CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2021, n. 19965
Lavoro – Malattia professionale – Danno biologico permanente – Responsabilità – Fallimento in corso di causa – Improcedibilità delle domande
Rilevato che
1. con sentenza 27 novembre 2016, la Corte d’appello di Potenza, nei due giudizi riuniti e nel contraddittorio anche con il Fallimento Industrie del B. s.r.l. contumace, rigettava l’appello principale di C.P., L. ed A., quali eredi di R.T. e dichiarava inammissibili quelli incidentale condizionato ed autonomo principale di M.M. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato improcedibili le domande dei primi di condanna al pagamento nei confronti di Industrie del B. s.r.l. e inammissibili quelle nei confronti della terza società, chiamata da questa in causa per esserne garantita quale precedente datrice di lavoro dell’operaia deceduta;
2. dopo avere autorizzato la chiamata in giudizio richiesta e istruita la causa, il Tribunale aveva, infatti, accertato la responsabilità di Industrie del B. s.r.l. in ordine alla malattia professionale della lavoratrice (neoplasia polmonare per inalazione di fumi da combustione di olio, determinante il suo decesso, che l’Inail aveva ricondotto a tecnopatia) e un danno biologico permanente in misura del 50%, ma ritenuto improcedibili le domande di condanna dei ricorrenti nei suoi confronti, in quanto dichiarata fallita in corso di causa; e dichiarato inammissibili tutte le loro domande nei confronti della società chiamata dalla resistente, in quanto non ad essa estensibili, in assenza nella memoria difensiva della seconda società di richieste né espresse né specifiche nei confronti della prima, avendo ad oggetto una domanda in garanzia, neppure l’originaria dei ricorrenti e quella della chiamante avendo identità di causa petendi;
3. la Corte territoriale condivideva la nullità della chiamata in causa in quanto generica, non essendone chiara la natura litisconsortile, di individuazione di M.M. s.p.a. quale soggetto tenuto a rispondere della pretesa attorea, ovvero di chiamata in garanzia (propria o impropria), a tenere indenne la chiamante nei confronti dei ricorrenti;
4. parimenti inammissibile essa riteneva l’estensione della domanda dei ricorrenti a verbale di udienza del 9 luglio 2009: anche a volerla ritenere formulazione in proprio della chiamata di terzo, essa non sarebbe stata autorizzata dal giudice, a norma dell’art. 420, nono comma c.p.c. e pure tardiva, in quanto esercitata oltre la prima udienza di discussione della causa, ai sensi dell’art. 420, primo comma c.p.c.; avendo essi preferito rimettersi all’estensione del giudizio della società resistente, operata nei termini detti;
5. soltanto ad abundantiam, la Corte d’appello riteneva detta estensione inammissibile per novità della domanda, tanto nei suoi fatti costitutivi (danno per malattia professionale da esposizione ad amianto tra il 1976 e il 1992, a fronte della domanda originaria di danno per tecnopatia derivata da inalazione di fumi di olio provenienti da lavorazioni di saldatura dal 1994, data di passaggio dell’operaia deceduta alle dipendenze di Industrie B. s.r.l., al 2004), tanto nel suo oggetto (per la variabilità del danno non patrimoniale in relazione alla natura dell’agente morbigeno e alla durata di esposizione): con la conseguente assenza di una comunanza di causa, sola giustificante l’intervento del terzo, pure inteso nell’accezione più lata;
6. infine, essa riteneva inammissibili l’appello incidentale condizionato proposto da M.M. s.p.a. quale appellata e quello principale autonomo della medesima (riunito al principale degli eredi ricorrenti), per difetto di interesse, essendo rimasta in primo grado completamente vittoriosa;
7. con atto notificato il 25 novembre 2016, C.L. ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui M.M. s.p.a. resisteva con controricorso; il Fallimento Industrie del B. s.r.l., C.P. ed A., pure ritualmente intimati, non svolgevano difese;
Considerato che
1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 106, 112, 414, 416 c.p.c.ed omesso o insufficiente esame di un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale escluso, senza indicarne elementi sufficienti, l’estensione della domanda dei ricorrenti nei confronti della terza chiamata da Industrie del B. s.r.l., sull’erroneo presupposto della sua estrema genericità, non avendone chiarito la finalità: se per individuare in M.M. s.p.a. il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dei ricorrenti ovvero se per tenerla indenne nei loro confronti, senza un’adeguata indagine della volontà effettivamente manifestata con la condotta processuale tenuta, di estraneità alla vicenda e pertanto di esclusivo obbligo della terza chiamata in propria vece; così impedendo l’identificazione della parte legittimata passiva della pretesa, senza neppure rideterminare i danni né condannare al relativo pagamento anche la terza chiamata (primo motivo);
