CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 giugno 2022, n. 19022
Lavoro – CCNL personale del comparto degli enti locali – Mansioni superiori – Differenze retributive – Rappresentanza in giudizio dell’amministrazione da parte del funzionario – Equivalenza allo svolgimento della professione forense – Esclusione
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Palermo ha respinto l’appello di G.P. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti del Comune di Palermo volto ad ottenere, in via principale, l’inquadramento nella qualifica dirigenziale e la condanna dell’amministrazione al pagamento delle differenze retributive maturate e, in subordine, l’accertamento del diritto a ricoprire un incarico di valorizzazione della professionalità ex art. 10 del CCNL 2002/2005 per il personale del comparto enti locali ed a percepire le indennità previste dalla contrattazione collettiva;
2. la Corte territoriale ha premesso, in punto di fatto, che al P., inquadrato nella categoria D con qualifica di Commissario Specialista Area di Vigilanza, era stata affidata la difesa dell’amministrazione nei giudizi di opposizione di cui agli artt. 23 L. 689/1981 e 615 cod. proc. civ. dinanzi al Giudice di Pace, relativi alla riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada;
3. richiamata la declaratoria contrattuale dell’area D, il giudice d’appello ha escluso la fondatezza della domanda principale ed ha evidenziato che il C.C.N.L. include espressamente il profilo professionale dell’avvocato nell’area in questione, sicché le mansioni espletate in nessun caso potevano essere ritenute espressione di una maggiore professionalità rispetto a quella del livello di inquadramento, e ciò anche qualora fosse stata superata l’assenza di titolo accademico abilitante e di iscrizione ad apposito albo, di per sé sufficiente per escludere l’asserita piena assimilabilità dell’attività svolta a quella propria dell’avvocato;
4. quanto alla domanda subordinata la Corte territoriale ha evidenziato che gli incarichi di valorizzazione delle alte professionalità presuppongono che il dipendente sia in possesso di qualificanti titoli professionali ed abbia maturato pregresse esperienze formative specialistiche acquisendo un bagaglio di competenze elevate e innovative, requisiti, questi, che il ricorrente non aveva allegato e provato;
5. per la cassazione della sentenza G.P. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, illustrati da memoria, ai quali ha opposto difese il Comune di Palermo con tempestivo controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo il ricorrente denuncia «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ex art. 360 n. 3 mancata applicazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001 in riferimento al combinato disposto dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 36 Cost.» e, attraverso il richiamo a precedenti di questa Corte, sostiene, in sintesi, che doveva essere riconosciuto il diritto all’inquadramento nella qualifica dirigenziale, una volta allegato e provato lo svolgimento di mansioni non dissimili da quelle dell’avvocato, seppure espletate in assenza del titolo abilitante e dell’iscrizione all’albo;
1.1. ribadisce di essere stato assegnato dal Comune di Palermo all’Ufficio Contenzioso, anche per ragioni di carenza di organico, e rivendica l’attribuzione della qualifica superiore, in alcuni passaggi del motivo indicata come dirigenziale, in altri ravvisata nella posizione economica D/3;
2. la seconda censura denuncia «difetto di motivazione per omessa ammissione di mezzi di prova in combinato disposto all’art. 360 n. 4 e dell’art. 115 c.p.c.» e addebita alla Corte territoriale di non avere motivato sulla mancata ammissione della consulenza tecnica, richiesta perché necessaria al fine di quantificare le differenze retributive pretese;
2.1. il ricorrente argomenta sul diritto a percepire l’indennità per specifiche responsabilità prevista dall’art. 17 del CCNL 1/4/1999 nonché sui requisiti che devono ricorrere ai fini dell’attribuzione dell’incarico ex art. 10 del CCNL 22/1/2004 e sostiene che, avendo egli svolto prestazioni lavorative coincidenti con quelle proprie dell’avvocato, aveva diritto a percepire l’indennità di cui al richiamato art. 17;
3. il ricorso, oltre a presentare profili di inammissibilità dei quali si dirà in prosieguo, non può trovare accoglimento, innanzitutto perché entrambi i motivi, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, infondatamente si incentrano sull’asserita assimilazione della difesa dell’amministrazione, curata nei giudizi di opposizione di cui agli artt. 23 della legge n. 689/1981 e 615 cod. proc. civ., all’attività svolta dall’avvocatura interna dell’ente;
