CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2018, n. 18718
Tributi – Accertamento – Trasporto pubblico locale – Determinazione base imponibile – Contributi pubblici – Contributi alle imprese esercenti il trasporto pubblico locale al fine di ripianare i disavanzi di esercizio
Fatti di causa
1. TRA.IN Spa, con sede legale in Siena, propone ricorso, affidato a otto motivi, ciascuno dei quali corredato di un quesito di diritto, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana (hinc: CTR) in epigrafe, che – in controversia avente a oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso, per l’anno d’imposta 2004, che recuperava a tassazione, ai fini IRES e IRAP, i contributi erogati per la copertura di disavanzi nel settore del trasporto pubblico, che avrebbero dovuto concorrere alla formazione del reddito imponibile, secondo il principio di cassa – confermava la sentenza di primo grado, sfavorevole alla contribuente.
Il giudice d’appello disattendeva l’eccezione della contribuente di carenza di motivazione dell’avviso di accertamento e, quanto al merito dell’imposizione tributaria, non aderiva alla tesi subordinata della società circa l’esclusione dei contributi dalla tassazione ai fini dell’IRAP (trattandosi, ad avviso della contribuente, di somme volte a coprire spese “correlate”, per prestazioni di lavoro dipendente), sul presupposto – che, nella fattispecie, la CTR reputava insussistente – che una simile correlazione, tra contributi e costi indeducibili, dovesse essere espressamente prevista dalla legge istitutiva della misura di sovvenzione pubblica.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
3. La Procura Generale, con una memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., ha concluso per l’accoglimento del ricorso in relazione al quinto motivo e per il rigetto degli altri.
4. La ricorrente ha depositato una memoria ex art. 380-bis cod. proc.
Ragioni della decisione
1. Primo motivo del ricorso: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del D.L. n. 98/1995 (con. con la L. n. 204/1995), dell’art. 2 della L. n. 194/1998 e dell’art. 12 della Legge 472/1999 in relazione all’art. 12 disp. prel. cod. civ. (art. 62 del D.Lgs n. 546/92 e art. 360 n. 3 c.p.c.).”.
La ricorrente lamenta l’errore di diritto della sentenza impugnata che afferma che le imprese di trasporto sono beneficiarie delle agevolazioni in questione, trascurando che le leggi istitutive dei contributi, succedutesi nel tempo (art. 1 d.l. n. 98/1995; art. 2 L. n. 194/1998; art. 12 L. 472/1999) hanno previsto espressamente che essi siano attribuiti alle Regioni o agli Enti locali, quali soci-proprietari delle aziende di trasporto pubblico locale, e non li hanno direttamente assegnati a queste ultime.
Evidenzia, al riguardo, l’errore della CTR che ha privilegiato l’interpretazione teleologica del dato normativo, superando illegittimamente il primario canone dell’interpretazione letterale, sancito dall’art. 12 disp. prel. cod. civ.
1.1. Il motivo è infondato.
Il thema decidendum si riferisce al sistema unitario di sovvenzionamento delle imprese di trasporto pubblico (che, in ragione dei riflessi sociali dell’attività svolta, sono vincolate a determinate tariffe, talvolta non pienamente remunerative), mediante contributi, prima statali (tramite il fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi d’esercizio) e, poi, direttamente, regionali (tramite un apposito fondo destinato ai trasposti), esentati da imposizione diretta, in quanto non considerati, ex lege, componenti positivi di reddito.
La pronuncia della CTR, sotto questo profilo, non incorre nella prospettata violazione di legge perché si colloca all’interno del binario tracciato dal costante e condivisibile orientamento della Corte (cfr. Cass. 4838/2007, sez. un. 21749/2009, 14415/2010, 13160/2010, 29590/2011, 3133/2014), secondo cui i soggetti destinatari dei contributi (prima statali e poi regionali) diretti a ripianare i disavanzi di esercizio, sono le aziende esercenti il trasporto pubblico locale.
Essa, inoltre, ha fatto corretta applicazione dei canoni ermeneutici sanciti dall’art. 12 cit. che, contrariamente a quanto affermato dalla contribuente, pongono l’interpretazione teleologica (il senso della legge “fatto palese dalla intenzione del legislatore”) sullo stesso piano – e non su un piano subordinato – della c.d. interpretazione letterale.
