CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 febbraio 2019, n. 4176
Tributi – Accertamento – Imposta di successione – Avviso di liquidazione
Rilevato che
1. D. D. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione n. 10/09990/000019/001, notificato dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di A versa, relativo alla successione di R. T., deceduto in data 4/1/2009.
In particolare, la ricorrente lamentava il mancato riconoscimento di un debito d’imposta da decurtare quale passività dell’asse ereditario, indicato nel quadro D della denuncia di successione e costituito dal debito di cui all’avviso di accertamento n. 88301T301258, notificato il 23/12/2009, per l’anno d’imposta 2004.
1.1. La CTP di Caserta, con sentenza n. 868/14/2010 del 6/12/2010, rigettava il ricorso sul presupposto che il debito d’imposta dedotto non costituiva un debito esigibile in quanto non vi era sentenza definitiva.
1.2. Avverso tale sentenza proponeva appello la contribuente lamentando la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che la controversia dipendeva dall’esito del contenzioso relativo all’accertamento per l’anno 2004, senza trarne le dovute conseguenze in termini di sospensione del giudizio dipendente in attesa della definizione di quello pregiudiziale, e comunque senza assumere alcuna decisione sul punto; nel merito, l’appellante riproduceva gli argomenti già dedotti in primo grado.
1.3. La Commissione Tributaria Regionale di Napoli, con sentenza n. 199/32/12, depositata il 29/6/2012, rigettava l’appello della contribuente.
1.4. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la contribuente sulla base di due motivi (procedimento rg. n. 5074/2013). L’Agenzia delle Entrate si è costituita oltre i termini di legge, ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370, comma 1, c.p.c.
2. Con altro ricorso, D. D., nella qualità di erede di R. T., impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate di Caserta aveva accertato, per l’anno 2004, ai sensi dell’art. 41 bis del d.P.R. n. 600/1973, un reddito del signor T. di €. 1.387.256,00, a fronte di €. 67.256,00 dichiarati, per una plusvalenza di cessione d’azienda non dichiarata.
In particolare, la ricorrente eccepiva la nullità dell’atto per mancata allegazione dell’accertamento per imposta di registro sul quale si fondava l’accertamento impugnato e, in subordine, chiedeva la riduzione del valore accertato.
2.1. La CTP di Caserta, con sentenza n. 831/16/2010 del 26/11/2010, in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente, determinava il valore accertato in €. 1.000.000,00, ritenendo che tale era l’importo percepito dalla cessione d’azienda avvenuta nel 2004 e non dichiarato.
2.2. Avverso tale sentenza proponeva appello la contribuente insistendo per l’annullamento dell’accertamento impugnato per carenza di motivazione, non essendo stato ad esso allegato l’avviso emesso dall’Ufficio del Registro di Avellino (atto propedeutico all’accertamento de quo): al riguardo deduceva che destinatario dell’avviso di accertamento dell’imposta di registro era il signor T., deceduto il 4/1/2009, e tale avviso, secondo l’Agenzia, sarebbe stato notificato il 16/5/2006, ma detto atto non era stato prodotto neppure in corso di giudizio, né era stata provata l’avvenuta notifica dello stesso in data 16/5/2006.
L’Agenzia delle Entrate si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo a sua volta appello incidentale.
2.3 La Commissione Tributaria Regionale di Napoli, con sentenza n. 198/32/12, depositata il 29/6/2012, rigettava sia l’appello principale che l’appello incidentale, confermando la sentenza impugnata, con compensazione delle spese.
2.4. Avverso tale sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi (procedimento rg. n. 5076/2013). Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Considerato che
1. Va pregiudizialmente disposta la riunione del procedimento n. 5076/2013 al procedimento n. 5074/2013, vertendo le due cause tra le stesse parti ed essendo indiscutibile la connessione oggettiva delle questioni da affrontare, atteso che nel procedimento rg. n. 5074/2013 si controverte circa il mancato riconoscimento della detrazione di un debito di imposta la cui esigibilità è oggetto di accertamento nel procedimento rg. n. 5076/2013, sicché l’esito di quest’ultimo giudizio costituisce il presupposto logico-giuridico per la definizione del primo.
