r.g. 1667/2013.
3.1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 29 CDC e 147 DAC.
Il secondo motivo denuncia ulteriore violazione dell’art. 29 CDC e 147 DAC, nonché violazione ed errata applicazione degli artt. 62 e 65 CDC e 181-181 bis DAC.
Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 147 DAC e 69 d.P.R. n. 633 del 1972.
3.2. I motivi, da esaminare unitariamente perché logicamente connessi investendo tutti una unitaria questione, sono infondati. L’Agenzia delle dogane, infatti, critica la decisione in relazione alla determinazione del valore della merce in dogana in fattispecie di plurime vendite prima dell’importazione per non essere stati considerati gli ulteriori importi versati a conguaglio al fornitore, da considerarsi integrativi del prezzo.
L’ultima censura, inoltre, attinge anche la determinazione della base imponibile ai fini Iva, da ritenersi irregolare per la mancata presentazione in dogana delle fatture di conguaglio.
4. Ritiene il Collegio di dare continuità ai principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 5206 del 2013, che si condividono. La questione controversa, infatti, riguarda l’applicazione del principio del first sale rule quando una data merce (nella specie, fese di manzo) sia assoggettata a vendite a catena prima della sua importazione definitiva, regola che è stabilita dall’art. 147 DAC, che consente l’utilizzo, a fini daziari, del «prezzo relativo ad una vendita anteriore all’ultima vendita sulla cui base le merci sono state introdotte nel territorio doganale della Comunità».
La disposizione, di favore per l’importatore, consente, in altri termini, di calcolare i dazi ad valorem rispetto ad una transazione precedente, di importo verosimilmente più basso.
4.1. Occorre premettere, invero, che il fatto qui in giudizio è pienamente sovrapponibile a quello esaminato nella controversia di cui al precedente citato atteso che con riguardo ad entrambe le vicende:
a) prima dello sdoganamento finale erano state poste in essere due vendite e plurime fatturazioni;
b) la prima vendita è stata effettuata mediante spedizione marittima delle carni dal fornitore sudamericano alla ditta grossista a prezzo CIF (ossia Cost, Insurance and Freight; in italiano: costo, assicurazione e nolo), che sono state introdotte, in posizione fiscale estera, in depositi doganali presso magazzini generali italiani;
c) la seconda (ri)vendita è stata effettuata mediante rivendita ai bresaolifici, anteriormente allo sdoganamento e a prezzo costituito globalmente dall’originario importo fatturato CIF, più i dazi doganali, i conguagli per gli oneri accessori e l’utile della ditta grossista;
d) per la rivendita ai bresaolifici la ditta grossista ha emesso tre fatture: 1) per costo di merce estera resa CIF ex art. 7 d.P.R. n. 633 del 1972; 2) per le spese della merce nazionalizzata (i.e. per l’equivalente dei dazi pagati in dogana per i bresaolifici) ex art. 15 d.P.R. n. 633 del 1972 fuori campo Iva; 3) per il conguaglio dei costi per la conservazione e l’inoltro della merce al bresaolificio e per gli utili della ditta grossista.
4.2. Orbene, la Corte, nell’esaminare la fattispecie in giudizio, ha posto in primario rilievo gli orientamenti della Corte di Giustizia, a partire dalla decisione 6 giugno 1990, in C-11/89, Unifert Handels GmbH, Warendorf, che, pur riferita alla disciplina precedente al CDC, ha fondato la linea interpretativa su cui si è successivamente attestata la giurisprudenza della Corte (v. sentenza 15 settembre 2011, in C-138/10), secondo la quale, da un lato, «qualora, in caso di vendite consecutive di una merce, più prezzi effettivamente pagati o da pagare soddisfino le condizioni …, l’importatore può scegliere uno di detti prezzi per la determinazione del valore di transazione», fermo restando che egli «non può modificare tale dichiarazione dopo lo svincolo delle merci per la libera pratica», e, dall’altro (v. sentenza 28 febbraio 2008, in C-263/06, Carboni), «le autorità doganali non possono determinare il valore doganale … sulla base del prezzo fissato per le merci di cui trattasi in una vendita precedente a quella per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana, qualora il prezzo dichiarato corrisponda a quello effettivamente pagato o da pagare da parte dell’importatore».
