CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 dicembre 2021, n. 39531
Fondo Pensione Previndai – Accesso alla documentazione e ai dati relativi alla posizione di previdenza complementare – Domanda – Eredi
Fatti di causa
Con sentenza del 13 febbraio 2019, il Tribunale di Rovereto ha accolto la domanda di accesso alla documentazione e ai dati relativi alla posizione di previdenza complementare ed ai beneficiari del Fondo Pensione Previndai n. 166677.1, già intestato al marito della richiedente, ordinando all’ente Previndai, Fondo di previdenza a capitalizzazione per i dirigenti di aziende industriali, di consentire alla ricorrente di accedere a tutti i dati relativi e di consegnarne copia.
Il giudice del merito ha rilevato come la domanda fosse motivata dall’avere la ricorrente appreso la circostanza che il marito, in condizioni di salute già gravemente compromesse, aveva provveduto alla sostituzione dei beneficiari, indicando altri soggetti al posto della medesima e della figlia M.M., onde l’intenzione di promuovere un giudizio di riduzione per lesione di legittima o l’azione di annullamento ex art. 428 cod. civ., anche per conto della minore, per la quale la ricorrente ha accettato l’eredità con beneficio di inventario previa autorizzazione del giudice tutelare. Il tribunale ha reputato la domanda fondata, posto che l’art. 24 d.lgs. n. 196 del 2003 contempla la necessità di difesa in giudizio, tutelando tale interesse come giuridicamente prevalente.
Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione dal Fondo di previdenza, sulla base di due motivi.
Non svolgono difese gli intimati, sig.ra B. ed il Garante per la protezione dei dati personali.
La parte ricorrente ha depositato, altresì, la memoria.
Ragioni della decisione
1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 9 e 24 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, nonché dell’art. 14, comma 3, d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, sulla disciplina delle forme pensionistiche complementari, per avere il giudice del merito mancato di applicare l’art. 9 cit. (ora art. 2- terdecies), il quale prevede l’ostensione dei soli «dati personali concernenti persone decedute», ma non di terze persone.
Il principio, valido per le polizze assicurative sulla vita, deve estendersi ai fondi pensione complementari ex art. 14, comma 3, d.lgs. n. 252 del 2005, avendo anche la Commissione di vigilanza sui fondi pensione chiarito, negli orientamenti del 15 luglio 2008, che il beneficiario acquista il diritto iure proprio.
Al contrario, l’art. 24 d.lgs. n. 156 del 2003 va inteso in senso restrittivo, atteso che pone un’eccezione al diritto alla riservatezza; né l’accesso ai dati può essere esercitato in via esplorativa, in mancanza di un giudizio già intrapreso.
In ogni caso, le azioni preannunziate non sono fondate, dato che la posizione previdenziale accantonata non rientra nell’asse ereditario e l’azione di annullamento per incapacità del disponente presuppone un grave pregiudizio per l’autore, nella specie assente.
Infine, il Fondo Previndai ha natura di associazione privata, per la quale non valgono le norme sul procedimento amministrativo in tema di accesso agli atti.
1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la falsa applicazione dell’art. 14, comma 3, d.lgs. n. 252 del 2005, oltre alla «omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio», ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non avendo il tribunale valutato l’eccezione assorbente, secondo cui la ricorrente è priva della qualità di erede in forza del testamento olografo, che ha istituito unica erede L.M.: invero, l’art. 14, comma 3, d.lgs. n. 252 del 2005 stabilisce che l’intera posizione individuale sia riscattata dagli eredi ovvero dai diversi beneficiari dallo stesso designati, posizioni assenti in capo alla ricorrente.
2. – I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto pongono questioni interpretative connesse, sono infondati.
2.1. – Gli strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei «fondi pensione» costituiscono una categoria assimilabile alle assicurazioni sulla vita, attesa la loro causa o finalità riconducibile al genus previdenziale, vuoi con riferimento alla primigenia fase di accumulo della provvista monetaria, vuoi con riferimento alla successiva fase di erogazione della prestazione pecuniaria (cfr. Cass., sez. un., 20 marzo 2018, n. 6928; per la Cassazione penale, cfr. Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2020, n. 13660).
