CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2021, n. 19894
Tributi – Accertamento – Fatture per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti – Operazioni sovrafatturate – Cd. “doppia presunzione” – Esclusione
Rilevato che
– con sentenza n. 2211/03/14, depositata in data 28 novembre 2014, la Commissione tributaria regionale della Calabria, previa riunione, rigettava gli appelli proposti da E. T. s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, A, T., D. T., quali soci, nonché, con distinto atto, dall’altro socio G. T., nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 505/03/11 della Commissione tributaria provinciale di Catanzaro che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi proposti dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. TDY02T700114/2010 nonché dai soci avverso gli avvisi di accertamento con í quali l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.F. di Catanzaro, aveva contestato rispettivamente: 1) nei confronti della società, esercente “attività di fabbricazione di strutture e parti assemblate” l’indebita deduzione di costi, ai fini Ires e Irap, e detrazione, ai fini Iva oltre interessi e sanzioni – per il 2006, in relazione a fatture emesse dalla ditta individuale F. T. e da T. s.r.l. afferenti ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti in ragione di euro 524.668,80; 2) nei confronti dei soci, maggiori redditi di partecipazione, ai sensi dell’art. 5 del TUIR;
– in punto di fatto dalla sentenza impugnata si evince che: 1) previo p.v.c. della G.d.F. di Catanzaro, con gli avvisi di accertamento in questione, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato rispettivamente: a) nei confronti di T. s.r.l. (trasformatasi nel 2009 da s.a.s. in s.r.I.) esercente “attività di fabbricazione di strutture e parti assemblate” l’indebita deduzione di costi, ai fini delle imposte dirette, e detrazione ai fini Iva, per il 2006, in relazione a fatture emesse dalla ditta individuale F. T. e da T. s.r.l. (gestita pur sempre da F. T.) – aventi ad oggetto presunti lavori eseguiti nei cantieri di G. s.r.l. e C. Scarl – ritenute sovraffatturate per la somma di euro 524.668,80, avendo le stesse ditte fatturanti contabilizzato la stessa somma tra i costi di esercizio, quali destinatarie, a loro volta, per tale importo, di fatture fittizie emesse dalla ditta individuale risultata “cartiera” di F. A. (i cui rapporti con il T. erano stati di fatto gestiti dalla stessa contribuente, in quanto A. e T. non si conoscevano); b) nei confronti dei soci, il conseguente maggiore reddito di partecipazione; 2) avverso tali avvisi avevano proposto separati ricorsi la società e i soci, deducendo l’indeterminatezza dell’accertamento, la violazione del divieto di c.d. doppia presunzione, degli artt. 42 del d.P.R. n. 600/73 e 7 della legge n. 212/00, non essendo stati allegati agli atti impositivi gli avvisi emessi nei confronti della ditta individuale F. A., nonché l’effettiva esecuzione dei lavori nella quantità e qualità risultanti dalle fatture; 3) aveva controdedotto l’Agenzia chiedendo il rigetto dei ricorsi; 4) la CTP di Catanzaro, con sentenza n. 505/3/2011, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi; 5) avverso tale sentenza di primo grado, avevano proposto appello la società e i soci A, e D. T., e, con separato atto, l’altro socio G. T. chiedendo – previa sospensiva delle emesse conseguenti cartelle di pagamento – la riforma della pronuncia e in particolare, deducendo, l’omessa pronuncia della CTP sulla censura concernente l’assunta indeterminatezza della pretesa tributaria, la violazione del divieto di doppia presunzione, l’omessa pronuncia anche in ordine all’eccezione di nullità degli avvisi per mancata allegazione degli atti in essi richiamati emessi nei confronti della ditta di F. A., l’erroneità della pretesa tributaria; 6) aveva controdedotto l’Agenzia chiedendo la conferma della sentenza impugnata;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che:
1) la CTP aveva implicitamente disatteso l’eccezione di indeterminatezza della pretesa tributaria, avendo sostanzialmente osservato come l’Ufficio, avuto riguardo alle risultanze del p.v.c. della G.d.F., avesse tratto dal fatto noto della emissione di fatture fittizie, per l’importo complessivo di euro 524.668,80, da parte della ditta individuale c.d. cartiera di F. A. nei confronti di F. T. e di T. s.r.l. – con contabilizzazione da parte di questi ultimi della relativa somma tra i costi di esercizio – la conseguenza della falsità, per il medesimo importo ritenuto “gonfiato”, delle fatture emesse da F. T. e da T. s.r.l. nei confronti della società contribuente aventi ad oggetto lavori eseguiti, per conto di quest’ultima, nei cantieri della G. s.r.l. e della C. scarl;
