CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 agosto 2020, n. 17043
Tributi – IVA – Omessa presentazione dichiarazione annuale – Riporto di eccedenza d’imposta nella dichiarazione successiva – Illegittimità
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale del Piemonte rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino che aveva accolto il ricorso presentato dalla C.R. s.n.c. contro la cartella di pagamento emessa nei suoi confronti ai sensi dell’art. 36 bis d.p.r. 600/1973 e dell’art. 54 bis d.p.r. 633/1972, per l’anno 2006 (Modello Iva 2007), per omessa presentazione della dichiarazione Iva nel 2005 ed omessi versamenti risultanti dall’adeguamento agli studi di settore, sicché era stato disconosciuto il credito Iva di € 14.386,00. In particolare, l’iva a credito per il 2005 pari ad € 22.585,00 era stato utilizzato per compensare l’iva a debito per € 7.079,00, con ulteriore riduzione di € 1.120,00, per Iva a credito risultante sempre dalla dichiarazione dei redditi per il 2005, compensato però con il modello F24. Il giudice di appello rilevava che, pur essendo corretto il recupero riguardante gli omessi versamenti per adeguamento agli studi di settore, tuttavia, quanto al disconoscimento del credito Iva, si era trattato di un mero errore nel trasmettere al sistema informatico la dichiarazione relativa al 2005; la società aveva chiesto di procedere ad un accertamento induttivo ai sensi dell’art. 55 del d.p.r. 633/1972, ma l’Ufficio non aveva ritenuto di effettuarlo. Pertanto, l’iscrizione a ruolo non derivava da accertamento per evasione di Iva, ma si trattava di un mero errore nella presentazione della dichiarazione, il cui credito poteva sempre essere dimostrato dal controllo delle scritture contabili.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate.
3. Resta intimata la contribuente.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 8, comma 2, 30, comma 2 e 54 bis d.p.r. n. 322/1998, nonché degli artt. 19 e 55, comma 1, d.p.r. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”, in quanto il giudice di appello ha attribuito valenza decisiva, nella fattispecie di omessa presentazione della dichiarazione Iva, al mancato accertamento induttivo che l’Ufficio avrebbe dovuto porre in essere al fine di riconoscere la posizione creditoria della contribuente. Il combinato disposto degli artt. 8 d.p.r. n. 322 e 19 d.p.r. n. 633/1972 fissano il limite temporale entro il quale il contribuente deve esercitare la facoltà di detrazione del credito di imposta, quindi “al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto”, ma non incide sui relativi presupposti. Pertanto, l’Ufficio non è in alcun modo tenuto a svolgere un accertamento induttivo ai sensi dell’art. 55 del d.p.r. n. 633/1972, solo al fine di consentire al contribuente il recupero del proprio credito di imposta. L’onere della annotazione delle operazioni nella dichiarazione annuale Iva ha la specifica funzione di consentire il controllo della correttezza della liquidazione ed evitare il rischio di indebite restituzioni. La dichiarazione annuale Iva, dunque, non rappresenta un formalistico adempimento burocratico, altrimenti surrogabile, ma una precisa incombenza dai risalti sostanziali. Con tale dichiarazione il contribuente procede alla autodeterminazione definitiva dell’imposta dovuta, mediante un riepilogo dettagliato delle operazioni attive e passive effettuate nell’anno precedente e la liquidazione del debito o del credito Iva. Il diritto alla detrazione non può essere riconosciuto quando manca il fondamentale presupposto della continuità delle dichiarazioni. Solo se dalla “dichiarazione annuale” risulta una eccedenza d’Iva detraibile l’art. 30 comma 2 d.p.r. n. 633/1972, prevede che il contribuente ha “diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di richiedere il rimborso nell’ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività”. Pertanto, in caso di omessa dichiarazione annuale il contribuente non può riportare l’eccedenza Iva detraibile nella dichiarazione dell’anno successivo, né chiederne il rimborso nelle ipotesi regolate dall’art. 30 del d.p.r. n. 633/1972. Ne consegue che è legittimo l’utilizzo da parte della Agenzia delle entrate della procedura di controllo automatico di cui all’art. 36 bis d.p.r. 600/1973. La dichiarazione antecedente a quella oggetto di controllo è stata omessa, sicché il credito, non essendo stato dichiarato nell’anno in cui è maturato, non è utilizzabile in detrazione del debito di imposta in una dichiarazione successiva, a nulla rilevando che lo stesso sia, in ipotesi, effettivamente maturato.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.”, in quanto, anche in caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale Iva, pur non essendo possibile recuperare il credito di imposta maturato in detta annualità con il trasferimento della relativa detrazione, è consentito il diritto al soddisfacimento del credito mediante rimborso, ai fini del quale, però, non rileva la mera esposizione del credito nella dichiarazione annuale, ma occorre soltanto il suo obiettivo riscontro documentale. Il contribuente, quindi, avrebbe potuto soltanto esercitare il diritto di presentare l’apposita istanza di rimborso nei termini di decadenza di cui all’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, per il quale “la domanda di restituzione [di tributi non dovuti], in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”. Il non avere individuato, in tale disposizione, la normativa applicabile rappresenta l’ulteriore errore di diritto commesso dal giudice di appello, che ha apoditticamente ritenuto sussistente il credito in contestazione, in assenza di qualsiasi prova a supporto, in violazione anche dell’art. 2697 c.c..