Ed è stato rilevato che il sistema pensionistico si divide in due grandi settori, la previdenza obbligatoria e quella complementare, quest’ultima progressivamente affiancatasi a quella obbligatoria: i sistemi pensionistici si diversificano in ragione dei meccanismi di gestione delle risorse, distinguendosi in sistemi «a ripartizione» e «a capitalizzazione»; la riforma organica del sistema della previdenza complementare fu realizzata con il d.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252 (Cass., sez. un., 14 gennaio 2015, n. 477).
L’art. 24, comma 3, d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, Disciplina delle forme pensionistiche complementari, stabilisce che, in caso di morte dell’aderente ad una forma pensionistica complementare prima della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica, «l’intera posizione individuale maturata è riscattata dagli eredi ovvero dai diversi soggetti dallo stesso designati, siano essi persone fisiche o giuridiche. In mancanza di tali soggetti, la posizione, limitatamente alle forme pensionistiche complementari individuali, viene devoluta a finalità sociali secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Nelle forme pensionistiche complementari collettive, la suddetta posizione resta acquisita al fondo pensione».
La legge, dunque, ha espressamente disciplinato quali siano i soggetti, a seconda delle diverse evenienze, titolari della posizione dell’aderente al fondo.
In tale ambito, una tutela particolarmente intensa è assicurata al titolare della posizione individuale, il quale ha facoltà di designare i soggetti beneficiari, anche diversi dagli eredi.
2.2. – Ciò posto, reputa il Collegio che il richiamo all’art. 9 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 sia inconferente nel caso in esame.
2.2.1. – Prevede l’art. 9, comma 3, d.lgs. n. 196 del 2003, nella versione in vigore all’epoca dei fatti della controversia, che «i diritti di cui all’articolo 7 riferiti a dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione».
A sua volta, l’art. 7, ratione temporis applicabile, menziona i «diritti dell’interessato», quali i diritti di accesso, di conferma, di comunicazione in forma intelligibile, di ogni dato sul titolare, nonché l’aggiornamento dei dati, la loro rettificazione, integrazione o cancellazione, ed il diritto di opporsi al trattamento, per motivi legittimi; mentre l’art. 8 precisa che i diritti, di cui all’articolo precedente, sono esercitati con richiesta rivolta senza formalità al titolare o al responsabile, anche per il tramite di un incaricato, alla quale è fornito idoneo riscontro senza ritardo.
Analogamente, l’art. 2-terdecies d.lgs. n. 196 del 2003, inserito dall’art. 2, comma 1, lett. f, d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, prevede: «Diritti riguardanti le persone decedute. I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione» (comma 1), mentre «[i]n ogni caso, il divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi» (comma 5).
Gli artt. da 15 a 22 reg. concernono i diritto di accesso (con riguardo alle finalità del trattamento, alle categorie di dati, ai destinatari ecc.); il diritto di rettifica, di cancellazione o di limitazione del trattamento; il diritto alla portabilità dei dati; il diritto di opposizione; il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione.
2.2.2. – Orbene, non era quello previsto dall’art. 9 d.lgs. n. 196 del 2003, tuttavia, il diritto invocato dalla ricorrente innanzi al Tribunale.
La stessa, invero, non ha chiesto i dati personali del de cuius, ma i dati di terzi soggetti, invocando l’esigenza di intraprendere una controversia giudiziale di natura ereditaria o di annullamento degli atti dispositivi del de cuius per incapacità naturale.
Onde la norma costituita dall’art. 9 citato – il quale regolamenta i dati personali del defunto ed i correlati diritti di rettifica, cancellazione, limitazione, opposizione e così via – viene inappropriatamente evocata.
2.3. – La norma di riferimento è l’art. 24 d.lgs. n. 196 del 2003, correttamente considerato dal Tribunale.
Non si ignora, al riguardo, il precedente, citato anche dalla ricorrente (Cass. 8 settembre 2015, n. 17790), che ha negato agli eredi il diritto di accesso ai dati identificativi di terze persone, quali i beneficiari della polizza sulla vita stipulata dal de cuius, avendo ritenuto in quel caso il giudice del merito, accogliendo la tesi del ricorrente, applicabile l’art. 9 d.lgs. n. 196 del 2003, che la S.C. ha interpretato nel senso che tale disposizione concerne solo i dati del de cuius medesimo.
Non vi è dubbio che tale interpretazione sia corretta, riferendosi la norma ai dati del dante causa.