2. Secondo motivo: “Omesso esame di circostanze di fatto decisive ai fini dell’individuazione del soggetto destinatario dei contributi (art. 62 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 360 n. 5 c.p.c.).”.
La ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia omesso di esaminare la copiosa documentazione depositata dalla società nel giudizio di merito, da cui era evincibile che gli enti proprietari di TRA.IN Spa avevano effettuato una serie di versamenti a copertura dei disavanzi di gestione (relativi al decennio 1987/1997) già a partire dal 1993, prima ancora che il legislatore emanasse il d.l. n. 98/1995, ossia il primo provvedimento normativo volto a ripianare i disavanzi maturati dalle aziende di trasporto pubblico locale a partire dal 1987.
2.1. Il motivo è infondato.
Costituisce ius receptum che il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., vigente ratione temporis, di: “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione” attiene necessariamente a un: “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ossia a un fatto storico-naturalistico, principale o secondario, risultante dalla sentenza o dagli atti processuali, dedotto con un’esposizione chiara e sintetica, in relazione al quale si assume un vuoto argomentativo (omessa motivazione), oppure la carenza della trama argomentativa che la renda inidonea a dare conto delle ragioni della decisione (insufficiente motivazione) o, infine, un percorso argomentativo incomprensibile per l’insuperabile contrasto tra asserzioni inconciliabili (motivazione contraddittoria) (ex multis: Cass. 13/12/2017, n. 29883; Cass. 29/07/2011, n. 16655).
Nella specie, osserva la Corte che oggetto di contestazione non è l’omessa motivazione circa uno o più fatti controversi e decisivi per il giudizio, bensì la (mera) carenza di analisi di alcune questioni di diritto, già prospettate come violazione di legge (cfr. § 1).
3. Terzo motivo: “Nullità della sentenza per error in procedendo. Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Omessa pronuncia sul terzo motivo di appello, concernente la natura (patrimoniale o reddituale) dei contributi ex Leggi n. 205/1995, n. 194/1998 e 472/1999 (art. 62 del D.Lgs n. 546/92 e art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c.).”.
Si denuncia che la sentenza impugnata abbia omesso di esaminare il terzo motivo d’appello, relativo alla natura patrimoniale o, alternativamente, reddituale dei contributi.
4. Quarto motivo: “Nullità della sentenza per error in procedendo. Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Omessa pronuncia sul quarto motivo di appello, concernente la qualificazione dei contributi ex Leggi n. 205/1995, n. 194/1998 e 472/1999 (art. 62 del D.Lgs n. 546/92 e art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c.).”.
Si fa valere l’errore di diritto della sentenza impugnata che non avrebbe valutato il quarto motivo d’appello in base al quale, anche a volere ritenere (erroneamente) che le somme in esame fossero attribuite direttamente all’azienda di trasporto, anziché agli enti proprietari (soluzione, questa, che l’Ufficio ritiene corretta), in ogni caso, esse avrebbero dovuto essere qualificate quali “contributi in conto esercizio”, volti a coprire i costi non remunerati attraverso i ricavi ordinari di gestione e non quali “contributi in conto capitale”, come preteso dall’Amministrazione finanziaria.
4.1. I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.
Le censure di omessa pronuncia e di omesso esame di alcune questioni rilevanti per l’esatta definizione della controversia, non sono ravvisabili in virtù dell’univoco indirizzo della Corte, al quale il Collegio ritiene di aderire, secondo cui: “Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.” (Cass. 13/10/2017, n. 24155).
Giova rilevare che, nella specie, la decisione della CTR esiste e si sostanzia dell’affermazione secondo cui i contributi pubblici diretti a coprire le perdite d’esercizio delle imprese di trasporto pubblico locale sono assoggettabili all’IRAP.
5. Quinto motivo: “Nullità della sentenza per error in procedendo. Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Omessa pronuncia sul quinto motivo di appello, concernente l’esclusione dei contributi in parola dalla base imponibile IRES per effetto dell’art. 3 del D.L. n. 833/1986, conv. nella L. n. 18/1987 (art. 62 del D.Lgs n. 546/92 e art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c.).”.