1.1. Invero, «la riunione delle impugnazioni, che e obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie» (così Cass. S.U. n. 1521 del 23/01/2013; conf. Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27550, Rv. 651065 – 01).
2. Sul procedimento concernente l’impugnazione avverso l’accertamento di rettifica del reddito del defunto signor T. per l’anno 2004 (procedimento rg. n. 5076/2013).
2.1. Ragioni di priorità logica conducono ad esaminare con precedenza il presente ricorso, ancorché iscritto successivamente a quello cui è stato riunito (recante il n. di rg. N. 5074/2013), trattandosi del giudizio pregiudicante.
2.2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 7 l. 2000 n. 212 ed art. 42 comma 2 del d.P.R. 600/1973; art. 3 l. n. 241/1990 – Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. “.
Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con la normativa richiamata, relativa all’obbligo di motivazione degli atti tributari, non avendo considerato le censure mosse dalla stessa contribuente circa la carenza di motivazione del provvedimento di imposizione impugnato, atteso che quest’ultimo rinvia per relationem ad un avviso di accertamento, asseritamente notificato al defunto (ma tale circostanza non risulterebbe neppure provata), che non sarebbe stato né allegato né prodotto.
2.2.1 Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata, nella parte dedicata alla descrizione del fatto, dà atto delle doglianze della ricorrente relative alla carenza di motivazione per non essere stato allegato l’avviso emesso dall’Ufficio del Registro di Avellino (atto propedeutico all’accertamento impugnato), né prodotto in corso di giudizio, e per non essere stata neppure provata la sua notifica al defunto in data 16/5/2006.
Nella parte motiva la medesima sentenza, su tale questione, così statuisce: “L’appellante in particolare evidenza la mancata allegazione all’avviso di accertamento (oggetto della primaria impugnazione) di quello con il quale l’Ufficio del Registro ha rettificato la plusvalenza per cessione d’azienda, avvenuta nel 2004 e non dichiarata, elevando il valore ad €. 1.387.256,00. Nel caso di specie l’accertamento ai fini IRPEF, nei confronti della ricorrente, si è concretizzato a seguito di segnalazione dell’Anagrafe Tributaria per la mancata dichiarazione della plusvalenza realizzata con la cessione di azienda avvenuta nel 2004 nonché sul presupposto che la signora D. D., benché invitata dall’A.F., non ha prodotto idonea documentazione fiscale a seguito dell’invito n. 100164/09, notificato in data 27/6/2009”.
Tale motivazione, sebbene poco chiara, si risolve nell’implicita (ma univoca) affermazione dell’irrilevanza della omessa allegazione, produzione e notifica dell’atto prodromico, richiamato per relationem dall’avviso di accertamento impugnato (circostanza pacifica in causa), ritenendo sufficiente che quest’ultimo si fosse “concretizzato” a seguito di segnalazione dell’Anagrafe T. nonché sul presupposto della mancata produzione di “idonea documentazione fiscale” da parte della D. D., benché a ciò invitata dall’A. F.
Con tali affermazione, tuttavia, la CTR ha violato il disposto dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 42, comma 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come successivamente modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), del d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32.
Ai sensi delle norme citate, infatti, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., sez. 5, 25/03/2011, n. 6914, Rv. 617325 – 01), o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass., sez. 5, 25/07/2012, n. 13110, Rv. 623857 – 01).
