CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2021, n. 19902
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico – Redditometro – Elementi indice di capacità contributiva – Onere di contraddittorio endoprocedimentale – Applicabilità a periodi d’imposta dal 2009 in poi
Rilevato che
1. Con due distinti avvisi di accertamento, l’Agenzia delle Entrate di Benevento, previa acquisizione di documentazione prodotta dal contribuente in seguito alla notifica di questionario in data 13/7/2011, rideterminò con metodo sintetico ai sensi dell’art. 38, quarto comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dei d.m. 10/9/1992 e 29/4/1999 (c.d. redditometro), i redditi dichiarati da F.D., con riguardo agli anni di imposta 2007 e 2008, contestando maggiori Irpef e Addizionali regionali e comunali accertati sulla base del possesso di un immobile adibito a residenza principale e di un autoveicolo, oltreché delle spese di finanziamento.
Impugnati con distinti ricorsi i predetti atti, la C.T.P. di Benevento, previa loro riunione, rigettò la domanda con sentenza n. 215/07/13 depositata il 17/7/2013, che fu confermata dalla C.T.R. per la Campania, adita dal medesimo contribuente, con la sentenza n. 6106/46/14 pronunciata il 3/6/2014.
2. Contro la predetta sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso, il contribuente lamenta la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione di legge, e dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sostenendo che il redditometro abbia natura di presunzione semplice e debba perciò essere corroborato da ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti da acquisire attraverso il contraddittorio e gli accertamenti bancari, che il contraddittorio nella procedura di accertamento standardizzato sia obbligatorio a pena di nullità, come confermato dalle norme introdotte con il d.l. 31 maggio 2010, n. 78, obblighi questi non rispettati nel caso di specie, che l’accertamento in esame imponga di considerare il reddito familiare e non quello individuale, mentre nel caso di specie l’Ufficio aveva attribuito alla moglie un’autovettura non ancora posseduta dalla stessa negli anni di riferimento, ma acquistata nel 2009, che l’Ufficio gli aveva attribuito un’autovettura detenuta in leasing ma restituita nel 2007, che la disponibilità finanziaria sua e della moglie era superiore al reddito dichiarato, stanti i risparmi accumulati negli anni e giacenti sul conto corrente bancario, e che l’onere della prova contraria a carico del contribuente insorge soltanto quando l’Ufficio abbia assolto il proprio mediante presunzioni gravi, precise e concordanti.
2. Col secondo motivo, si lamenta la mancanza del contraddittorio obbligatorio per legge e la derivata nullità quando non richiesto dall’Ufficio in seguito all’accertamento.
3. Col terzo motivo, si lamenta il fatto che l’inversione della prova scatti soltanto quando la presunzione del fisco sia basata su fatti gravi, precisi e concordanti e che l’assenza del contraddittorio impedisca al contribuente di comprendere quale prova sia chiamato a fornire.
4. Col quarto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., in quanto la C.T.P. aveva ritenuto l’insufficienza e inidoneità della prova, benché se fosse stato valutato il reddito familiare, dimostrato dalla documentazione attestante il reddito prodotto dalla moglie del contribuente e attestato dallo stesso Ufficio, lo scostamento tra reddito presunto e reddito dichiarato, per l’anno 2007, non avrebbe ecceduto il 25 per cento. Pertanto, ad avviso del contribuente, la condizione richiesta dal quarto comma dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 per l’accertamento sintetico non poteva dirsi integrata né quanto al 2007, né quanto al 2008 posto che sarebbe venuto a mancare uno scostamento per due periodi di imposta. Inoltre, non era stato valutato il fatto che l’autovettura acquistata in leasing sarebbe stata utilizzata nell’esercizio dell’attività professionale, come risultante dal contratto, circostanza questa di cui si sarebbe dovuto tener conto per l’accertamento del reddito presunto che avrebbe avuto importo inferiore.
5. Col quinto motivo, il contribuente lamenta la violazione della legge 27 luglio 2000, n. 212, in quanto i giudici di merito non si erano pronunciati sulla dedotta violazione degli artt. 5 e 6 della normativa sull’accertamento sintetico, benché, a causa della mancata integrazione del contraddittorio, egli non avesse potuto conoscere preventivamente i dati e gli elementi che avrebbero inciso sulla sua condizione tributaria. Ad avviso del ricorrente, infatti, la riforma del 2010 era intervenuta per suggellare normativamente l’obbligatorietà del contraddittorio, previsto dall’art. 12 dello Statuto del contribuente.
6. Col sesto motivo, si lamenta la violazione di legge e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., per avere la C.T.R. e la C.T.P. omesso di valutare la pregressa disponibilità finanziaria nonostante fossero stati prodotti tutti gli estratti di conto corrente relativi al 2006 attestanti il reddito familiare già tassato Irpef, posto che all’inizio del 2007 risultava la disponibilità liquida di euro 31.236,19 e alla fine di euro 3.676,95, sicché si sarebbero dovuti sommare al reddito dichiarato anche quegli importi, ciò che avrebbe determinato il venir meno dei presupposti richiesti per procedere mediante accertamento sintetico. Inoltre si sarebbe dovuto avviare il contraddittorio endoprocedimentale, stante la portata interpretativa e non innovativa della novella del 2010.
7. Il primo, secondo, terzo, quarto e sesto motivo sono inammissibili per plurimi motivi.
Questa Corte, a Sezioni unite, ha avuto recentemente modo di affermare che, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (cfr Cass., Sez. U, 28/10/2020, n. 23745).