La censura riguarda l’omesso esame, da parte della CTR, nel quinto motivo d’appello di TRAIN che aveva sostenuto che, in forza dell’art. 3, del d. l. n. 833/1986, i contributi non concorrono a formare la base imponibile dell’IRES perché non vanno qualificati quali “componenti positive” del reddito e, quindi, non sono compresi tra i ricavi previsti dall’art. 53 (attuale art. 85) del d.P.R. n. 597/1973.
5.1. Il motivo è fondato.
La sentenza, da un lato, riconosce correttamente l’assoggettabilità all’IRAP dei contributi in questione; dall’altro, però, si appalesa viziata laddove omette di statuire sulla loro assoggettabilità all’IRES, negata da TRAIN nell’atto di gravame.
6. Sesto motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 11, co. 3, del D.Lgs. n. [446/97] ai fini della parziale esclusione dei contributi dalla base imponibile IRAP (art. 62 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 360 n. 3 c.p.c.).”.
Si deduce che la sentenza impugnata, nell’assoggettare a IRAP i contributi, abbia disatteso l’art. 11, terzo comma, d.lgs. n. 446/1997, che va interpretata nel senso che sono esclusi dalla base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive i contributi concessi alle imprese, per la parte di essi per cui sia dimostrabile, sotto un profilo sostanziale, la correlazione a componenti negativi di reddito non ammessi in deduzione, indipendentemente dalla presenza, nella legge istitutiva o di riferimento, di espresse indicazioni in merito alla qualificazione o alla destinazione della speciale sovvenzione.
6.1. Il motivo è infondato.
La ragione di critica in esso enunciata è distonica rispetto al quadro dei contributi pubblici alle imprese di trasporto – che, come suaccennato (cfr. § 1.1. ), integra un sistema normativo coerente e unitario – che questa Corte, in passato, ha avuto modo di comporre nei seguenti termini: “[…] i contributi erogati, dapprima dallo Stato, poi dalle Regioni (queste ultime mediante un apposito Fondo destinato ai trasporti, costituito con il D.Lgs. n. 422 del 1997), a ripiano dei disavanzi di esercizio degli enti e delle aziende di trasporto pubblico locale, non costituiscono, ai fini IRPEG, componenti positivi del reddito e quindi sono sottratti ad imposizione diretta, ai sensi del D.L. n. 833 del 1986, art. 3, comma 1, n. 3), convertito in L. n. 18 del 1987, (Cass. 26264/10). Tuttavia, va rilevato che a diversa conclusione deve pervenirsi per quanto concerne la computabilità di tali contributi nella determinazione della base imponibile ai fini dell’IRAP. Per quanto concerne tale ultima imposta, infatti, detti contributi – in forza del disposto del D.L. n. 209 del 2002, art. 3, comma 2 quinquies, introdotto dalla legge di conversione n. 265/02 – a decorrere dal 1°.01.03, sono inclusi nella base imponibile a fini dell’ IRAP, sebbene non assoggettati alle imposte sui redditi. Anche per quanto concerne gli anni precedenti il 2003, la L. n. 289 del 2002, art. 5, comma 3, ha fornito un’interpretazione autentica del disposto della L. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 506 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b), nel senso che sono soggetti ad IRAP pure i contributi esclusi dalla base imponibile delle imposte sui redditi, fatte salve diverse disposizioni delle leggi istitutive dei singoli contributi o altre disposizioni speciali in materia. Se ne deve dedurre che il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, nel prevedere che i contributi erogati a norma di legge – pur se corrisposti in epoca anteriore al 31.12.02 – non concorrano alla base imponibile ai fini IRAP, esclusivamente nel caso in cui essi siano correlati a componenti negativi non ammessi a deduzione, viene ad escludere l’imponibilità di tali voci attive, nella sola ipotesi in cui vi sia una specifica previsione, nella legge istitutiva, della correlazione tra il contributo ed un componente negativo indeducibile. E tale specifica indicazione normativa non può essere neppure surrogata dalla mera affermazione dell’imprenditore di avere utilizzato il contributo per coprire spese non deducibili (cfr. Cass. S.U. 21749/09). Resta ferma, peraltro, l’esclusione dalla base imponibile IRAP di quei contributi erogati a norma di legge che siano “correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione”. Si è più volte affermato che non