In particolare, deve ritenersi che anche l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente (così come espressamente previsto dall’art. 42 del d.P.R. citato), nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisca esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass., sez. 5, 4/7/2014, n. 15327, Rv. 631550 –
Peraltro, l’avviso di accertamento privo, in violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7 della 1. n. 212 del 2000, di una congrua motivazione è illegittimo, senza che la stessa possa, essere “integrata” in giudizio dall’Amministrazione finanziaria, in ragione della natura impugnatoria del processo tributario (Cass., sez. 6-5, 21/05/2018, n. 12400, Rv. 648519 -01).
Alla luce di tali principi, la CTR, per applicare correttamente le norme citate, avrebbe dovuto verificare se l’accertamento dell’Ufficio del registro, richiamato nell’atto impugnato ma non allegato (della mancata allegazione dà atto la stessa sentenza impugnata nel prosieguo della motivazione, ancorché nella parte di motivazione riferita all’appello incidentale proposto dell’Agenzia), fosse comunque conosciuto dalla contribuente e, in particolare, se fosse stato notificato al de cuius, come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, ovvero se il suo contenuto essenziale risultasse riprodotto nell’atto impugnato.
Con riferimento alla necessità di accertare l’avvenuta notifica nei confronti del de cuius, infatti, non può essere condivisa la tesi sostenuta in controricorso dall’Agenzia delle Entrate, secondo la quale, poiché “nell’avviso di accertamento si dà espressamente atto dell’avvenuta notifica dell’atto presupposto, trattandosi di atto pubblico, tale dichiarazione avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione di falso, in concreto non avvenute”. Invero, la fede privilegiata assiste solo i fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui stesso compiuti, ma non gli effetti giuridici di tali atti: nella specie, anche ove l’avviso di accertamento contenga effettivamente l’indicazione dell’avvenuta notifica al de cuius (circostanza di fatto solo affermata dall’Agenzia ma non verificabile in sede di legittimità), ciò proverebbe esclusivamente che l’adempimento è stato compiuto dal notificante, ma non potrebbe dimostrare né il contenuto dell’atto notificato, né il perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario, potendo detta notifica, in ipotesi, essere affetta da vizi tali da comportarne la nullità o l’inesistenza.
Va altresì precisato che, se risultasse accertata l’avvenuta notifica nei confronti del de cuius dell’atto presupposto, cui rinvia “per relationem” la motivazione dell’atto impugnato in questa sede, dovrà ritenersi, con presunzione juris tantum, che tale atto presupposto sia pervenuto nella disponibilità dell’erede, quale avente causa dal contribuente defunto, e sia pertanto da esso conosciuto.
2.3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la “omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo prospettato dal ricorrente – Art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. vecchia formulazione”.
In particolare, la ricorrente si duole che la CTR avrebbe omesso qualsiasi motivazione in ordine alla eccepita mancata all’allegazione, sia all’atto impugnato (relativo all’accertamento per l’anno d’imposta 2004) che agli atti del presente giudizio, dell’atto presupposto sul quale esso si fonda (avviso di accertamento ai fini dell’imposta di registro relativa ad una cessione di azienda avvenuta nel 2004), non risultando pertanto provata né l’emissione di tale provvedimento né la sua notifica al de cuius, che l’Agenzia delle Entrate assume essere stata effettuata in data 16/5/2006.
2.3.1. Anche il secondo motivo è fondato.
Preliminarmente, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità di tale motivo, sollevata dalla controricorrente affermando che con il vizio dedotto “in realtà viene censurato l’omesso pronunciamento su un motivo di censura, che avrebbe dovuto essere dedotto dinanzi al giudice di legittimità a diverso titolo”.
Invero, dall’illustrazione del motivo emerge che la censura riguarda propriamente una omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (costituito dalla mancata allegazione dell’atto propedeutico all’accertamento e della sua notifica al de cuius), e non già una omessa pronuncia sulla questione, posto che tale questione è stata esaminata, ancorché risolta “giustificando l’accertamento con incomprensibili richiami a una segnalazione dell’Anagrafe tributaria … ed ad una presunta ed indimostrata mancata produzione di documenti da parte della D.”, senza spiegare “perché in assenza dell’avviso del Registro di Avellino, l’atto impugnato che lo richiama possa ritenersi fondato (v. pag. 18 del ricorso).