In questa prospettiva, sì è altresì rilevato che l’art. 147 DAC, anche alla luce delle indicazioni, di rilievo interpretativo, della deliberazione TAXUD dell’8 ottobre 2003, deve essere inteso nel senso che, in caso di vendite successive, l’importatore può indicare come valore in dogana quello di una vendita anteriore, purché dimostri che «rispetto alla vendita in questione, vi sono circostanze specifiche e pertinenti che hanno indotto ad esportare le merci nel territorio doganale della Comunità … si possono intendere anche le vendite concluse quando le merci si trovano già nella Comunità europea (ad esempio in deposito doganale», incombendo la prova sul dichiarante.
Tale prova, peraltro, può essere soddisfatta con «qualsiasi documento indipendentemente dalla sua forma di presentazione» che le dogane sono tenute ad accettare «a condizione che: (a) non sia messa in questione l’autenticità del documento e (b) le informazioni contenute nel documento possano suffragare i dati dichiarati o le informazioni richieste».
Va sottolineato, con riguardo alla tipologia di merci in giudizio, che la circostanza che gli animali siano macellati in conformità alla disciplina unionale rileva ai fini dell’art. 147 DAC della destinazione all’importazione unionale (art. 13 Reg. n. 1760/2000/CE).
4.3. In altri termini, l’importatore, in caso di vendite successive precedenti all’importazione definitiva, può, a sua scelta, dichiarare, quale valore in dogana, quello relativo ad una precedente vendita purché quest’ultima sia già finalizzata all’importazione sul territorio unionale.
Una volta operata la dichiarazione, questa non può più essere modificata dall’importatore se le merci siano state svincolate. Ciò non significa, peraltro, che il contribuente, immutata la scelta, non possa fornire, anche successivamente, la prova che il valore dichiarato si riferiva ad una vendita per l’importazione nel territorio dell’Unione europea, prova che può essere integrata da qualsiasi documento purché idoneo ed autentico.
4.4. Orbene, nella fattispecie in giudizio – come in quella già esaminata dalla Corte – le fatture collegate alle bollette doganali sono, materialmente, quelle della rivendita delle carni del grossista italiano al bresaolificio; in esse, tuttavia, è indicato il prezzo CIF per merce dichiarata di origine sudamericana.
Occorre invero osservare che oggetto della scelta è il prezzo della vendita e non la fattura e la chiara indicazione al CIF (utilizzato in caso di trasporto marittimo) è un indubbio «indice rivelatore di una filiera commerciale di approvvigionamento estero» e ciò che rileva, dunque, è che si tratta – come è incontestato dalla stessa Agenzia e risulta dalla sentenza – dello stesso valore CIF risultante dalla prima vendita tra il fornitore sudamericano e il grossista italiano, prodotta alla Guardia di finanza in sede di controllo.
Ne deriva che «l’invocare in sede di verifica a posteriori le fatture di prima vendita dei fornitori sudamericani alla ditta grossista non modifica affatto l’ammontare del prezzo CIF indicato nella dichiarazione di valore, né la quantità e la qualità delle carni, né l’origine extracomunitaria delle stesse, né la loro destinazione comunitaria quali merci rese “in conformità delle specifiche CE”»
La contribuente, a differenza di quanto ritenuto dall’Ufficio, non ha quindi rettificato il valore richiesto dopo «lo svincolo delle merci» ma, semplicemente, ha offerto, in sede di verifica ex art. 11 d.lgs. n. 374 del 1990, documentazione di riscontro alla dichiarazione originaria, che si riferiva, in tutta evidenza, alla prima vendita intervenuta tra il fornitore sudamericano e il grossista, finalizzata all’esportazione verso il territorio unionale (neppure essendo ipotizzato il contrario dallo stesso Ufficio).
