CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2021, n. 19903
Tributi – Accertamento – Rettifica reddito d’impresa – Operazioni ritenute inesistenti – Ripartizione dell’onere probatorio
Rilevato che
– con sentenza n. 512/01/16, depositata in data 10 marzo 2016, notificata il 5.5.2016, la Commissione tributaria regionale della Puglia, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di M. s.r.I., unipersonale, in liquidazione, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 1510/02/15 della Commissione tributaria provinciale di Bari che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta contribuente avverso l’avviso di accertamento n. TVF030301128/2014, con il quale l’Ufficio di Bari, previo p.v.c. della G.d.F, aveva ripreso a tassazione nei confronti di quest’ultima costi indebitamente dedotti, ai fini Ires, Irap, e detratti ai fini Iva, per il 2006, in relazione a fatture emesse da Supermercati B.D.s.r.l. afferenti ad operazioni di acquisto di accessori per cellulari ritenute oggettivamente inesistenti;
– in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) previo p.v.c. della G.d.F., con l’avviso di accertamento TVF030301128/2014 l’Ufficio di Bari aveva contestato nei confronti di M. s.r.I., per l’anno 2006, l’indebita deduzione di costi, ai fini Ires e Irap, e detrazione, ai fini Iva, in relazione ad operazioni di acquisto di accessori per cellulari ritenute oggettivamente inesistenti, avuto riguardo alla emersa non operatività della società fornitrice Supermercati B.D. s.r.I., alla generica descrizione delle merci sulle fatture e alla non attendibilità dell’avvenuta transazione nel pagamento della merce contestata in euro 70.000,00 in luogo dell’importo fatturato di euro 202.180,00; 2) avverso il suddetto avviso, M. s.r.l. aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Bari deducendo la illegittimità del raddoppio del termine ex art. 43 del d.P.R. n. 600/73, la nullità dell’atto per violazione degli artt. 7 della legge n. 212/00, 42 del d.P.R. n. 600/73 e 54 del d.P.R. n. 633/72, la infondatezza della pretesa impositiva stante la operatività della società fatturante Supermercati B.D.nel 2006, la indicazione nelle fatture di “BT”, acronimo di Bluetooth, degli auricolari e delle batterie dei cellulari nonché la effettività della transazione intervenuta tra le parti, a seguito della emersa difettosità della merce, con riduzione del corrispettivo; 3) aveva controdedotto l’Agenzia, sostenendo l’infondatezza delle eccezioni preliminari e la legittimità della pretesa impositiva, anche alla luce della fede privilegiata dei verbali della G.d.F. ai sensi degli artt. 2699 e 2700 c.c.; 4) con sentenza n. 1510/02/2015, la CTP di Bari, previo rigetto delle eccezioni preliminari, aveva accolto il ricorso; 5) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello l’Ufficio e aveva controdedotto la società contribuente, riproponendo l’eccezione di illegittimità del raddoppio del termine ex art. 43 cit. e chiedendo la conferma della decisione della CTP;
– in punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che:
1) era infondata l’eccezione della contribuente di illegittimità del raddoppio del termine ex art. 43 cit. in quanto, come già rilevato dal giudice di primo grado, non rilevava la mancata trasmissione della notizia di reato all’Autorità giudiziaria ma la sussistenza dei presupposti dell’obbligo della denuncia penale; 2) nel merito, quanto alle circostanze emerse in sede di p.v.c. della G.d.F.: a) circa la assunta irreperibilità della “Supermercati B.D.s.r.l. un/persona/e, dai dati contabili verificati dalla G.d.F., emergeva che quest’ultima era risultata operativa fino alla data di messa in liquidazione in data 17.5.2010 – essendo stati nel sito della CCIAA presentati i bilanci fino al 31.12.2008 – e ovviamente “inesistente l’attività di impresa” alla data dell’accesso del 4.10.2010, costituendo le omesse dichiarazioni fiscali, per gli anni 2005-2008, delle mere irregolarità fiscali; b) circa la descrizione eccessivamente generica nelle fatture delle operazioni di acquisto di batterie e auricolari di cellulari, le fatture emesse dalla società Supermercati B.D.s.r.l. contenevano la descrizione della quantità, qualità e prezzo unitario dei telefonini Nokia e delle batterie e auricolari Nokia “B.T.” (acronimo di Bluetooth) e lo stesso quantitativo acquistato di auricolari “B.T.” e di batterie risultava essere stato successivamente venduto dalla M. s.r.l. alla GR International Trade and Distribution, con neutralizzazione del carico dell’imposta ( IVA) derivante dalle due operazioni attraverso il sistema delle rivalse e detrazioni; c) circa la assunta irrilevanza della transazione intervenuta tra le parti, a seguito della rilevata difettosità della merce, con riduzione del corrispettivo corrisposto dalla contribuente alla fornitrice B.D., le contestate fatturazioni trovavano riscontro nelle scritture contabili e nei relativi bilanci sia della società cessionaria “GR s.r.l.” (che aveva sollevato la questione della difettosità della merce ) che della cedente M. s.r.l. la quale rivalendosi nei confronti della fornitrice B.D.aveva corrisposto, a saldo delle fatture, la somma di euro 70.000,00 (con sette assegni bancari postdatati di euro 10.000,00 ciascuno);