La pronuncia, dunque, vi è stata, ma la stessa, nella prospettazione della ricorrente, risulterebbe incongrua e non terrebbe conto di un fatto decisivo per il giudizio.
Tale doglianza è fondata, come si evince dalla motivazione della sentenza sul punto, già interamente riportata nel paragrafo che precede, la quale, nel motivare sull’appello principale proposto dalla ricorrente, non esamina affatto la questione relativa all’omessa allegazione ed alla mancata notifica dell’atto richiamato.
Non solo, ma la medesima sentenza, passando poi ad esaminare l’appello incidentale proposto dall’Agenzia, afferma che .. nel caso in esame non risulta fornita né la prova dell’esistenza di tale accertamento, in quanto non allegato all’atto impugnato, né che esso si sia reso definitivo”.
Trova, nella specie, applicazione il n. 5 dell’articolo 360 c.p.c. come risultante dal d.lgs. n. 40/2006; in proposito, questa Corte ha chiarito che il «fatto» ivi considerato è un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass., sez. 5, 3/10/2018, n. 24035, Rv. 650798 – 01), il quale deve essere decisivo: per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass., sez. 2, 27/08/2018, n. 21223, Rv. 650030 – 01).
Orbene, nel caso in esame la circostanza della mancata allegazione dell’atto prodromico, accertata nella stessa sentenza sia pure con riferimento all’appello incidentale, costituisce un fatto preciso e certamente decisivo per il giudizio, atteso che, se considerato, ed in assenza di prova della precedente notificazione dell’atto medesimo al de cuius o della sua conoscenza da parte dell’odierna ricorrente (circostanze neppure esaminate dalla sentenza impugnata), avrebbe dovuto portare ad una diversa soluzione giuridica sull’appello principale, facendo corretta applicazione delle norme in tema di obbligo di motivazione degli atti tributari, come evidenziato esaminando il primo motivo.
3. Sul procedimento concernente l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione per mancato riconoscimento della deducibilità del debito d’imposta relativo all’anno 2004 (procedimento rg. n. 5074/2013).
3.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 295 cp.c.; art. 39 del d.lgs. n. 546/1992 – Art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.; Nullità del procedimento e della sentenza ex art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c”.
In particolare la ricorrente si duole del mancato accoglimento dell’istanza, proposta sin dal primo grado, di sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio, ritenuto pregiudiziale, avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2004, essendo il relativo debito tributario (la cui sussistenza è oggetto del procedimento rg. n. 5076/2013 sopra esaminato) presupposto necessario ai fini del calcolo delle passività deducibili dall’imposta di successione di cui si discorre nel presente giudizio.
3.2. Con il secondo motivo si deduce la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto: artt. 21 e 23 del d.lgs n. 346/1990 — Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”.
In proposito, nell’illustrazione del motivo si sostiene la erronea applicazione delle norme citate da parte della CTR, in quanto quest’ultima, affermando che “le contestate passività del de cuius non risultano attestate da atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione o da titolo giudiziario definitivo”, non avrebbe tenuto conto che, ai fini della prova del debito tributario, ai sensi degli artt. 21 comma 5, e 23, comma l, lettera c) del d.lgs. citato, l’atto scritto avente data certa può anche sopravvenire all’apertura della successione e che “l’attestazione rilasciata dall’amministrazione creditrice” idonea a provare i debiti verso l’Amministrazione (e, dunque, anche il debito tributario) ben può essere integrata (come nella specie) dall’avviso di accertamento relativo alla pretesa tributaria di cui si invoca la detrazione. Non condivisibile, inoltre, sarebbe l’assunto della sentenza impugnata secondo il quale il debito in questione non sarebbe deducibile perché il relativo avviso di accertamento era stato impugnato e, dunque, non era divenuto definitivo.