2. esso è inammissibile;
2.1. giova premettere la diversità dell’ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell’attore (che consente l’automatica estensione della domanda attorea al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario) da quella di chiamata del terzo in garanzia, nella quale detta estensione automatica non si verifica, in ragione dell’autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo (Cass. 5 marzo 2013, n. 5400; Cass. 15 gennaio 2020, n. 516);
2.2. il motivo difetta di specificità, prescritta a pena di inammissibilità dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., sotto il profilo dell’omessa trascrizione (se non in modo marginale, e quindi insufficiente, agli ultimi due alinea di pg. 4 e ai primi due di pg. 5 e ancora al penultimo capoverso di pg. 10 del ricorso) della comparsa di costituzione della resistente Industrie del B. s.r.l., avendone il ricorrente contestato l’interpretazione del contenuto dalla Corte territoriale per inadeguata indagine della volontà effettivamente manifestata: egli, infatti, pur denunciando in sede di legittimità l’omessa od inesatta valutazione dell’atto suindicato, anche deducendo un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, non ha assolto l’onere, a pena di inammissibilità del ricorso, non soltanto di specifica indicazione della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma neppure di trascrizione del contenuto dell’atto, così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto (Cass. 7 giugno 2017, n. 14107; Cass. 5 agosto 2019, n. 20914);
2.3. inoltre, non è sindacabile in sede di legittimità l’erronea interpretazione giudiziale delle domande e delle eccezioni, se non sotto il profilo di vizio di motivazione (Cass. 13 luglio 1965, n. 1479) e pertanto entro gli attuali limiti (certamente travalicati dalla denuncia del ricorrente, neppure nei termini appropriati) consentiti dal vigente art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546); spetta infatti al giudice del merito in via esclusiva interpretare e qualificare la domanda (nel caso di specie, sotto forma di chiamata del terzo in giudizio), non essendo in tale compito condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, ma dovendo accertare e valutarne il contenuto sostanziale, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto: con i soli limiti di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta; sicché, il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se siano stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (Cass. 29 aprile 2004, n. 8225; Cass. 21 maggio 2019, n. 13602);
2.4. nel caso di specie, la Corte territoriale ha adeguatamente giustificato l’impossibilità di comprendere, a base della ritenuta nullità, il contenuto della chiamata in causa della società resistente, se di natura litisconsortile per la finalità di individuare la terza chiamata M.M. s.p.a. quale soggetto tenuto a rispondere della pretesa attorea in luogo della chiamante, ovvero di chiamata in garanzia (propria o impropria), per essere tenuta indenne nei confronti dei ricorrenti (per le ragioni esposte al p.to 2.1. di pg. 11 della sentenza), con il conseguente effetto (proprio per la seria perplessità in ordine all’individuazione del vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario) di non rendere possibile stabilire con certezza se la domanda dei ricorrenti si estenda automaticamente o meno alla terza chiamata, pur in mancanza di apposita istanza;
3. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 106, 112 c.p.c., 2087, 2055, 1294 c.c. ed omesso o insufficiente esame di un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare sulla chiamata del terzo in funzione della sua corresponsabilità solidale, così impedendo l’identificazione della parte legittimata passiva della pretesa, senza neppure rideterminare i danni né condannare al relativo pagamento anche la del terzo chiamato (secondo motivo);
4. esso è infondato;
4.1. non sussiste la denunciata omissione di pronuncia, che ricorre quando sia mancata qualsiasi decisione su un capo di domanda, per tale intendendosi ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica sulla quale debba essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. 16 maggio 2012, n. 7653; Cass. 27 novembre 2017, n. 28308; Cass. 16 luglio 2018, n. 18797);
4.2. nel caso di specie, una pronuncia è stata invece resa, avendo la Corte territoriale ritenuto la chiamata di terzo nulla (non essendone stata chiarita affatto la natura, per le ragioni dette, al fine di accertare la corresponsabilità solidale della società terza chiamata), con la conseguente ribadita inammissibilità della domanda del ricorrente, nella qualità, nei confronti di M.M. s.p.a.;