4.5. Va sul punto evidenziato, quanto alle fatture da allegare all’importazione, che per la determinazione del dazio ha rilievo il valore dichiarato salvo che non sia posta in dubbio l’attendibilità intrinseca della dichiarazione in dogana, ossia sia denunciata la non corrispondenza sostanziale al valore di transazione al quale la dichiarazione stessa doveva far riferimento.
L’onere di presentazione in dogana delle fatture rilevanti è sancito sì dall’art. 181 DAC, ma le eventuali manchevolezze restano sanabili nel corso del procedimento di rettifica (art. 11 d.lgs. n. 374 del 1990 e art. 78 CDC), potendo essere offerto successivamente, anche su richiesta dall’autorità doganale (art. 181 bis, comma 2, DAC), ogni elemento di obiettivo e ulteriore riscontro (art. 147, comma 2, DAC) e dovendo, per quanto sopra rilevato, le autorità degli Stati membri accettare ogni documento a riprova, indipendentemente dalla sua forma di presentazione, sempreché non ne sia messa in dubbio l’autenticità e le informazioni ivi contenute suffraghino i dati dichiarati o le informazioni richieste.
4.6. Infine, la dedotta violazione sulla determinazione della base imponibile Iva, argomentata con il terzo motivo, oltre che infondata attesa l’avvenuta fatturazione integrale di tutti gli importi (sia pure mediante tre distinte fatture), è inammissibile per novità della questione, in alcun modo trattata nella decisione d’appello.
5. Il ricorso va pertanto rigettato.
6. Passando al ricorso n.r.g. 593/2015 l’Agenzia delle dogane denuncia:
a. error in procedendo per disapplicazione dell’art. 36, comma n. 4 d.lgs. n. 546 del 1992, nonché degli artt. 111, sesto comma Cost. e 324 c.p.c. per motivazione apparente in ordine all’identità della vicenda di cui alle sentenze n. 5206 e 5190 del 2013;
b. error in procedendo per disapplicazione dell’art. 295 c.p.c., nonché per falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., 1, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 e 2909 c.c. per non aver sospeso il giudizio sulle sanzioni in attesa della definizione di quello sugli avvisi di rettifica;
d. violazione degli artt. 29 CDC e 147 DAC;
e. ulteriore violazione dell’art. 29 CDC e 147 DAC, nonché violazione ed errata applicazione degli artt. 62 e 65 CDC e 181-181 bis DAC;
f. violazione degli artt. 147 DAC e 69 d.P.R. n. 633 del 1972.
7. All’esame dei motivi di ricorso ha carattere pregiudiziale, peraltro, l’incidenza della decisione sul ricorso avverso gli avvisi di rettifica, cui gli atti di irrogazione delle sanzioni accedono.
Il rigetto del ricorso avverso la decisione della CTR della Liguria, invero, comporta la definitiva infondatezza della pretesa doganale.
7.1. Ne deriva che sono definitivamente caducate anche le sanzioni conseguenti all’asserita violazione, essendo venuto meno lo stesso presupposto logico e fattuale per la loro irrogazione.
8. Il ricorso n.r.g. 593/2015 è pertanto inammissibile per carenza di interesse. Il ricorso incidentale della contribuente resta assorbito.
9. Le spese relative al ricorso n.r.g. 1667/2013 vanno compensate attesa l’assenza di precedenti specifici anteriori alla proposizione del ricorso in cassazione, mentre con riguardo al ricorso n.r.g. 593/2015 sono liquidate, come in dispositivo, per soccombenza. Con riferimento al ricorso n.r.g. 593/2015 non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 nei confronti dell’Agenzia delle dogane in quanto Amministrazione dello Stato che opera con il meccanismo della prenotazione a debito.
P.Q.M.
rigetta il ricorso n.r.g. 1667/2013 e dichiara inammissibile il ricorso n.r.g. 593/2015, assorbito il ricorso incidentale della contribuente. Condanna l’Agenzia delle dogane al pagamento delle spese a favore del Salumificio P. Srl limitatamente al ricorso n.r.g. 593/2015, che liquida in complessive € 4.000,00, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge e compensa le spese quanto al ricorso n.r.g. 1667/2013.
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