2) non era ravvisabile la violazione del divieto di doppia presunzione, essendo stata tratta da un fatto noto – qual era la fittizietà delle fatture emesse dalla ditta cartiera di F. A. nei confronti della ditta di T. F. e di T. s.r.I.- la conseguenza, come presunzione semplice di primo grado, della emissione delle fatture del medesimo importo “gonfiato” dalla ditta di T. F. e da T. s.r.l. nei confronti della contribuente; 3) la società contribuente non aveva assolto l’onere della prova contraria circa l’effettivo valore dei lavori realizzati dalla ditta di T. F. e da T. s.r.l. non potendo valere a tal fine la perizia di parte in quanto dalla stessa si ricavava soltanto l’effettiva realizzazione dei lavori ma non già i tipi, le quantità e i costi degli stessi per consentire là verifica della concreta rispondenza tra i costi delle lavorazioni effettuate e quelli fatturati; 4) non sussisteva la violazione degli artt. 7 dello Statuto e 42 del d.P.R. n. 600/73, in quanto dalla motivazione degli avvisi di accertamento in questione si evinceva chiaramente che gli otto atti impositivi emessi nei confronti della ditta di F. A. riguardavano rapporti intrattenuti dallo stesso con altri operatori economici diversi dalla ditta di T. F. e T. s.r.I., per cui non avevano alcuna diretta rilevanza nei fatti di causa;
– avverso la sentenza della CTR, la società in liquidazione e i soci, propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste, con controricorso, l’Agenzia;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600/73 , 7 della legge n. 212/00, 54 del d.P.R. n. 633/72, per avere la CTR ritenuto erroneamente legittimi gli avvisi in questione, ancorchè l’accertamento fosse viziato da indeterminatezza, non essendo state indicate quali fatture utilizzate dalla società contribuente, tra quelle emesse dalla ditta di F. T. e da T. s.r.l. per un importo totale di euro 819.950,06, sarebbero state false, in quanto relative ad operazioni (parzialmente) inesistenti, essendo stato disconosciuto l’ammontare di euro 524.668,00, e quali delle operazioni, tra quelle poste in essere dalla ditta di F. T. e da T. s.r.I., che erano rimaste sconosciute nella qualità, quantità e valore, sarebbero state inesistenti;
– con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e segg. c.c. per avere la CTR ritenuto erroneamente legittimi gli avvisi di accertamento, ancorché fosse stato violato il divieto della c.d. doppia presunzione, essendo mancato, nel caso della presunzione utilizzata nei confronti della società contribuente, il fatto noto, per essere tale presunzione (della emissione di fatture “gonfiate” da parte della ditta di T. F. e T. s.r.l. nei confronti della contribuente) basata su altra presunzione (quella della falsità delle fatture emesse dalla ditta A.);
– i motivi primo e secondo- da trattare congiuntamente per connessione- si profilano inammissibile il primo, infondato il secondo;
– va premesso che, in materia, questa Corte ha affermato che: 1) a fronte della non contestata regolarità formale delle fatture e delle scritture contabili della contribuente, incombe sull’Amministrazione, che ne contesti (ai fini del recupero dell’I.V.A. indebitamente detratta) l’inesistenza oggettiva totale o – come nella specie – parziale, l’onere di provare il carattere fittizio delle operazioni ovvero l’eccessività dei costi sostenuti (arg. da Cass., sez. 5, 6.3.2015, n. 4570); 2) ciò può avvenire anche in forma indiziaria o presuntiva (arg. da Cass., Sez. 6- 5, 14.9.2016, n. 18118, Rv. 641109-01); 3) spetta sempre al giudice di merito, tuttavia, di valutare l’opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass., Sez. 6-5, 8.1.2015, n. 101, Rv, 634118- 01; Cass. sez. 5, 26 settembre 2018, n. 22953); 4) a fronte della prova anche in forma indiziaria o presuntiva offerta dall’Amministrazione finanziaria del carattere (anche parzialmente) fittizio delle operazioni fatturate, “è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Cass., sent. 19.352 del 2018; n. 29002 del 2017; n. 428 del 2015; n. 17977 del 2013); in particolare, questa Corte ha chiaramente precisato che «In tema d’IVA. in attuazione del principio di cartolarità posto a base del sistema impositivo