CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 settembre 2019, n. 22803
Licenziamento – Domanda di risarcimento del danno conseguente al mancato tempestivo versamento dei contributi – Accertamento
Rilevato che
1. D. N. convenne in giudizio l’II. s.p.a. in liquidazione, dalla quale era stato licenziato in data 30 luglio 1997, per sentir condannare la società, in virtù del giudicato formatosi sulla sentenza che aveva annullato il licenziamento condannando la datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni fino alla data del pensionamento di anzianità ed al versamento dei contributi, al pagamento della somma di € 94.135, 23 oltre accessori per differenze retributive e sul T.F.R. oltre che al pagamento della somma di € 106.877,55 oltre accessori a titolo di risarcimento del danno o di indennizzo per arricchimento senza causa. Il Tribunale accolse in parte la domanda e condannò la società al pagamento della somma di € 216.480,25 a titolo di retribuzioni non riscosse nel periodo 30 luglio 1997-1 dicembre 2000 già compresi gli accessori fino al 28 febbraio 2011 oltre interessi e rivalutazione monetaria da quella data in poi al saldo. Inoltre condannò la II. s.p.a. al pagamento dei contributi calcolati sull’importo di € 216.480,25 oltre accessori.
2. La Corte di appello, decidendo sul ricorso principale dell’II. s.p.a. e su quello incidentale del N., in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la società al pagamento in favore del N. a titolo di risarcimento del danno della somma di € 106.877,55 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme via via rivalutate annualmente dalle singole date di pagamento al saldo ed ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
2.1. Con riguardo alle differenze retributive, quantificate in primo grado dal consulente d’ufficio nominato dal Tribunale in € 216.480,25, il giudice di appello ha ritenuto che le censure erano mosse ai conteggi effettuati dal ricorrente e non alla motivazione della sentenza la quale, nell’aderire alle conclusioni del consulente nominato, ha dato atto che dagli importi calcolati erano state detratte le somme erogate a titolo di pensione sostitutiva del fondo II.. Ha chiarito che l’assegno ad personam era stato computato per dodici mensilità e che, condivisibilmente, in mancanza di dati sulla composizione mese per mese dell’importo netto corrisposto al ricorrente (che la società non aveva fornito) il consulente d’ufficio nel rispondere ai rilievi formulati dal consulente di parte aveva ritenuto di non aderirvi.
2.2. Quanto alla domanda di risarcimento del danno conseguente al mancato tempestivo versamento dei contributi, cui aveva dovuto supplire il lavoratore per beneficiare della pensione di anzianità, la Corte di appello ha accertato che quando la società aveva provveduto, in esecuzione della sentenza che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento e con due anni di ritardo, al pagamento parziale dei contributi all’INPS era a conoscenza del fatto che il N. era divenuto titolare di pensione di anzianità. Inoltre ha accertato che il danno subito, per aver dovuto procedere al versamento dei contributi volontari per 82 settimane ed al riscatto degli anni di laurea per altre 92 settimane non coperte, era collegato causalmente all’illegittima risoluzione del rapporto che aveva determinato l’interruzione del pagamento degli oneri previdenziali, rapporto retroattivamente ricostituito con la sentenza che aveva accertato l’illegittimità del recesso. Ha ritenuto che il comportamento del lavoratore fosse conforme, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., al dovere di evitare conseguenze più gravi per il debitore. Ha quindi condannato la società al pagamento in favore del N. della somma di e 106.877, 55 oltre accessori dalle singole date di pagamento ed ha poi dichiarato che la società, in virtù dell’autonomo rapporto previdenziale con l’Inps potrà chiedere la restituzione delle somme versate in adempimento della sentenza negli anni 2009 e 2010.
3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’II. s.p.a. affidato a tre motivi. Resiste con controricorso D. N..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1. cod. proc. civ..
Considerato che
4. Il primo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. per avere la Corte avallato le conclusioni del consulente nominato dal giudice di primo grado trascurando di considerare che la consulenza era stata oggetto di specifici rilievi e perché non aveva verificato la coerenza dell’importo riconosciuto (€ 216.480,25) con quello richiesto (€ 94.135,23) è inammissibile.
4.1. La ricorrente trascura di riprodurre sia il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio, nella parte oggetto di contestazione, sia il tenore dei rilievi critici formulati nei confronti della stessa e non riporta neppure il contenuto della sentenza di primo grado che si è adeguata alla consulenza né le censure con le quali in appello ha investito tale statuizione. Per quanto concerne la c.t.u., è principio consolidato quello secondo cui (cfr. Cass. n. 16368/2014, Cass. n. 13845/2007 e già Cass. n. 7392/1994;) la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (o nella sentenza che l’ha recepita) ha l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamento ed alle conclusioni del consulente d’ufficio. Le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono pertanto possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso.