Ma, come palesa la vicenda oggi esaminata, qui non era questione dei dati relativi al dante causa, della rettifica o cancellazione di essi, o di altro diritto a tutela del medesimo: si tratta, invece, di una domanda di accesso a dati di terzi, a fini di difesa giudiziaria.
2.4. – L’indagine, pertanto, si riduce alla corretta interpretazione della disposizione di cui all’art. 24 d.lgs. n. 196 del 2003.
Prevedeva l’art. 24 d.lgs. n. 196 del 2003 (sino alla sua abrogazione, avvenuta ad opera dell’art. 27, comma 1, lett. a, n. 2, d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101) gli specifici «casi nei quali può essere effettuato il trattamento senza consenso».
Fra di essi, l’art. 24, comma 1, lett. f) contempla l’esigenza di «far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento».
Questa Corte ha avuto già occasione di precisare che l’art. 24 cit. esclude che occorra il consenso dell’interessato, allorché il trattamento dei dati sia necessario per far valere o difendere un diritto in giudizio, pur se tali dati non riguardino una parte del giudizio in cui la produzione viene eseguita: unica condizione richiesta, invero, è che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, in quanto, cioè, la produzione sia pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, con utilizzo dei dati esclusivamente nei limiti di quanto necessario al legittimo ed equilibrato esercizio della propria difesa (cfr. Cass. 3 aprile 2014, n. 7783, non mass.; Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 11 luglio 2013, n. 17204; Cass. 11 luglio 2013, n. 17203).
Dunque, il trattamento dei dati è ammesso ai fini della tutela giudiziaria dei propri diritti, ex art. 24, lett. f), d.lgs. n. 196 del 2003.
2.5. – Al riguardo, i precedenti di questa Corte hanno concorso a delineare un principio generale, ricavabile dal diritto positivo e volto a favorire la tutela del diritto alla difesa, di cui all’art. 24 Cost.
Detto principio generale deriva, invero: dall’art. 51 c.p., riguardante l’esimente dell’esercizio di un diritto; dagli artt. 93 e 94 I. 22 aprile 1941 n. 633, legge sul diritto d’autore, secondo cui la corrispondenza, allorché abbia carattere confidenziale o si riferisca alla intimità della vita privata, può essere divulgata senza autorizzazione, quando la conoscenza dello scritto sia richiesta ai fini di un giudizio civile o penale; dalle specifiche norme del codice dei dati personali, fra cui proprio l’art. 24 d.lgs. n. 196 del 2004 (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612).
È, pertanto, individuabile il principio, secondo cui l’interesse alla riservatezza dei dati personali deve cedere, a fronte della tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti, e dall’ordinamento configurati come prevalenti nel necessario bilanciamento operato, fra i quali l’interesse, ove autentico e non surrettizio, all’esercizio del diritto di difesa in giudizio.
2.6. – Né il diritto alla difesa giudiziale, anche mediante la conoscenza dei dati a ciò strettamente necessari, previsto dall’art. 24, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 196 del 2003 può essere interpretato in senso restrittivo, correlato cioè al solo titolare dei dati soggetti a trattamento: al contrario, anche altri soggetti possono formulare la richiesta di accesso ai dati, sempre se portatori di un interesse tutelabile in sede giudiziaria e per la cui realizzazione sia indispensabile conoscere i dati personali richiesti (cfr. Cass. 3 aprile 2014, n. 7783).
Si noti che, ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 196 del 2003, “dato personale” oggetto di tutela è qualunque informazione, relativa a «persona fisica, giuridica, ente o associazione», che siano «identificati o identificabili», anche «indirettamente mediante riferimento a qualsiasi altra informazione»’, ed in tale nozione sono riconducibili i dati dei singoli beneficiari di una polizza o di un fondo di previdenza complementare, raccolti ed utilizzati per le finalità del Fondo pensione.
2.7. – Non ha pregio la pretesa di ritenere che condizione della domanda di ostensione dei dati, ai fini di tutela giudiziaria ex art. 24 d.lgs. n. 196 del 2003, sia l’attuale e preventiva pendenza di un processo, in quanto altrimenti si tratterebbe di domanda “esplorativa”.
Al contrario, un attuale giudizio già intrapreso, al momento della istanza di comunicazione dei dati, non è requisito indefettibile della stessa.
