CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3608
Tributi – Dazi all’importazione – Dazi “antidumping” istituiti sulle importazioni di elementi di fissaggio – Illegittimità sopravvenuta del reg. U.E. n. 723 del 2011 – Conseguenze – Avvisi di accertamento doganali – Caducazione
Rilevato che
dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: C.D.E. s.r.l., quale rappresentante indiretto della società B. e V. s.p.a., aveva svolto delle operazioni di importazione dalla Malesia di elementi di fissaggio in ferro ed acciaio; l’Agenzia delle dogane aveva notificato alla società degli avvisi di rettifica degli accertamenti doganali in applicazione del Reg. Cee n. 966/2010 e del Reg. Ue n.723/2011, con i quali era stato applicato, con effetto retroattivo, un dazio antidumping alle importazioni dalla Malesia di elementi di fissaggio in ferro ed acciaio, già previsto per le importazione della medesima merce proveniente dalla Cina; avverso i suddetti avvisi di rettifica degli accertamenti doganali C.D.E. s.r.l. aveva proposto separati ricorsi che erano stati dichiarati inammissibili dalla Commissione tributaria provinciale di La Spezia per difetto di giurisdizione del giudice tributario; avverso le sentenze aveva proposto appello la società contribuente;
la Commissione tributaria regionale della Liguria, previa riunione, ha accolto gli appelli proposti, in particolare ha ritenuto che: sussisteva la giurisdizione del giudice tributario, avendo la controversia ad oggetto atti impositivi tributari; il regolamento antidumping Cina era da considerarsi, in via incidentale, illegittimo, in quanto adottato in contrasto con l’art. 4.1. del Codice Antidumping OMC, non essendo stata verificali l’effettività del pregiudizio che l’importazione comportava per l’industria dell’Unione europea; era, parimenti, illegittimo il regolamento Avvio Malesia, in quanto l’inchiesta era stata avviata d’ufficio dalla Commissione europea, senza alcuna richiesta da parte dell’industria dell’Unione, sicché non poteva avere applicazione retroattiva; avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte l’Agenzia delle dogane affidato a due motivi di censura, cui resiste la società contribuente depositando controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione degli artt. 2 e 19, decreto legislativo n. 546/1992 e degli artt. 263, 267 e 288, TFUE, per violazione del principio di primazia del diritto comunitario ed eccesso di potere giurisdizionale, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 1), cod. proc. civ., per avere erroneamente pronunciato sulla illegittimità degli atti comunitari la cui competenza esclusiva spetta alla Corte di giustizia e al Tribunale dell’Unione europea;
con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione della disciplina di cui ai Regg. Ce nn. 91/2009, 966/2010 e 723/2011, non essendo gli stessi in contrasto con l’ordinamento comunitario;
ai fini della definizione della presente controversia va tenuto conto del fatto la Corte di giustizia, con la sentenza 3 luglio 2019, causa C-644/17, Eurobolt BV, si è pronunciata sulla questione pregiudiziale relativa alla validità del regolamento di esecuzione (UE) n. 723/2011 del Consiglio, del 18 luglio 2011, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento (CE) n. 91/2009 sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malaysia (GU 2011, L 194, pag. 6); la Corte ha, in particolare, precisato che l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che, al fine di contestare la validità di un atto di diritto derivato dell’Unione, un singolo può far valere dinanzi a un giudice nazionale censure che possono essere sollevate nell’ambito di un ricorso di annullamento proposto ai sensi dell’articolo 263 TFUE, tra cui censure relative all’inosservanza delle condizioni di adozione di un tale atto, ma ha, altresì, ribadito che i giudici nazionali possono esaminare la validità di un atto dell’Unione e, se ritengono infondati i motivi d’invalidità rilevati d’ufficio o dedotti dalle parti, respingerli concludendo per la piena validità dell’atto (v., in tal senso, sentenze del 16 giugno 1981, Salonia, 126/80, EU:C: 1981:136, punto 7, e del 22 ottobre 1987, Foto-Frost, 314/85, EU:C: 1987:452, punto 14). Inoltre, i giudici nazionali non sono competenti a dichiarare essi stessi l’invalidità degli atti delle istituzioni dell’Unione (sentenza del 6 dicembre 2005, Gaston Schul Douane-expediteur, C-461/03, EU:C:2005:742, punto 17);
la Corte, inoltre, si è espressa sulla validità del Regolamento di esecuzione n. 723/2011 per effetto delle disposizioni di cui all’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento di base; ha, quindi, precisato che il regolamento di esecuzione (UE) n. 723/2011 del Consiglio, del 18 luglio 2011, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento (CE) n. 91/2009 sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese alle importazioni della medesima merce spedite dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malaysia, è invalido, poiché adottato in violazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea; ne consegue che l’illegittimità del regolamento di esecuzione (UE) n. 723/2011 comporta il venire meno del presupposto normativo sulla cui base sono stati adottati gli avvisi di accertamento impugnati, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 264 TFUE, secondo cui “Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell’Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato”; il ricorso, pertanto, è infondato, atteso il sopravvenuto venire meno del presupposto normativo sulla cui base era stato emesso l’atto impugnato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto dalla controricorrente e compensazione delle spese di lite, tenuto conto del recente intervento della Corte di giustizia, sopra citata;
non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, essendo parte ricorrente una amministrazione pubblica per la quale ricorre il meccanismo di prenotazione a debito delle spese;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, compensa interamente le spese di lite.
Non sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti della ricorrente dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.
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