3.1. I motivi primo e secondo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.
3.2. Invero, nella specie la società non ha presentato la dichiarazione annuale ai fini Iva per l’anno 2005, ma ha riportato l’eccedenza Iva nella dichiarazione dei redditi del 2006 (Modello Unico 2007). L’Agenzia delle entrate, quindi, utilizzando il procedimento automatico di cui all’art. 36 bis d.p.r. 600/1973, ha disconosciuto il credito Iva ed ha emesso la conseguente cartella di pagamento per gli importi non versati.
Ai sensi dell’art. 19 comma 1 d.p.r. 633/1972 (detrazione) si prevede che “per la determinazione dell’imposta dovuta a norma del primo comma dell’articolo 17 o dell’eccedenza di cui al secondo comma dell’articolo 30, è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione. Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.
3.3. Per questa Corte, a sezioni unite, la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili (Cass., sez.un., 8 settembre 2016, n. 17757; Cass., n. 32208/2019).
Per le sezioni unite, quindi, il fatto costitutivo del rapporto tributario con il fisco è ravvisato dalla effettività e liceità dell’operazione, mentre gli obblighi di registrazione, la dichiarazione ed altro hanno una diversa funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, finalizzata ad agevolare i controlli dell’amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta. Pertanto, l’esercizio del diritto di detrazione dell’eccedenza Iva, che deve essere tutelato in modo sostanziale ed effettivo, va riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da “altro documento equivalente”, come la “documentazione contabile”, essendo, invece, tal fine poco rilevante l’osservanza degli obblighi dichiarativi.
Per la “detrazione” Iva occorre, quindi, che il contribuente, in caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale, fornisca la prova dell’esistenza contabile del credito non dichiarato, con la produzione all’ufficio competente di idonea documentazione, quindi con l’esibizione dei registri Iva, delle relative liquidazioni, della dichiarazione cartacea relativa all’annualità omessa, delle fatture e di ogni altra documentazione utile allo scopo (in tal senso anche Cass., 17 marzo 2017, n. 6921; in tal senso anche circolare della Agenzia delle entrate 25-6-2013 n. 21/E, in cui si riconosce la possibilità di “scomputare” direttamente l’importo del credito in detrazione, ove se ne riscontri l’esistenza, in caso di omissione delle dichiarazioni Iva; in precedenza la circolare 6-8- 2012, n. 34/E consentiva solo la presentazione della istanza di rimborso ai sensi dell’art. 21 d.lg.s 546/1992, purché il credito in detrazione fosse effettivo).
Se il contribuente, infatti, non si attiene alle prescrizioni formali e contabili disciplinate dall’ordinamento interno, è onere dello stesso, a fronte della contestazione di omissioni o irregolarità, fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione.
Il contribuente deve quindi dimostrare che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, e debitore dell’Iva è titolare del diritto di detrarre l’imposta, con un accertamento in fatto da parte del giudice di merito, da compiersi con la latitudine suggerita dalla stessa corte di giustizia (Causa C-85/95, Reisdorf).
Non sono sufficienti allo scopo le sole avvenute liquidazioni periodiche, ma occorre anche l’esibizione dei registri Iva e delle relative liquidazioni, delle fatture e di ogni altra documentazione utile (Cass., 6921/2017). Non sono stati, invece, ritenuti elementi sufficienti l’istanza di condono e la dichiarazione integrativa per la definizione degli anni pregressi (Cass., 9 novembre 2016, n. 22747).
Tale prova non è stata in alcun modo fornita dalla contribuente, che ha soltanto allegato che la dichiarazione annuale Iva era stata spedita in via telematica e non era giunta a destinazione. Il giudice di appello ha condiviso, erroneamente, la tesi della contribuente e si è limitata ad affermare che “come stabilito dalla Commissione provinciale, nel caso che si discute, l’iscrizione a ruolo non deriva da accertamento per evasione Iva, ma si tratta di un mero errore nella presentazione della dichiarazione il cui credito poteva sempre essere dimostrato dal controllo delle scritture contabili”.
Aggiunge il giudice di appello che “si è trattato di un mero errore nel trasmettere al sistema informativo la dichiarazione relativa al 2005, errore che viene disconosciuto dall’Ufficio”. L’ufficio, invece, avrebbe dovuto procedere con l’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 55 d.p.r. 633/1972, “accertamento che l’Ufficio non ha ritenuto di effettuare”.
È evidente l’errore in cui è incorso il giudice di appello, in quanto a fronte della omessa presentazione della dichiarazione Iva annuale da parte della società, del tutto correttamente l’Ufficio ha utilizzato il procedimento di controllo automatizzato di cui all’art. 36 bis d.p.r. 600/1973 e la contribuente, in sede contenziosa avverso la cartella di pagamento emessa nei suoi confronti, avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza del credito Iva con adeguata documentazione. Non vi era, invece, alcun obbligo dell’Ufficio di procedere con accertamento induttivo al solo fine di dimostrare che esisteva il credito Iva della società (Cass., sez. 5, 30 settembre 2011, n. 20040).
4. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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