Si è già affermato, al riguardo, che la pertinenza dei dati – in quel caso, della produzione documentale di una parte – rispetto alla sua tesi difensiva va verificata nei suoi termini astratti e con riguardo alla sua oggettiva inerenza alla finalità di addurre elementi atti a sostenerla, e non alla sua concreta idoneità a provare la tesi stessa o avendo riguardo alla ammissibilità e rilevanza dello specifico mezzo istruttorio (cfr. Cass. 20 settembre 2013, n. 21612). Invero, il diritto di difesa in giudizio – nel bilanciamento degli interessi in gioco operato ex ante dal legislatore con norma positiva univoca – prevale sul diritto alla riservatezza del soggetto, i cui dati siano resi necessari dalla necessità della tutela giudiziale del propri diritti.
Tale principio va completato, nel senso che neppure occorre la previa pendenza di un procedimento in cui sia parte il soggetto che l’accesso ai dati abbia richiesto.
2.8. – In una lettura complessiva del sistema, una conferma delle esposte conclusioni si trova nella recente riforma della materia.
Il comma 5 dell’art. 2-terdecies d.lgs. n. 196 del 2003, introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. f), d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, ha espressamente affermato, in tema di diritti riferiti ai dati personali concernenti persone decedute, che essi possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione, salvo che (limitatamente all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione) l’interessato lo abbia espressamente vietato con dichiarazione scritta: ma, «[i]n ogni caso, il divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi».
2.9. – Il giudice, che sia stato adito ai sensi dell’art. 152 d.lgs. cit., a fronte del rifiuto di ostensione, non ha il potere-dovere di provvedere ad una valutazione preventiva in ordine alla fondatezza dell’azione che il richiedente intenda intraprendere: onde, al riguardo, si palesa ultroneo il riferimento, operato dall’odierno ricorrente, alla non esperibilità o infondatezza delle azioni prospettate dalla intimata ex artt. 428 e 553 ss. cod. civ.
Il solo controllo “in negativo”, demandato al giudice del merito, sta nel verificare che non si tratti di un’istanza del tutto pretestuosa, come allorché il richiedente non vanti, neppure in astratto, una posizione di diritto soggettivo sostanziale, che si ricolleghi all’esigenza di conoscenza dei dati per farlo valere.
Onde, a fronte di una pretesa come quella in esame, al giudice del merito compete solo di accertarne e riscontrarne la plausibilità, in quanto essa non si presenti ictu oculi come manifestamente pretestuosa e già astrattamente improponibile o inammissibile.
Ogni questione di merito, relativa alla fondatezza in concreto delle domande, oggetto delle cause giudiziarie prospettate dal richiedente l’ostensione dei dati, va invece riservata al giudice del processo.
Ne deriva che non è dovuto, da parte del giudice adito ex art. 152 d.lgs. n. 196 del 2003, né l’accertamento della effettiva qualità di erede in capo al ricorrente (cfr. Cass. 19 luglio 2019, n. 19571, che, in tema di previdenza complementare, nel caso di decesso dell’aderente in epoca antecedente alla maturazione del diritto alla prestazione, ha ritenuto il diritto di riscatto riconosciuto dall’art. 14, comma 3, d.lgs. n. 289 del 2005 sorto direttamente in capo agli eredi in virtù della previsione di legge: onde occorre, appunto, accertare quali soggetti siano divenuti eredi con l’accettazione della eredità), né lo stabilire se il beneficiario designato abbia acquistato un diritto proprio neppure entrato nel patrimonio ereditario (come hanno ora ritenuto avvenire in caso di assicurazione in favore del terzo che devolva l’indennizzo ai legittimi eredi: Cass., sez. un., 30 aprile 2021, n. 11421; v. già, in tema di contratto di assicurazione, Cass. 15 ottobre 2018, n. 25635).
3. – In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto:
«È legittima l’ostensione dei dati del beneficiario della posizione previdenziale di un fondo pensione, allorché il richiedente alleghi l’interesse, concreto e non pretestuoso, ad intraprendere un giudizio nei confronti del soggetto in tal modo designato dall’aderente al fondo, come allorché la richiesta provenga dal legittimario del de cuius».
4. – Nulla sulle spese di lite, non svolgendo difese gli intimati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dà atto che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sussistono i presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.
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