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a un motivo cui resiste, con controricorso, la società, spiegando ricorso incidentale, articolato in un motivo, cui resiste, con controricorso l’Ufficio;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 19, 21, e 54 del d.P.R. n. 633/72, 39, comma 1, lett. d) e 41bis del d.P.R. n. 600/73, 2697 e 2729 c.c., per avere la CTR ritenuto erroneamente legittima la deduzione di costi, ai fini delle imposte dirette, e la detrazione ai fini Iva, ancorché, da un lato, l’Ufficio avesse fornito sulla base delle risultanze del p.v.c. (tra l’altro dotato di pubblica fede fino a querela di falso), elementi presuntivi della fittizietà delle fatturate operazioni di acquisto degli accessori dei telefonini (non operatività, nel 2006, della società fornitrice; descrizione generica nelle fatture della qualità delle merci acquistate; inattendibilità della transazione in diminuzione del corrispettivo intervenuta tra le parti in considerazione della contestata difettosità dei prodotti) e, dall’altro, la contribuente non avesse offerto idonee prove a contrario della effettività delle medesime operazioni (quali la presenza di bilanci nel sito CCIAA, la corrispondenza tra il quantitativo di auricolari acquistati e quelli rivenduti, la predisposizione di documentazione regolare etc.);
– priva di pregio è l’eccezione di inammissibilità del motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 3 e n. 6 c.p.c., palesandosi quest’ultimo autosufficiente in quanto sviluppa una sintesi chiara dell’intera vicenda processuale e mette in luce le ragioni a sostegno dello stesso, con espressa menzione degli atti processuali su cui si fonda;
– ugualmente va disattesa l’eccezione d’inammissibilità che la controricorrente prospetta in base alla considerazione che l’Agenzia tenderebbe ad ottenere un riesame dei fatti inammissibile in sede di legittimità; in realtà, la ricorrente non ha contestato la ricostruzione in fatto operata in sentenza, ma la violazione delle norme in tema di formazione del giudizio sulla prova presuntiva e dei criteri di distribuzione dell’onere probatorio;
– il motivo è fondato per le ragioni di seguito indicate;
– in linea generale, ai fini della identificazione del soggetto onerato della prova, nella ipotesi di contestazione formulata dall’Ufficio in ordine alla inesistenza, o parziale inesistenza, delle operazioni commerciali fatturate, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato in tema di Iva (ma i principi valgono per tutte le imposte accertabili mediante la contestazione della veridicità delle fatturazioni) che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass., sent. 19352 del 2018; n. 29002 del 2017; n. 428 del 2015; n. 17977 del 2013); in particolare, questa Corte, nelle ipotesi, come quella di specie, di operazioni oggettivamente inesistenti, ha affermato che «ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. n. 11624 del 2020; 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente [rilevante invece nella diversa ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti], il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo» (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione; Cass. n. 16473 del 2018);
– questa Corte ha poi affermato che, in tema di imposte sui redditi, l’irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo; per conseguenza l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21446, e da ultimo, Cass. 211 del 2018). In tema di Iva, la Corte di giustizia (con sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 – Investimentos Imobiliàrios e Turísticos SA c. Autoridade Tribudria e Aduaneira), seguita dalla giurisprudenza interna (Cass. 6 ottobre 2017, n. 23384), nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’imposta, ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA. Senz’altro, ha aggiunto la Corte, l’amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dall’art. 219 della direttiva 2006/112, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale. Incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’Iva