3.2.1. Il secondo motivo, da esaminare prioritariamente in quanto l’esito del giudizio sullo stesso è destinato a riverberarsi sul primo motivo, che attiene alle conseguenze processuali, è fondato.
In linea generale, in tema di imposta sulle successioni, il regime di deducibilità dei debiti della massa ereditaria – disciplinato dagli articoli da 20 a 24 del d.lgs. n. 346 del 1990 – va ricostruito nel senso che tali debiti sono deducibili, purché sussistano le condizioni previste dall’art. 21 e subordinatamente alle dimostrazioni, integranti sistema di prova tributari, il cui presupposto si è verificato anteriormente alla stessa data, sono deducibili anche se accertati in data posteriore. …
L’art. 23, comma 1, del d.lgs n. 346/1990, che si riferisce a tutti i debiti detraibili e non contiene specifiche disposizioni riferite ai debiti tributari, stabilisce a sua volta che “1. La deduzione dei debiti è subordinata alla produzione, in originale o in copia autentica, del titolo o provvedimento di cui all’art. 21, comma 1, ovvero: a) di estratto notarile delle scritture contabili obbligatorie del defunto, per i debiti inerenti all’esercizio di imprese; b) di estratto notarile delle scritture contabili obbligatorie del trattario o del prenditore, per i debiti cambiari; c) di attestazione rilasciata dall’amministrazione creditrice, o di copia autentica della quietanza del pagamento avvenuto dopo l’apertura della successione, per i debiti verso pubbliche amministrazioni; d) di attestazione rilasciata dall’ispettorato provinciale del lavoro, per i debiti verso i lavoratori dipendenti”.
Dal combinato disposto di tali norme emerge che i debiti di natura tributaria sono deducibili qualora il presupposto per la loro insorgenza, inteso come evento storico, risulti già verificatosi al momento dell’apertura della successione, ancorché sia stato accertato solo successivamente (art. 21, comma 5, ult. parte), e che, conseguentemente, la prova della loro esistenza può essere data tramite la produzione dell’avviso di accertamento (successivo, appunto), atteso che quest’ultimo, costituendo espressione autoritativa della pretesa tributaria dell’amministrazione, costituisce, se definitivo, un quid pluris rispetto alla semplice ‘‘’attestazione rilasciata dall’amministrazione creditrice”, cui fa riferimento l’art. 23, comma 1, lett. c) del d.lgs. citato.
Va evidenziato, tuttavia, che l’avviso di accertamento può costituire prova idonea ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. c) cit., solo qualora sia divenuto definitivo, posto che il concetto di “attestazione” richiamato dalla norma da ultimo citata implica l’affermazione di un fatto certo e non più discutibile, situazione che, per quanto qui interessa, si verifica, alternativamente, quando sia spirato il termine di impugnazione dell’atto di accertamento emesso dall’amministrazione finanziaria ovvero, in caso di impugnazione di tale atto, quando sia passata in giudicato la sentenza che decide il relativo contenzioso (art. 21, comma 1, cit.).
In quest’ultimo caso, ossia quando vi sia stata impugnazione dell’accertamento, il contribuente può dimostrare il suo debito (tributario), ancorché1 non indicato nella dichiarazione della successione, nel termine di sei mesi dalla data in cui il provvedimento giurisdizionale e1 divenuto definitivo, come previsto dall’art. 23, comma 4, d.lgs n. 346/1990.
Ciò posto, nel caso in esame risulta pacificamente accertato dalla CTR, e non contestato, che il presupposto del debito tributario di cui la ricorrente invoca la deducibilità si è verificato nell’anno 2004, e dunque prima della apertura della successione (avvenuta, con il decesso del signor T., il 4/1/2009), mentre il suo accertamento è stato effettuato successivamente, con l’avviso notificato alla D., quale erede del T., il 23/12/2009. Parimenti incontestata è la circostanza che tale avviso di accertamento è stato impugnato (la relativa controversia costituisce oggetto del ricorso n. 5074/2013, riunito al presente in questa sede) e, pertanto, non è ancora divenuto definitivo.
