CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 settembre 2019, n. 22844
Rapporto di lavoro – Soggezione del lavoratore al potere organizzativo e direttivo della casa di riposo – Pagamento dei contributi
Rilevato
che con sentenza in data 23 febbraio- 4 maggio 2017 numero 121 la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Belluno, respingeva integralmente la opposizione proposta dalla PARROCCHIA S.L. V.M., titolare della Casa di Riposo per anziani Villa «D.G.C.», nei confronti dell’INPS avverso l’avviso di addebito nr. 413 2012 00020933 06; che a fondamento della decisione la Corte territoriale esponeva che l’avviso di addebito opposto riguardava il pagamento dei contributi per i due lavoratori G.F. infermiere professionale e C.G., psicologa.
Quanto alla posizione del lavoratore F., per il quale la opposizione nel primo grado era stata respinta, dalle dichiarazioni rese agli ispettori (dal F., da M.P., coordinatrice degli infermieri professionali e da T.B., vicedirettore della casa di riposo) e dalla testimonianza resa dalla P. e dalla B. erano emersi: la soggezione del lavoratore al potere organizzativo e direttivo della casa di riposo, lo svolgimento di mansioni analoghe a quelle degli altri infermieri dipendenti, la sottoposizione a turni, l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, utilizzo della divisa fornita dalla casa di riposo, la attestazione della presenza al lavoro tramite badge magnetico, la necessità di rivolgersi alla coordinatrice per richieste di ferie, permessi, cambi turno.
Le dichiarazioni testimoniali non provavano che l’organizzazione dei turni avvenisse in base alle esigenze organizzative ed alla disponibilità del F., dovendosi attribuire maggiore attendibilità alle contrarie dichiarazioni rese sul punto dalla P. agli ispettori, in quanto dettagliate, intrinsecamente coerenti, più prossime ai fatti, rese in condizioni di immediatezza.
Era dunque provata la riconducibilità delle modalità di svolgimento del lavoro allo schema tipico del lavoro subordinato, tale da prevalere sulla contraria volontà manifestata dalle parti all’atto della stipula del contratto.
Era fondato, invece, l’appello incidentale dell’INPS relativamente alla posizione della lavoratrice G.
Risultava provato (dichiarazioni rese agli ispettori della G. e dalla B.) che la G. era stata assunta per sostituire la dipendente dottoressa D. in maternità ed aveva svolto le medesime mansioni di quest’ultima; era tenuta ad attestare la presenza al lavoro mediante badge magnetico ed a rispettare il relativo regolamento anche per la disciplina delle pause; poteva usufruire di periodi di assenza nel corso dell’anno purché concordati con la direzione (punto 2 della Convenzione del 2 marzo 2009) . Dalla convenzione del 2 marzo 2009 risultava lo svolgimento di un periodo di prova di tre mesi (punto 5), circostanza obiettivamente incompatibile con la prestazione di attività liberoprofessionale.
che avverso la sentenza ha proposto ricorso la PARROCCHIA S.L. V.M., articolato in due motivi, cui ha resistito l’ INPS con controricorso;
che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’articolo 380 bis codice di procedura civile che la parte ricorrente ha depositato memoria
Considerato
che la parte ricorrente ha dedotto:
– con il primo motivo — ai sensi dell’articolo 360 numero 3 cod.proc.civ. — violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 codice civile dell’articolo 2230 codice civile.