5. il ricorrente deduce poi violazione e falsa applicazione degli artt. 106, 112, 420, primo e nono comma c.p.c. ed omesso o insufficiente esame di un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale erroneamente qualificato, con motivazione illogica e contraddittoria, l’estensione delle domande e conclusioni formulate come chiamata della terza tardiva e non autorizzata dal giudice, senza considerare, al fine di tale estensione, che le conclusioni erano state integrate dalla riserva, fatta a verbale di udienza del 13 settembre 2007 “in caso di chiamata in causa della M.M., di estendere la propria domanda giudiziale all’esito della costituzione di quest’ultima”, quindi insistendo nella richiesta di estensione, una volta che la terza si fosse costituita in giudizio; così ancora una volta impedendo di identificare la parte legittimata passiva della pretesa, senza neppure rideterminare i danni né condannare al relativo pagamento anche il terzo chiamato (terzo motivo);
6. esso è inammissibile;
6.1. premesso che la riserva di compiere un atto processuale (nel caso di specie: estensione della domanda giudiziale dei ricorrenti alla terza chiamata dalla resistente) non equivale al suo compimento, né tanto meno a produrne gli effetti, il motivo è privo di un interesse giuridico tutelabile, né concreto né attuale, non essendo prospettata l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile (Cass. 4 maggio 2012, n. 6749; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2057). Ed infatti, la contestazione, che esso esprime, di una qualificazione concessiva (“A volere, infatti, ritenere che … “: così l’incipit della qualificazione confutata, dal secondo al quarto alinea di pg. 12 della sentenza) dell’estensione detta alla stregua di formulazione in proprio di una chiamata di terzo nei confronti di M.M. Holding s.p.a., siccome erronea, non produce alcun effetto giuridicamente utile per il ricorrente.
Ciò in quanto la diversa qualificazione (di estensione delle proprie domande giudiziali alla terza chiamata dalla resistente) patrocinata dal ricorrente è stata ancor prima ritenuta dalla Corte territoriale inammissibile, quale coerente conseguenza della ritenuta nullità, per genericità, della chiamata di terzo della società resistente: appunto impediente quell’effetto” di “estensione automatica – pur in mancanza di apposita istanza – al terzo chiamato della domanda attorea” (così agli ultimi quattro alinea di pg. 11 della sentenza). Di talché, proprio rispetto ad essa, l’alternativa qualificazione oggetto di denuncia è stata ritenuta “Ugualmente” (ossia come quella rivendicata con il presente mezzo) “inammissibile” (così all’esordio del p.to 2.2. di pg. 12 della sentenza);
7. il ricorrente deduce infine violazione e falsa applicazione degli artt. 106, 112, 420, primo e nono comma c.p.c., 2112 c.c. ed omesso o insufficiente esame di un punto decisivo della controversia, per erronea esclusione dell’estensione della domanda dei ricorrenti nei confronti della terza chiamata dalla resistente, in mancanza di “comunanza di causa” (per diversità di causa petendi e petitum), sussistendo invece sia identità di causa petendi (avendo i ricorrenti allegato l’unicità del rapporto di lavoro della congiunta deceduta dal 1973 al 2004 nello stabilimento, nella cui titolarità si erano succedute diverse imprese e la dipendenza della malattia professionale contratta da tutte le sostanza cancerogene cui negli anni era stata esposta senza idonea protezione) sia di petitum (consistente nell’accertamento e liquidazione del danno nella sua interezza); così impedendo di identificare la parte legittimata passiva della pretesa, senza neppure rideterminare i danni né condannare al relativo pagamento anche il terzo chiamato (quarto motivo);
8. anch’esso è inammissibile, per difetto di interesse;
8.1. la censura ha ad oggetto la seconda ratio decidendi della sentenza, siccome svolgimento di un “ulteriore ragionamento solo ad abundantiam” (così al p.to 2.3. di pg. 12 della sentenza). E la prima (sviluppata ai p.ti 2.1. e 2.2. a pgg. 11 e 12 della sentenza) è stata ritenuta infondata (rectius: inammissibile) in esito allo scrutinio del primo e del terzo motivo.
Ora, è noto che, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza (o addirittura mancanza di una specifica formulazione) delle censure mosse ad una delle rationes decidendi renda inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 21 dicembre 2015, n. 25613; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3307; Cass. 15 luglio 2020, n. 15114);
9. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere rigettato, con la statuizione sulle spese secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condannare L.C. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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