4.2. Non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a qua, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 10222/2009 e n. 6162/2016).
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 2115 secondo comma cod. civ. e dell’art. 19 della legge n. 218 del 1952; dell’art. 27 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 come modificato dall’art. 40 della legge n. 153 del 1969; dell’art. 1 della legge 18 febbraio 1983 n. 47 come integrato dagli artt 5 e 6 d.lgs. 30 aprile 1997 n. 184 in materia di disoccupazione involontaria. Tanto in relazione all’art. 360 primo comma n.3 cod. proc. civ.). Sostiene il ricorrente che dal quadro normativo applicabile, come interpretato anche dalla Corte Costituzionale, si evincono i seguenti principi:
– la contribuzione omessa ma non prescritta va considerata presente nella posizione contributiva sia in coincidenza con la maturazione del diritto a pensione sia nel corso del rapporto;
– la contribuzione volontaria non può essere utilizzata per coprire periodi coperti o suscettibili di esserlo da parte della contribuzione obbligatoria. Erra perciò, secondo l’II., la Corte di appello nel riformare la sentenza e condannarla al pagamento della somma pagata dal N. per coprire un apparente vuoto contributivo. Alla data di ammissione alla contribuzione volontaria l’assicurato disponeva anche della contribuzione versata per il preavviso ( otto mesi fino al 10.10.1998). Il vuoto contributivo era semmai solo di 82 settimane (fino al 29.10.2000) e poteva essere coperto retroattivamente per effetto della reintegrazione. Il riscatto della laurea, poi, ha prodotto solo un incremento della contribuzione e quindi della pensione e, perciò, non poteva essere posto a carico dell’II.. Il N. in forza del principio di automaticità delle prestazioni e degli effetti retroattivi della copertura assicurativa poteva presentare domanda di liquidazione della pensione di anzianità a fine 2001 per garantire la decorrenza da gennaio 2002. La scelta di anticipare la copertura assicurativa non era indispensabile perché presentata la domanda e una volta intervenuta la reintegrazione sarebbe stata ricostituita la posizione per effetto della continuità del rapporto. La scelta di versare i contributi per accedere alla pensione di anzianità era una garanzia del lavoratore per il caso in cui avesse perso la causa del licenziamento.
6. Il motivo è infondato.
6.1. D. N. ha agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno che aveva sofferto per effetto del licenziamento illegittimo e del mancato versamento dei contributi che gli aveva impedito di conseguire la pensione di anzianità alla data del 1.1.2002. Al versamento dei contributi volontari il lavoratore, nella pendenza del giudizio per l’accertamento della legittimità del recesso datoriale, si era determinato per evitare il verificarsi di un maggior danno conseguente alla impossibilità, a posteriori, di conseguire la pensione. Come ha correttamente evidenziato il giudice di secondo grado, infatti, in mancanza del versamento di 1820 contributi settimanali sarebbe stata dichiarata irricevibile e il N. sarebbe rimasto privo di pensione fino ai 65 anni (vecchiaia) senza possibilità di recuperare retroattivamente.
6.2. Va qui ribadito che nel regime di stabilità reale previsto dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970 – nel testo modificato dall’art. 1 dalla legge n. 108 del 1990 – nel periodo compreso tra la data dell’illegittimo licenziamento e quella della pronuncia giudiziale contenente l’ordine di reintegra del lavoratore, rimangono in vita il rapporto assicurativo previdenziale ed il corrispondente obbligo del datore di lavoro di versare all’ente previdenziale i contributi assicurativi, tanto per la quota a proprio carico quanto per quella a carico dei lavoratori, alla stregua dell’art. 23 della legge n. 218 del 1952, che, trasferendo l’obbligo di pagare una parte dei contributi da uno ad altro soggetto, introduce una pena privata giustificata dall’intento del legislatore di rafforzare il vincolo obbligatorio attraverso la comminatoria, per il caso di inadempimento, del pagamento di un importo superiore all’ammontare del mero risarcimento del danno (cfr Cass. 04/04/2008 n. 8800).
7. Il terzo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione dell’art. 429 cod. civ. per avere accordato la rivalutazione su somme versate all’Inps a titolo di prosecuzione volontaria e riscatto laurea, è inammissibile atteso che non è indicato se la stessa era stata sollevata quale censura in appello e risulta perciò nuova davanti a questa Corte.
8. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della ricorrente soccombente e distratte in favore dell’avvocato che se ne è dichiarato antistatario. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 5000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Spese da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R.
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