3.1. detto assunto è già stato smentito da questa Corte con ordinanza n. 33236 del 10 novembre 2021, con la quale, richiamati i principi affermati dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 485/1980), si è evidenziato che la rappresentanza in giudizio delle pubbliche amministrazioni da parte di propri dipendenti, prevista da leggi speciali (art. 23 della legge n. 689/1981; art. 11 del d.lgs. n. 546/1992; art. 6 della legge n. 19/1994, art. 4 della legge n. 205/2000) e per le controversie di lavoro dall’art. 417 bis cod. proc. civ., non è assimilabile all’esercizio dello ius postulandi, che presuppone il possesso del titolo di studio e l’abilitazione all’esercizio professionale, perché l’Amministrazione sta in giudizio personalmente ed il funzionario la rappresenta in ragione del rapporto organico con la stessa intercorrente;
3.2. con la richiamata pronuncia, condivisa dal Collegio ed alla quale va data continuità, è stato osservato anche che l’attività resa dal funzionario incaricato di rappresentare in giudizio l’amministrazione, esclusa l’assimilabilità al profilo professionale dell’avvocato, deve essere valutata tenendo conto del sistema di classificazione del personale delineato dalla contrattazione collettiva di comparto, alla quale rinvia, in tutte le versioni succedute nel tempo, l’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001;
3.3. è, infatti, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui «la classificazione dei dipendenti pubblici al fine di stabilire le mansioni, oltre a quelle di assunzione, cui essi, secondo l’art. 52, co. 1, d. lgs. 165/2001, possono essere adibiti, così come la definizione di quanto, ai sensi e per gli effetti dei commi 4 e 5 del d. lgs. 165/2001, costituisce esercizio di mansioni superiori è rimessa alla contrattazione collettiva e ciò sia nel regime previgente che in quello successivo alle modifiche apportate alla norma dall’art. 62 d. lgs. 150/2009» (Cass. n. 29624/2019);
4. nella fattispecie, pertanto, rileva la classificazione dettata dal CCNL 31.3.1999 per il personale del comparto degli enti locali, trasfuso nella contrattazione regionale siciliana, che nell’area D, di inquadramento del ricorrente, inserisce i lavoratori che svolgono attività caratterizzate da «elevate conoscenze plurispecialistiche … contenuto di tipo tecnico, gestionale o direttivo con responsabilità di risultati relativi ad importanti e diversi processi produttivi/amministrativi … elevata complessità dei problemi da affrontare basata su modelli teorici non immediatamente utilizzabili ed elevata ampiezza delle soluzioni possibili » e nella esemplificazione dei profili fa esplicito riferimento all’attività professionale dell’avvocato e dello specialista in conciliazione ed arbitrato nonché, più in generale, alla «attività di istruzione, predisposizione e redazione di atti e documenti riferiti all’attività amministrativa dell’ente, comportanti un significativo grado di complessità, nonché attività di analisi, studio e ricerca con riferimento al settore di competenza»;
4.1. la pretesa del ricorrente di vedersi riconoscere un diverso inquadramento e, comunque, le differenze retributive per l’asserito svolgimento di mansioni superiori è, quindi, manifestamente infondata per plurime ragioni concorrenti, posto che alla non assimilabilità dell’attività svolta a quella propria del profilo professionale di avvocato, si aggiunge l’argomento, assorbente, della riconducibilità di detto profilo alla medesima area di inquadramento del P., il che esclude alla radice che le mansioni svolte possano essere ritenute espressione di una diversa e maggiore professionalità;
4.2. nell’impiego pubblico contrattualizzato, infatti, in ragione della riserva alla contrattazione collettiva della disciplina degli inquadramenti (art. 40 del d.lgs. n. 165/2001 nelle diverse versioni succedutesi nel tempo), rileva solo l’equivalenza formale, con la conseguenza che sono esigibili dal datore di lavoro pubblico tutte le mansioni ritenute dalla contrattazione applicabile al comparto espressione della medesima professionalità;
4.3. al principio dell’equivalenza formale non fa eccezione il comparto degli enti locali per il quale l’art. 3 del CCNL 31.3.1999 ha previsto espressamente che «tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili. L’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro»;