A fronte di tale situazione, la CTR non ha fatto buon governo dei principi sopra enunciati là dove ha affermato che “essendo stato impugnato, il debito di imposta non e definitivo e quindi non può essere sottratto all’importo in contenzioso” e che pertanto “le contestate passività del de cuius non risultano attestate da atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione o da titolo giudiziario definitivo, secondo la normativa concernete il regime di detrazione dei debiti ereditari, contenuta negli artt. da 20 a 24 del Testo unico delle successione (d.lgs. 346/1990)”: invero, trattandosi di debito tributario, da un lato esso non doveva necessariamente essere attestato da atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione, ben potendo risultare da un avviso di accertamento successivo a tale momento (purché fondato su presupposti di fatto anteriormente verificatisi, come nella specie), mentre, dall’altro lato, la mancata definitività di detto avviso di accertamento, conseguente alla sua impugnazione ancora sub iudice, non poteva di per sé determinare il rigetto del ricorso, essendo in tal caso consentito al contribuente dimostrare l’esistenza del debito, ancorché non indicato nella dichiarazione della successione (nella specie, peraltro, secondo quanto riferisce la ricorrente a pag. 2 del ricorso, tale indicazione era stata riportata nel quadro D della denuncia di successione), nel termine di sei mesi dalla data in cui il provvedimento giurisdizionale è divenuto definitivo (art.. 23, comma 4, cit.).
Ne deriva che la CTR, ai fini di una corretta applicazione delle norme in esame, avrebbe dovuto riunire i due giudizi, ricorrendone i presupposti processuali, ovvero, in caso di impossibilità di procedere alla riunione, avrebbe dovuto sospendere il presente giudizio (pregiudicato) in attesa della definizione di quello pregiudicante.
Tale questione consequenziale, concernente lo strumento processuale applicabile nella fattispecie, è oggetto del primo motivo di ricorso, che si procede ad esaminare nel paragrafo che segue.
3.2.2. Anche il primo motivo è fondato.
Giova in primo luogo osservare che nella specie le due cause di cui si discorre pendevano dinanzi alla stessa sezione della CTR Campania, nella medesima composizione, e sono state entrambe decise nella camera di consiglio del 15/6/2012, nonché entrambe pubblicate il 29/6/2012, con una successione cronologica che ha visto decisa prima la causa pregiudicante (relativa al debito d’imposta dell’anno 2004), con sentenza della CTR n. 198/32/12, e poi la causa pregiudicata (relativa alla detraibilità del predetto debito d’imposta dalla dichiarazione di successione), con sentenza n. 199/32/12.
Ciò premesso, in linea generale giova ricordare che è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale, nel caso di cause connesse pendenti innanzi al medesimo giudice, questi può disporre la sospensione ex art. 295 c.c. solo ove verifichi che i giudizi si trovino irrimediabilmente in fasi diverse, sì da renderne impossibile la riunione (come nel caso, ad esempio, in cui una causa sia già rimessa in decisione e l’altra ancora in trattazione o in fase istruttoria), ovvero quest’ultima non sia comunque realizzabile ritardando il procedere dell’uno in attesa della maturazione della fase istruttoria anche per l’altro (cfr., per il caso inverso, Cass. Sez. 6-2, 17/09/2015, n. 18286, Rv. 637013 -01).
Nel caso concreto, dunque, la CTR, una volta deciso il giudizio pregiudicante, avrebbe dovuto sospendere il presente giudizio (pregiudicato), ricorrendone sia le condizioni sostanziali (ossia un rapporto di pregiudizialità tra i due giudizi tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati), che la condizione processuale della impossibilità di procedere alla riunione.