possa darsi rilevanza ad una correlazione che non sia specificamente e immediatamente rilevabile e sia ricavata indirettamente mediante operazioni di proporzionalità tra contributi percepiti e costi (Cass. n. 4838 del 2007, cit.). Occorre, si è ulteriormente precisato, con orientamento dal quale il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi – che la legge regionale prescriva una specifica destinazione dei contributi alla copertura di componenti negativi non deducibili (quali le spese per il personale), che preveda, cioè, che il contributo sia, anche solo in parte, precisamente vincolato a tale funzione (cfr. Cass. n. 13155 del 2010 […]), senza che possa valere una semplice dichiarazione circa l’utilizzo dei contributi da parte delle imprese di trasporto, proveniente dall’Amministrazione erogatrice, che non trovi riscontro in una previsione di fonte legislativa (Cass. n. 13160 del 2010, cit.). Da quanto suesposto discende, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 4838/07, Cass. S.U. 21749/09, 14415/10, 13160/10, 29590/11), che anche i contributi versati, prima dal Fondo nazionale dei trasporti (soppresso ad opera della L. n. 549 del 1995), poi dalle Regioni (tramite l’apposito Fondo costituito con il D.Lgs. n. 422 del 1997), alle imprese esercenti […] il trasporto pubblico locale, al fine di ripianare i disavanzi di esercizio, debbono essere inclusi nel calcolo per la determinazione della base imponibile dell’ IRAP, anche se erogati in epoca anteriore al 31.12.2002.” (Cass. 27/02/2015, n. 4057).
7. Settimo motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del DPR n. 600/73 (art. 62 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 360 n. 3 c.p.c.).”.
Un ulteriore vizio della sentenza impugnata consisterebbe nel rigetto dell’eccezione della ricorrente d’illegittimità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione, poiché l’Amministrazione finanziaria si era limitata a recepire, acriticamente, i rilievi mossi dalla Guardia di Finanza alla società verificata.
7.1. Il motivo è inammissibile e infondato.
Dal primo punto di vista (inammissibilità del motivo), è dato rilevare che la doglianza non soddisfa il principio d’autosufficienza sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., in forza del quale, come più volte affermato dalla Corte: “[…] nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale per aver ritenuto la congruità della motivazione dell’avviso di accertamento […] è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. 2017/16147; conformi: n. 9536 del 2013; n. 2928 del 2015).” (Cass. 11/05/2018, n. 11460).
Nella specie, l’omessa trascrizione, in seno al ricorso per cassazione, dei passi dell’atto impositivo, la cui motivazione si assume carente, non consente alla Corte di effettuare la verifica richiesta.
In secondo luogo (infondatezza del motivo), è il caso di ricordare che la CTR, nel riconoscere (sia pure implicitamente) la legittimità dell’atto impositivo motivato per relationem tramite il richiamo del contenuto del PVC redatto dalla Guardia di Finanza, si è uniformata al pacifico indirizzo della Corte che, in più occasioni, ha risolto, in modo condivisibile, la questione affermando che: “In tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, nella specie avviso di rettifica di modello unico, la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare un’economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio.” (Cass. 20/12/2017, n. 30560).
8. Ottavo motivo: “Nullità della sentenza per error in procedendo – Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Omessa pronuncia sul settimo motivo di appello, concernente l’illegittimità/disapplicazione delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza (art. 62 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c.).”.
Si addebita alla sentenza impugnata di non avere esaminato il settimo motivo d’appello della contribuente, diretto ad ottenere la disapplicazione delle sanzioni amministrative per obiettive condizioni d’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce la violazione della norma tributaria.
8.1. Il motivo è in parte assorbito e in parte infondato.
8.1.1. La censura è assorbita dall’accoglimento del quinto motivo in relazione all’omessa pronuncia della CTR sulla dedotta esclusione dei contributi dalla base imponibile dell’IRES.