va escluso il diritto alla detrazione, ai sensi dell’art. 19, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti non assumendo rilievo che il cessionario abbia versato al cedente l’ammontare del tributo sulla base della regolarità formale dell’operazione dal punto di vista contabile e fiscale, atteso che l’imposta è dovuta ogniqualvolta la fattura sia emessa, seppure per un’operazione non avvenuta o non avvenuta nei termini in essa descritti» (Cass., Sez. 6 – 5, ord. n. 12111 del 10/06/2015; in termini, Cass., Sez. 5, sent. n. 1565 del 27/01/2014; Sez. 5, sent. n. 10939 del 27/05/2015, Rv. 635942; n. 20060 del 07/10/2015, Rv. 636663; ord. n. 11873 del 2018; ord. n. 9721 del 19/04/2018, Rv. 647833, § 7.1 e segg.; ord. n. 4344 del 14/2/2019); come affermato, infatti, dalla Corte di giustizia il diritto alla detrazione implica indefettibilmente la effettiva debenza della imposta indicata in fattura, non essendo pertanto sufficiente a consentire l’esercizio del diritto alla detrazione la mera indicazione in fattura della imposta, qualora questa “non corrisponda ad un’operazione determinata, perché è più elevata di quella dovuta per legge o perché l’operazione di cui trattasi non è soggetta all’IVA” (la decisione capostipite è la sentenza della Corte di giustizia CE, in data 13.12.1989, in causa C- 342/87, Genius Holding BV; da ultimo, sentenza 27 giugno 2018, nelle cause riunite C-459/17 e C-460/17, SGI, Valériane SNC contro Ministre de l’Action et des Comptes publics, secondo cui “l’articolo 17 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 91/680/CEE dei Consiglio, del 16 dicembre 1991, dev’essere interpretato nel senso che, “per negare al soggetto passivo destinatario di una fattura il diritto di detrarre l’IVA menzionata su tale fattura, è sufficiente che l’amministrazione stabilisca che le operazioni alle quali tale fattura corrisponde non sono state effettivamente realizzate“);
nella specie, il primo motivo, pur prospettando una violazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600/73 , 7 della legge n. 212/00, 54 del d.P.R. n. 633/72, in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR disatteso l’eccezione di indeterminatezza dell’accertamento, ravvisando – con una valutazione in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimitàindice presuntivo, grave, preciso e concordante della contestata sovrafatturazione, la corrispondenza dell’importo di euro 524.668,00 asseritamente “gonfiato” sulle fatture emesse dalla ditta di F. T. e da T. s.r.l. (gestita pur sempre da F. T.) nei confronti della contribuente per lavori svolti, nel 2006, presso i cantieri di G. s.r.l. C. Scarl, con quello complessivo delle sei fatture emesse (per presunte prestazioni eseguite presso i medesimi cantieri di G. s.r.l. e C. Scarl) dalla ditta “cartiera” di F. A. nei confronti della ditta di F. T. e di quella emessa nei confronti di T. s.r.l. e contabilizzato dalla ditta T. e da T. s.r.l. come costi per “giustificare” i compensi “gonfiati” fatturati nei confronti della contribuente; in particolare, la ricostruzione dell’ufficio, fatta propria dal giudice di appello, risultava fondata sulle risultanze del p.v.c. della G.d.F., nel quale dal fatto noto- benchè accertato in base a presunzioni semplici- qual era la fittizietà delle sei fatture emesse dalla ditta risultata “cartiera” di F. A. nei confronti della ditta di F. T. e di quella emessa dalla stessa ditta A. nei confronti di T. s.r.l. per l’importo complessivo di euro 5.24.668,00, detratto come costo da questi ultimi, si era tratto, quale conseguenza, l’accertamento del fatto ignoto quale era la falsità – nella misura dello stesso importo ritenuto “gonfiato” – delle fatture emesse nei confronti della contribuente da parte della ditta di F. T. e di T. s.r.l. per lavori eseguiti presso i cantieri di G. s.r.l. e C. Scarl; risulta, pertanto, correttamente disattesa dal giudice di appello l’eccezione di indeterminatezza dell’accertamento sollevata dalla contribuente, per essere stata dall’Ufficio contestata con riguardo alle fatture emesse, per l’anno 2006, dalla ditta di T. F. e T. s.r.I., nei confronti della contribuente per lavori eseguiti presso i cantieri G. s.r.l. e C. Scarl, la sovraffatturazione in ragione dell’importo di euro 524.668,00, quale valore perfettamente corrispondente a quello di cui alle fatture fittizie emesse dalla ditta cartiera di F. A. (per presunte prestazioni presso gli stessi cantieri) nei confronti della ditta di T. F. e di T. s.r.l. e