Peraltro, l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate (Cass., Sez. 6 – 3, 17/03/2017, n. 7009; Cass., Sez. 2, 23/10/2018, n. 26790), potendosi scongiurare l’inammissibilità soltanto quando la formulazione del ricorso permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U, 6/5/2015, n. 9100).
Va inoltre osservato come il mancato rispetto del dovere di chiarezza espositiva degli atti processuali, costituente espressione di un principio generale del diritto processuale, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativa sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l’intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc. civ., assistite – queste sì – da una sanzione testuale di inammissibilità (Cass., Sez. 2, 20/10/2016, n. 21297).
Orbene, il contribuente non si è affatto attenuto a questi principi.
Il ricorso risulta, infatti, articolato, per ciascuna censura, in plurimi motivi di doglianza, riferiti tanto al n. 3, quanto al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. (nel secondo e terzo neppure citati), nei quali non soltanto non è chiarita la norma violata, se non attraverso disordinati richiami contenuti nel corpo degli stessi e taciuti in rubrica – nella quale la violazione viene riferita alla norma processuale di cui all’art. 360 piuttosto che a quella sostanziale che avrebbe dato luogo al rigetto della domanda -, ma neppure vi è una netta separazione tra le lamentate violazioni di legge e l’omesso esame di fatto decisivo, né alcun rimando alla decisione impugnata e alle parti di essa che si sarebbero poste in contrasto con le norme confusamente citate in tema di accertamento sintetico, né una chiara descrizione degli indici redditometrici posti dall’Ufficio a base della pretesa e dei fatti ad essi connessi, disordinatamente richiamati nell’espositiva senza un ordine preciso e senza inequivocabili confutazioni per ciascuno di essi, ciò che pone il giudice di legittimità nella condizione dì intuire più che di conoscere le problematiche sollevate.
La stessa assenza di rigore argomentativo si pone anche rispetto all’articolazione delle doglianze, apparentemente riferite più all’operato dell’Ufficio che a quello dei giudici di merito, ciò che avrebbe imposto un ulteriore sforzo da parte del ricorrente, posto che i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, primo comma, nn. 3, 4 e 6, cod. proc. civ., devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass., Sez. 5, 13/11/2018, n. 29093).
Quanto alla doglianza riferita al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., va osservato come tale disposizione, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, preveda l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione come riferita ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni (Cass., Sez. 5, 8/10/2014, n. 21152; Cass., Sez. 3, 20/8/2015, n. 17037; Cass., Sez. 1, 8/8/2016, n. 17761; Cass., Sez. 2, 29/10/2018, n. 27415), la quale deve vertere su un fatto principale ex art. 2697 cod. civ., ossia un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche un fatto secondario, purché controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, 8/8/2016, n. 17761; Cass., Sez. 6, /10/2017, n. 23238), oltreché connotato da decisività, intesa come idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinare una diversa ricostruzione, in ciò afferendo, dunque, al nesso di causalità tra il vizio della motivazione e la decisione. In tal caso, è dunque necessario che il vizio, una volta riconosciuto come esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, avrebbe comportato una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice di merito e non già la sola possibilità o probabilità di essa. E’ invece inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, atteso che questa Corte non può mai procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa e che il vizio non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, controllare attendibilità e concludenza delle prove e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova, sicché mai può essere censurata in sé la valutazione degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass., Sez. 5, 11/6/2020, n. 11227).
Pertanto, la mancata precisa indicazione dei fatti decisivi omessi e la sostanziale richiesta di revisione del ragionamento decisorio dei giudici dì merito, inducono a ritenere inammissibili le censure anche sotto questo profilo.
8. Il quinto motivo è invece infondato.
L’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, cui l’Amministrazione finanziaria è gravata, attiene, infatti, soltanto ai contributi armonizzati, pena l’invalidità dell’atto, ma non anche a quelli non armonizzati, per i quali, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, è configurabile esclusivamente ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù dell’art. 38, settimo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione introdotta dall’art. 22, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
Quest’ultima disposizione, tuttavia, prevede che le modifiche apportate all’art. 38, d.P.R. n. 600 del 1973 producano effetti «per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», ossia per quelli relativi a periodi d’imposta dal 2009 in poi (Cass., Sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11283; Cass., sez. 6-5, 06/10/2014, n. 21041).
Ciò comporta che, attenendo l’oggetto della odierna contesa agli anni di imposta 2007 e 2008, trovi applicazione l’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 nella formulazione antecedente alla novella del 2010, in virtù del quale l’accertamento compiuto va considerato legittimo anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, non essendo necessaria la previa contestazione al contribuente degli elementi e delle circostanze di fatto fondanti la rideterminazione del reddito, ferma restando la possibilità di quest’ultimo di fornire, in sede di impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il redito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria (Cass., Sez. 5, 18/12/2006, n. 27079).
Ne consegue l’infondatezza della censura.
9. In conclusione, va dichiara l’inammissibilità del primo, secondo, terzo, quarto e sesto motivo e l’infondatezza del quinto. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione ordinanza n. 12695 depositata il 21 aprile 2022 - In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi armonizzati di un obbligo generale…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 19394 del 16 giugno 2022 - In tema di tributi c.d. non armonizzati, l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 novembre 2021, n. 37440 - In tema di tributi c.d. non armonizzati, l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione…
- COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 2412 sez. V depositata il 17 aprile 2019 - Per l'accertamento sintetico dei redditi per i quali il termine per la presentazione della dichiarazione era già scaduto alla data di entrata in vigore…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 maggio 2021, n. 13832 - In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi "armonizzati" di un obbligo generale di…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 luglio 2021, n. 20816 - In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…
- L’indennità sostitutiva della mensa, non avendo na
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7181 depositata…