8.1.2. Per il resto il motivo è infondato.
Occorre richiamare l’insegnamento delle Sezioni unite (Cass. sez. un. 2/02/2017, n. 2731), secondo cui: “La mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, comma 2, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto.”.
Fatta questa doverosa premessa, osserva la Corte che, nella specie, la CTR è comunque pervenuta, sia pure implicitamente, all’esatta soluzione della questione di diritto.
Difatti, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto in virtù del quale: “l’incertezza normativa oggettiva che — ai sensi degli artt. 8 d.lgs. n. 546 del 1992; 6, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n, 472; 10, comma 3, legge 2 luglio 2000, n. 212 — costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. 28/11/2007, n. 24670; 16/02/2012, n. 2192; 26/10/2012, n. 18434; 11/02/2013, n. 3245; 22/02/2013, n. 4522). In altre parole, come è stato detto, “l’incertezza normativa oggettiva tributaria”, che consente di non applicare le sanzioni, “è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertala dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito”, quindi in “senso oggettivo” (con conseguente esclusione di “qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali” atteso che “l’incertezza normativa, in quanto esiste in sé, opera nei confronti di tutti”): “l’incertezza normativa oggettiva”, pertanto, “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria” (Cass. 11/09/2009, n. 19638). Inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697cod. civ.).” (Cass. 7/12/2017, n. 29368).
Nella fattispecie non è ravvisabile una simile incertezza normativa oggettiva e, inoltre, la ricorrente nemmeno menziona specifici e rilevanti contrasti giurisprudenziali su questo specifico aspetto del thema decidendum.
9. Nella memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., la società, in via del tutto subordinata, ha chiesto l’applicazione dello ius superveniens costituito dall’art. 15, comma 1, lett. a), d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 che ha ridotto la sanzione per infedele dichiarazione di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 dal 100% al 90% della maggiore imposta accertata.
9.1. Tale richiesta è inammissibile.
La Corte ha più volte chiarito che le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158/2015 non rendono automaticamente contra legem la sanzione irrogata, perché non operano in maniera generalizzata, quale favor rei, escludendosi, pertanto, la necessità della cassazione con rinvio della sentenza impugnata, per effetto della mera allegazione, nel giudizio di legittimità, di ius superveniens, in assenza di specifiche allegazioni degli elementi, del caso concreto, che hanno influito sui parametri, oggettivi e soggettivi, di commisurazione della sanzione (ex multis: Cass.24/11/2017, n. 28061).
Muovendo dalla premessa d’ordine giuridico che, nella specie, l’Amministrazione finanziaria ha irrogato una sanzione che si colloca all’interno della cornice edittale, è dato rilevare che la ricorrente non deduce e, a maggiora ragione, nemmeno dimostra che l’Ufficio impositore abbia applicato la sanzione nel minimo edittale.
Ove anche si ipotizzi che ciò sia avvenuto, in ogni caso, in assenza della necessaria indicazione, da parte della contribuente, degli elementi di fatto sopra indicati, la Corte non è posta nella condizione di verificare, in concreto, se la sanzione pecuniaria (che, in via di ipotesi, si assume essere pari al minimo di legge) sia stata irrogata proprio quale pena più bassa della scala edittale all’epoca prevista o se, invece, l’Amministrazione finanziaria l’abbia applicata ponderandone, specificamente, il quantum e considerandolo congruo in sé, alla stregua dei criteri (oggettivi e soggettivi) di determinazione della misura sanzionatoria (gravità della violazione, personalità e condizioni economiche e sociali dell’agente).
10. In definitiva, accolto il quinto motivo, ad esso assorbita una parte dell’ottavo motivo, infondati il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il sesto, il settimo e una parte dell’ottavo motivo, la sentenza è cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.civ., coll’annullamento dell’avviso di accertamento limitatamente all’IRES.
11. Vista la soccombenza reciproca è congruo compensare, tra le parti, le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo;
dichiara assorbita una parte dell’ottavo motivo;
dichiara infondati il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il sesto, il settimo e una parte dell’ottavo motivo;
cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto; decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente limitatamente alla non assoggettabilità dei contributi all’IRES; compensa, tra le parti, le spese dell’intero giudizio.
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