l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta (Cass., sez. 5, n. 30350 del 23/11/2018); nella specie, il giudice di appello, ha mal governato i suddetti principi, in quanto nell’analizzare i singoli elementi presuntivi della contestata fittizietà delle operazioni di acquisto di accessori di telefonini emersi in sede di verifica della G.d.F. e posti dall’Ufficio a fondamento dell’accertamento ha ritenuto sostanzialmente questi ultimi non dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e, comunque, assolto l’onere della prova contraria da parte della contribuente, in particolare: a) quanto alla dedotta inoperatività nel 2006 della società fatturante Supermercati B.D.s.r.I., ascrivendo, da un lato, la riscontrata “omessa dichiarazione fiscale” per gli anni 2005-2008, a una mera irregolarità fiscale – ciò in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “l’omessa presentazione della dichiarazione fiscale” costituisce elemento sintomatico del carattere di c.d. “cartiera” della società (v. in tal senso, da ultimo, Cass. n. 10293/2021) – e, dall’altro, attribuendo rilevanza alla presenza dei bilanci fino al 31.12.2008 nel sito della CCIAA – che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non concreta una circostanza di per sé comprovante la operatività della società fatturante (da ultimo, Cass. n. 1186/2021); b) quanto alla dedotta irregolarità delle fatture per generica indicazione della qualità dei prodotti acquistati (“auricolari Nokia B.T.”)- che già di per sé rendeva le stesse inidonee a costituire titolo per la deducibilità dei relativi costi e la detraibilità ai fini Iva- attribuendo rilevanza alla circostanza della corrispondenza tra il quantitativo di auricolari acquistati e quello oggetto di rivendita alla società GR s.r.l. con il corrispondente riscontro nei partitari – fatto di per sè non esaustivo, sotto il profilo della prova a carico del contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, circa l’effettiva esecuzione delle prestazioni da parte della ditta fatturante; c) quanto alla dedotta simulazione della transazione tra le parti con riduzione del corrispettivo, in considerazione della emersa difettosità della merce, facendo leva sull’elemento meramente formale della corrispondenza delle contestate fatturazioni nelle scritture contabili e nei relativi bilanci sia della società cessionaria “GR s.r.l.” (che avrebbe sollevato la questione della difettosità della merce) che della cedente M. s.r.l. la quale rivalendosi nei confronti della fornitrice B.D.aveva corrisposto, a saldo delle fatture, la somma di euro 70.000,00 (con sette assegni bancari postdatati di euro 10.000,00 ciascuno); inoltre, il giudice di appello ha omesso di valutare anche complessivamente gli elementi indiziari offerti dall’Amministrazione disattendendo il principio di diritto secondo cui «La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare» (Cass. sez. 3, n. 5787 del 2014; v. Cass., sez. 6-5, n. 30276 del 2017);
– con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, la società denuncia la violazione degli artt. 43 del d.P.R. n. 600/73, 57, 1 e 3 comma, del d.P.R. n. 633/72 per avere la CTR erroneamente rigettato l’eccezione di illegittimità del raddoppio del termine, ancorché l’avviso di accertamento fosse stato notificato il 3.6.2014, oltre il termine di cui all’art. 43 cit., e il raddoppio del termine ivi previsto fosse vincolato alla denuncia di cui all’art. 331 c.p.p., mancante nella fattispecie;
– il motivo è infondato;
– in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario (Cass. Sez. 5, Ord. n. 13481 del 02/07/2020; Sez. 6 – 5, Ord. n. 17586 del 28/06/2019); in particolare, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 128 del 2015, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22337 del 13/09/2018);
– nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi, avendo disatteso l’eccezione di decadenza dell’Amministrazione dal potere di accertamento ex art. 43 cit. in quanto non era, a tal fine, rilevante la questione della mancata trasmissione della notizia di reato all’autorità giudiziaria ma la verifica- compiuta con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità- della esistenza dei presupposti dell’obbligo della denuncia penale;
– in conclusione, va accolto il ricorso principale; rigettato il ricorso incidentale; con cassazione della sentenza impugnata- in relazione al ricorso principale- e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata- in relazione al ricorso principale- e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità; sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente incidentale ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del dpr 115/2002.