CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 febbraio 2019, n. 4205
Tributi – Verifica fiscale – Accertamento – Omessa presentazione della dichiarazione dei redditi – Raddoppio dei termini di accertamento
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 197/50/2012, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 24.04.2012.
Ha rappresentato che all’esito di verifica fiscale e redazione di pvc da parte della GdF veniva notificato a C. C. avviso di accertamento n. TF7010700293/2010, relativo all’anno d’imposta 2001, con cui erano recuperate imposte evase ai fini Irpef, Addizionale Regionale, Irap ed Iva, oltre sanzioni ed accessori, per un complessivo importo di € 1.750.000,00. Stante la omissione della presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, era fatta denuncia alla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ed applicato ai fini della notifica il raddoppio dei termini, ex art. 43 co. 3 del d.P.R. n. 600 del 1973 ratione temporis vigente, prospettandosi uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000.
La contribuente proponeva ricorso avverso l’atto impositivo, deducendo l’intervenuta decadenza dal potere d’accertamento e contestando nel merito l’infondatezza delle pretese fiscali, in quanto non potevano esserle attribuite le movimentazioni finanziarie rilevate sui conti correnti a lei intestati.
Con sentenza n. 200/07/11 la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta accoglieva il ricorso della C. per decadenza dal potere accertativo, non avendo prodotto l’Amministrazione Finanziaria prova della pendenza di indagini o di un giudizio penale. L’Ufficio proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che con la pronuncia ora impugnata lo rigettava sempre con riferimento alla mancata prova dell’avvio di un procedimento penale e dunque per inapplicabilità dei termini raddoppiati ex art. 43 co. 3 cit.
L’Agenzia censura la sentenza dolendosi, con unico motivo, della violazione e falsa applicazione dell’art. 43, co. 3 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per avere erroneamente escluso l’applicabilità al caso di specie del raddoppio dei termini.
Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza con ogni conseguente statuizione.
La contribuente, nonostante rituale notifica dell’atto, non ha inteso costituirsi.
Considerato che
La ricorrente sostiene l’erroneità della decisione del giudice regionale, il quale ha rigettato l’appello dell’Ufficio affermando che al momento della notifica dell’avviso di accertamento l’Amministrazione era ormai decaduta dal potere impositivo, non potendosi applicare al caso di specie il raddoppio dei termini per l’accertamento, previsti all’epoca dall’art. 43 terzo comma del d.P.R. n. 600 del 1973, per mancanza di prova attestante <<l’inizio di un’attività istruttoria penale>>. Al contrario, sostiene l’Amministrazione, il raddoppio dei termini consegue al mero riscontro di fatti per i quali è fatto obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, trattandosi comunque di termini automaticamente operanti in presenza di una specifica condizione obiettiva. Nel caso di specie l’obbligo di denuncia discendeva dall’entità della somma evasa.
Questa Corte, con arresti anche recenti, ha rilevato che l’art. 37, co. 24, del d.l. n. 223 del 2006, integrando il terzo comma dell’art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, ha previsto che, per le ipotesi in cui la violazione fiscale comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento raddoppiano relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. L’art. 37, co. 25 del d.l. n. 223 cit. ha introdotto analoga disposizione in materia di Iva, con modifica dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Sono queste le disposizioni applicabili al caso di specie, benché relativo a periodo di imposta antecedente l’entrata in vigore delle richiamate disposizioni in quanto, ex art. 37 co. 26, il raddoppio dei termini si applica dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto legge, siano ancora pendenti i termini ordinari per l’accertamento, riferendosi l’atto impositivo all’anno di imposta 2001. Deve invece escludersi l’applicabilità delle modifiche introdotte dall’art. 2, co. 1 e 2, del d.lgs. n. 128 del 2015, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia sia stata effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento; nonché di quelle introdotte dall’art. 1, co. 130, 131 e 132, della l. n. 208 del 2015, che hanno eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari.
Quanto alla prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 cit., la stessa non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quale quella per cui è causa (notifica del 23.06.2010). Quanto alla seconda, il regime transitorio previsto dalla l. n. 208 cit. per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione Finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3 co. 2, del d.lgs. n. 128 del 2015 sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass., 11620/2018; 26037/2016; 16728/2016).
Individuata la disciplina applicabile al caso di specie, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (cfr. Cass., ord. n. 22337/2018; 11171/2016).
Il principio trova riscontro nella sentenza n. 247/2011 della Corte Costituzionale, secondo cui l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento» (cfr. anche Cass., ord. n. 27629/2018).
Il raddoppio infatti attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, come tali operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, senza che all’Ufficio sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. Non vi è obbligo pertanto neppure di esternare le ragioni in base alle quali l’Agenzia ritenga operante il raddoppio del termine, esulando l’applicazione da scelte discrezionali. Di conseguenza l’atto impositivo non deve contenere una specifica motivazione sul punto, in quanto l’onere motivazionale previsto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 afferisce all’an ed al quantum della pretesa tributaria e ha lo scopo di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa (cfr. Cass. 7 maggio 2014, n. 9810; Cass. 10 giugno 2009, n. 13335).
Il giudice d’appello non ha applicato i principi ora esposti, così erroneamente riconoscendo una decadenza dal potere d’accertamento non avveratasi. Non si è avveduto in particolare che il raddoppio dei termini era dovuto alla esistenza di una speciale condizione obiettiva, quale l’entità della somma evasa, cui è automaticamente riconducibile l’obbligo di denuncia penale, a prescindere dalla sua materiale presentazione.
Considerato che
La sentenza va pertanto cassata e il giudizio va rimesso alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale, oltre che sulle spese del presente giudizio, dovrà decidere la controversia sul presupposto del tempestivo esercizio dell’accertamento, esaminando eventualmente le questioni ulteriori relative al merito dell’accertamento.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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