Quest’ultima condizione discendeva – oltre che dalla diversa fase in cui si trovava il giudizio pregiudicante (già deciso) quando è stato esaminato (successivamente, ancorché nello stesso giorno, come risulta dal numero cronologico della relativa sentenza) quello pregiudicato – dalla corretta applicazione delle norme illustrate nel primo motivo (che consentono la prova del debito tributario, in caso di impugnazione del relativo accertamento, nel termine di sei mesi dalla data in cui il provvedimento giurisdizionale è divenuto definitivo, come previsto dall’art. 23, comma 4, d.lgs n. 346/1990), la quale rendeva impossibile la riunione in fase decisoria (o, più esattamente, la contestuale decisione dei giudizi riuniti, nel caso, non verificatosi nella specie, che tale riunione fosse stata disposta, come pure sarebbe stato corretto), atteso che la definizione del giudizio pregiudicante non solo non poteva essere ritardata, ma doveva prioritariamente intervenire con efficacia di giudicato, mentre la conclusione dell’istruttoria dell’altro giudizio (pregiudicato) era a sua volta subordinata al passaggio in giudicato della decisione sul primo.
4. In conclusione, con riferimento al procedimento n. 5076/2013, va accolto il ricorso in relazione ad entrambi i motivi, cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa dinanzi alla CTR della Campania, in diversa composizione, la quale riesaminerà il giudizio considerando la circostanza costituita dalla mancata allegazione all’atto impugnato dell’atto di accertamento presupposto, procedendo conseguentemente a verificare la conoscenza di quest’ultimo da parte della contribuente o del suo dante causa, ed in particolare l’avvenuta notifica o meno di tale atto al de cuius ovvero la riproduzione del suo contenuto nell’atto impugnato, come meglio sopra precisato, e, all’esito, applicando il seguente principio di diritto: “Ai sensi degli art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, gli atti tributari sono soggetti all’obbligo di motivazione, il quale può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato, ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, oppure che gli atti richiamati siano già legalmente ed integralmente conosciuti dal contribuente; ove non ricorrano tali condizioni, l’avviso di accertamento e illegittimo in quanto privo di una congrua motivazione, senza che la stessa possa essere “integrata” in giudeo dall’Amministrazione finanziaria
Parimenti, va accolto il ricorso n. 5074/2013 in relazione ad entrambi i motivi, cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa dinanzi alla CTR della Campania, in diversa composizione, che, previa sospensione del presente giudizio relativo alla liquidazione dell’imposta di successione, deciderà la sola controversia ad esso in questa sede riunita (relativa alla questione pregiudicante della sussistenza o meno del debito di imposta per l’anno 2004) e, all’esito del passaggio in giudicato della decisione su quest’ultima, deciderà il giudizio pregiudicato applicando il seguente principio di diritto: “Ai sensi degli art. 21, commi 1 e 5, e 23, commi 1, lett. c) e 4, del d.lgs. n. 346 del 1990, ai fini della deducibilità di un debito tributario, quest’ultimo non deve necessariamente risultare da un atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione, ben potendo risultare da un avviso di accertamento successivo a tale momento (purché fondato su presupposti di fatto anteriormente verificatisi) e divenuto definitivo per essere spirato il termine per la sua impugnazione ovvero, in caso di impugnazione, per essere passata in giudicato la sentenza che abbia deciso il relativo contenzioso.
In quest’ultimo caso, ossia quando vi sia stata impugnazione dell’accertamento, il contribuente può dimostrare il suo debito (tributario), ancorché non indicato nella dichiarazione della successione, nel termine di sei mesi dalla data in cui il provvedimento giurisdizionale è divenuto definitivo, come previsto dall’art. 23, comma 4, d.lgs n. 346/1990″.
La CTR della Campania provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità per entrambe le cause.
P.Q.M.
Dispone la riunione del procedimento rg. n. 5074/14 al procedimento rg. n. 5076/2013, accoglie entrambi i ricorsi, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla CTR della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
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