detratto come costo da questi ultimi; a fronte della prova presuntiva offerta dall’Amministrazione finanziaria del carattere (parzialmente) fittizio delle operazioni fatturate dalla ditta T. e da T. s.r.I., nei confronti della contribuente, il giudice di appello ha ritenuto- con un accertamento in fatto non sindacabile dinanzi a questa Corte- non assolto l’onere probatorio a contrario a carico di quest’ultima, facendo la prodotta perizia di parte riferimento alla realizzazione dei lavori fatturati senza analizzare i tipi, quantità e costi degli stessi al fine di permettere la concreta verifica della corrispondenza tra i costi delle lavorazioni effettuate e quelli fatturati; va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui “È inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018; Cass., sez. 5, 26 novembre 2020, n. 26961);
– infondato è il secondo motivo, concernente la assunta violazione del divieto di “doppia presunzione” o di “presunzione a catena”; al riguardo, come precisato da questa Corte il «divieto di doppie presunzioni» o «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena» non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 cod. civ. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento ben potendo il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea — in quanto, a sua volta adeguata — a fondare l’accertamento del fatto ignoto (ex multis, Cass. sez. 5, n. 20748 del 2019; n. 15003 del 2017; Cass. n. 1289 e n. 9348 del 2015); nella specie, la CTR ha correttamente ritenuto fondato sul fatto noto – qual era la falsità delle fatture emesse, per l’importo complessivo di euro 524.668,80, dalla ditta cartiera di F. A. nei confronti della ditta di F. T. e di T. s.r.l. – benché accertato sulla base di elementi presuntivi ritenuti gravi, precisi e concordanti quali la emersa mancanza da parte della ditta fatturante di una “vera e propria organizzazione aziendale, e di propri dipendenti” – l’accertamento del fatto ignoto, quale era la contestata sovrafattu razione, per il medesimo importo, con riguardo alle fatture emesse, nel 2006, dalla ditta di T. F. e T. s.r.I., nei confronti della contribuente per lavori eseguiti presso i cantieri G. s.r.l. e C. scarl;
– con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600/73 e 7 della legge n. 212/00, per avere la CTR ritenuto erroneamente legittimi gli avvisi di accertamento in questione, ancorché in essi fossero richiamati otto avvisi emessi nei confronti di F. A. senza l’allegazione di alcuno di essi, pur avendo fatto discendere la contestazione nei confronti della contribuente da fatti risalenti alla ditta di F. A., indicata nell’accertamento come “cartiera”;
il motivo è inammissibile;
– premesso che in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, della L. n. 212 del 2000, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione.
Parimenti l’art. 42, secondo comma, ultima parte, del d.P.R. n. 600 del 1973, stabilisce che solo se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (Cass. n. 28713 del 2017; n. 407 del 2015; n. 18073 del 2008; v. da ultimo, Cass. n. 14995 del 2020), nella specie, la CTR – con un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità- ha ritenuto che gli otto avvisi notificati a F. A. non dovessero essere allegati agli atti impositivi in questione in quanto non avevano diretta rilevanza con i fatti di causa, riguardando rapporti intrattenuti con altri operatori economici; ciò avuto riguardo alle stesse motivazioni degli avvisi di accertamento in oggetto, dalle quali si evinceva il riferimento alla emissione da parte della ditta individuale di F. A. di fatture afferenti a operazioni inesistenti nei confronti di ulteriori operatori, quale elemento rafforzativo dell’accertato carattere di “cartiera” di quest’ultima; peraltro, l’accertamento che la ditta di F. A. fosse una “cartiera” derivava, come illustrato dalla CTR, da altre circostanze specificamente indicate (emissione di fatture false) per cui il richiamo negli atti impositivi in questione agli ulteriori avvisi emessi nei confronti di F. A. assumeva un carattere meramente rafforzativo, non incidente, come accertato dal giudice di appello, sulla esaustività della ripresa effettuata nei confronti della società contribuente;
– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;
– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 10.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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