Ha censurato la sentenza per non aver considerato l’effettiva volontà espressa dalle parti circa la natura del rapporto contrattuale; si trattava di due liberi professionisti che restavano soggetti alle disposizioni dell’articolo 2229 e seguenti codice civile. La legge 92/2012, articolo 1, comma ventisei, escludeva la presunzione di subordinazione per le attività professionali che richiedono l’iscrizione ad un ordine, ad appositi registri, a ruoli ed elenchi professionali qualificati. Le modalità di esecuzione del contratto non erano diverse da quelle originariamente pattuite e la volontà di rendere una prestazione autonoma era stata confermata e ribadita in un momento successivo alla costituzione del rapporto di lavoro. Trattandosi di una casa di riposo, era evidente la necessità di coordinare l’attività dell’infermiere e della psicologa con quella della struttura ma non era emerso l’esercizio di un potere gerarchico e disciplinare; era emerso, al contrario, che i lavoratori fossero assolutamente liberi nello svolgimento della prestazione professionale e nella fruizione delle ferie.
La P., sentita come teste, aveva confermato che il F. aveva il potere di scegliere i turni e la stessa dichiarazione di autonomia nella scelta dei turni risultava nella deposizione resa agli ispettori. Gli indici cui faceva riferimento il giudice dell’appello non erano difformi dalla volontà di stipulare un contratto di lavoro autonomo; di ciò era prova nell’esercizio da parte di entrambi i lavoratori di attività a favore di terzi (la numerazione progressiva delle fatture emesse provava la non- esclusività della prestazione);
– con il secondo motivo — ai sensi dell’articolo 360 numero 5 codice di procedura civile — violazione dell’articolo 116 codice di procedura civile.
La ricorrente ha esposto che tra le proprie istanze istruttorie vi era la richiesta di sentire come testi i due lavoratori; l’istanza, non accolta, era stata rinnovata nelle note conclusive di primo grado e nel ricorso in appello nonché nelle note conclusive dell’appello, senza una specifica motivazione circa la sua ammissibilità e rilevanza.
La pretesa dell’INS era fondata sui verbali degli ispettori del lavoro — che non erano fidefacenti in ordine alla veridicità delle dichiarazioni assunte da terzi — e sulla testimonianza di M.P. e T.B., dipendenti della casa di riposo. Il giudice non ammettendo la prova testimoniale della dottoressa G. e del dottor F. non aveva consentito di fornire prova della reale volontà delle parti.
In ogni caso, le prove per testi confermavano l’autonomia del rapporto (deposizione della vicedirettrice T.B. all’udienza del 19 marzo 2013);
che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;
che, invero, quanto al primo motivo la sentenza impugnata non ha violato i criteri normativi di qualificazione del rapporto di lavoro. Ha, piuttosto, applicato la giurisprudenza di questa Corte circa la individuazione degli indici della subordinazione, individuandoli per il F. nel rispetto di turni orari predisposti dal datore di lavoro, nel sistema di rilevazione delle presenze, nella sottoposizione a modalità esecutive della prestazione, quanto a cambiamenti di turno, permessi, ferie, etera- direzione sovrapponibili a quelle dei dipendenti con analoghe mansioni. Quanto alla lavoratrice G. correttamente è stata valorizzata la sottoposizione agli orari dell’organizzazione datoriale, l’utilizzo del badge per la rilevazione delle presenze, la sostituzione di altra dipendente assente per lo svolgimento delle medesime mansioni, la sottoposizione ad un patto di prova. Tali modalità di esecuzione della prestazione, che prevalgono sulla qualificazione formale operata nel contratto sottoscritto tra le parti, eccedono l’ambito del mero coordinamento proprio del lavoro parasubordinato e configurano la subordinazione al potere organizzativo e direttivo datoriale. Per il resto il motivo, nel sottoporre a questa Corte stralci delle dichiarazioni dei testi, sollecita un inammissibile riesame del merito;
– quanto al secondo motivo, la censura si risolve in una parimenti inammissibile contestazione del giudizio di univocità e di concludenza delle fonti di prova espresso dal giudice del merito, al quale soltanto resta rimessa la scelta, tra gli elementi di prova offerti dalle parti, di quelli ritenuti più attendibili e dotati di attitudine dimostrativa dei fatti controversi;
che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex articolo 375 cod.poroc.civ.;
che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art. 1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna pare ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in €. 200 per spese ed € 4.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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