4.4. non rileva, poi, nella fattispecie la questione, sviluppata nella memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ. mediante il richiamo agli orientamenti espressi dall’ARAN, inerente alla natura dell’inquadramento in D3, previsto dalla tabella di corrispondenza allegata al CCNL del 1999 per i profili professionali dell’ottava qualifica funzionale;
4.5. quella questione, infatti, potrebbe assumere rilievo solo qualora si ritenesse che la rappresentanza in giudizio dell’amministrazione da parte del funzionario equivale allo svolgimento della professione forense, equivalenza, questa, che va esclusa per le ragioni sopra esposte;
5. manifestamente infondata è la pretesa del ricorrente di vedersi riconoscere differenze retributive in ragione dell’asserito svolgimento di mansioni «dirigenziali»;
5.1. premesso che il ricorso sovrappone e confonde gli incarichi dirigenziali in senso proprio con gli incarichi finalizzati alla valorizzazione delle elevate professionalità, va detto che entrambi richiedono che l’amministrazione abbia istituito e qualificato tali le rispettive posizioni;
5.2. questa Corte da tempo ha affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che un ufficio può essere ritenuto di livello dirigenziale solo in presenza di un’espressa qualificazione in tal senso contenuta negli atti di macro organizzazione adottati dall’amministrazione pubblica, perché in tutte le versioni succedutesi nel tempo, il d.lgs. n. 29/1993, prima, e successivamente il d.lgs. n. 165/2001 hanno riservato alle amministrazioni il potere di definire le linee fondamentali degli uffici, di individuare quelli di maggiore rilevanza ed i modi di conferimento della titolarità degli stessi, di determinare la dotazione organica;
5.3. si è, quindi, ritenuto, sia con riferimento all’organizzazione statale che in relazione agli enti pubblici non economici, anche territoriali, che ove manchi l’istituzione dell’ufficio dirigenziale il giudice non può sostituirsi all’amministrazione e valutare la sostanza delle attribuzioni, per qualificare di natura dirigenziale l’attività svolta dal soggetto preposto alla direzione dell’ufficio che viene in rilievo (cfr. Cass. n. 33401/2019; Cass. 23874/2018; Cass. 350/2018; Cass. n. 10320/ 2017 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione);
5.4. analogo percorso argomentativo è stato seguito quanto all’istituzione delle posizioni organizzative, in relazione alle quali è consolidato l’orientamento (cfr. fra le tante Cass. nn. 15902/2018; 4890/2018; 28085/2017; 12724/2017; 12556/2017; 14591/2016; 2550/2015; 11198/2015) secondo cui il diritto del pubblico dipendente a percepire le indennità connesse alla posizione organizzativa sorge solo se la P.A. datrice di lavoro ha istituito la relativa posizione, perché l’istituzione rientra nell’attività organizzativa dell’Amministrazione, la quale deve tener conto delle proprie esigenze e soprattutto dei vincoli di bilancio, che, altrimenti, non risulterebbero rispettati laddove si dovesse pervenire all’affermazione di un obbligo indiscriminato;
5.5. è stato precisato che l’esclusiva rilevanza da attribuire all’atto costitutivo delle posizioni organizzative, adottato discrezionalmente, comporta che è da escludere che prima dell’adozione di tale atto sia configurabile un danno da perdita di chance per il dipendente che assuma l’elevata probabilità di essere destinatario dell’incarico e l’irrilevanza, ai suddetti fini, di eventuali atti preparatori endoprocedimentali nonché dell’espletamento di fatto di mansioni assimilabili a quelle della posizione non istituita;
5.6. i richiamati principi sono stati affermati da Cass. n. 11198/2015 e da Cass. n. 15902/2018 anche in relazione alla disciplina dettata dal CCNL 31.3.1999 di revisione del sistema di classificazione del personale per il comparto delle regioni e delle autonomie locali e si è evidenziato, in continuità con quanto già statuito da Cass. S.U. n. 16540/2008, che l’apparente diversità di formulazione delle disposizioni contrattuali rispetto a quelle relative ad altri comparti non legittima conclusioni diverse, in quanto le esigenze di servizio sono comunque valorizzate nell’art. 9, che subordina l’istituzione delle posizioni organizzate all’attuazione dei principi di razionalizzazione previsti dal d.lgs. n. 29/1993 (all’epoca vigente), alla ridefinizione delle strutture e delle dotazioni organiche dell’ente, all’istituzione e attivazione dei servizi di controllo interno o dei nuclei di valutazione;
5.7. detto orientamento è applicabile anche agli incarichi di alta responsabilità, disciplinati dall’art. 10 del CCNL 22 gennaio 2004, perché la disposizione contrattuale richiama espressamente la disciplina dettata dagli artt. 8 e seguenti del CCNL 31.3.1999, con la conseguenza che non è consentito al giudice la valutazione sull’attività in concreto espletata dal dipendente per affermarne la riconducibilità a quelle previste dal richiamato art. 10, ove difettino gli atti organizzativi richiamati dal comma 3 della clausola contrattuale;
5.8. il ricorrente, che insiste sulla complessità delle mansioni svolte (come già evidenziato affermandone infondatamente l’equiparazione a quelle proprie dell’avvocato), neppure allega che il Comune di Palermo di quelle attività avesse espressamente previsto la valorizzazione mediante l’attribuzione di un incarico di elevata professionalità, sicché il dispositivo della sentenza impugnata di rigetto della domanda, è conforme a diritto e va confermato, con integrazione della motivazione ex art. 384, comma 4, cod. proc. civ.;
6. il secondo motivo è poi inammissibile nella parte in cui insiste sulla spettanza dell’indennità prevista dall’art. 17 del CCNL 1.4.1999 perché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che ha rilevato la formazione del giudicato interno sul capo della pronuncia del Tribunale che aveva ritenuto l’indennità in parola abrogata con decorrenza dall’anno 2004;
6.1. nel giudizio di cassazione, a critica vincolata, i motivi devono avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 n.4 cod. proc. civ., e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (cfr. fra le tante Cass. n. 20910/2017, Cass. n. 17125/2007, Cass. S.U. n. 14385/2007);
6.2. per le medesime ragioni è inammissibile la censura inerente alla mancata ammissione dei mezzi istruttori ed in particolare della consulenza tecnica d’ufficio, atteso che la ritenuta infondatezza nell’an della pretesa non poteva che essere assorbente rispetto al quantum della stessa, con la conseguenza che nessuna omissione può essere addebitata alla Corte territoriale;
7. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
8. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 gennaio 2019, n. 426 - Il diritto del pubblico dipendente a percepire l'indennità di posizione sorge solo se la P.A. datrice di lavoro ha istituito la relativa posizione - La denuncia della violazione e falsa applicazione dei…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 giugno 2019, n. 16845 - Ove il dipendente venga chiamato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa, previamente istituita dall'ente, e ne assuma tutte le connesse responsabilità, la mancanza o…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 luglio 2019, n. 20722 - Ove il dipendente venga chiamato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa, previamente istituita dall'ente, e ne assuma tutte le connesse responsabilità - la mancanza o…
- INPS - Messaggio 08 maggio 2023, n. 1645 Telematizzazione del TFR per i dipendenti pubblici di cui al D.P.C.M. 20 dicembre 1999, e successive modificazioni Con la circolare n. 185 del 14 dicembre 2021 è stato comunicato l’avvio del nuovo processo di…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 23328 depositata il 26 luglio 2022 - In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la nozione di area edificabile di cui all'art. 2, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1992 non può essere esclusa dalla ricorrenza di…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 23420 depositata il 1° agosto 2023 - Nell’ambito del procedimento di contestazione disciplinare, regolamentato dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970, ove il lavoratore, pur dopo la scadenza del termine di cinque giorni dalla…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Unico 2023: compilazione del quadro RU per i credi
La compilazione del quadro RU della dichiarazione dei redditi 2023 per l’i…
- Si può richiedere il rimborso del credito d’
Il credito relativi a versamenti per imposta non dovuto se esposto in dichiarazi…
- L’avvocato deve risarcire il cliente per il
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26464 depositata il 13 settembre…
- In caso di fallimento della società cedente, il cu
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19806 depositata il 12 luglio 20…
- Per la cartella di pagamento notificata attraverso
Per la cartella di pagamento notificata attraverso la pec non è necessario appor…