CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2022, n. 22117
Rapporto di lavoro – Giornalista – Omessi contributi INPGI – Denuncia del lavoratore intervenuta oltre il quinquennio dalla scadenza dell’obbligazione contributiva – Raddoppio del termine quinquennale di prescrizione ex art. 3, co. 9, l. n. 335/1995 – Esclusione
Rilevato che
la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha stabilito non dovuti alla gestione separata dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “G.A.” (INPGI), in quanto prescritti, i contributi previdenziali relativi al rapporto di fatto intercorso tra C.B.C. e le società “E.I.” e “E.S.” nel periodo 1997-2004, avendo accertato che la denuncia all’INPGI per il recupero dei contributi omessi dalle datrici era stata presentata dal lavoratore il 15.12.2009 e che, pertanto, la stessa non era valsa a generare il meccanismo di raddoppio del termine quinquennale di prescrizione ai sensi dell’art. 3, co.9 lett. a) della l. n. 335 del 1995, in quanto intervenuta quando i contributi erano in gran parte già prescritti;
la Corte territoriale ha, conseguentemente, accolto la domanda dell’ente previdenziale limitatamente al periodo dicembre 2004 – aprile 2005, valutando che la denuncia era intervenuta entro il quinquennio dalla scadenza del termine per il versamento contributivo soltanto in relazione a tale limitato periodo; la cassazione della sentenza è domandata da C.B.C. sulla base di due motivi;
l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “G.A.” (INPGI) ha opposto difese, illustrate da successiva memoria.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 c.9 L.335/1995, dell’art. 55 Rdl 1327/1935 e degli artt.2935 e 2948 c.c. – La decorrenza dei termini di prescrizione dei contributi previdenziali in caso di rapporto di lavoro non regolarizzato”; sostiene che nel caso di un rapporto di lavoro non regolarizzato, la prescrizione dei contributi inizierebbe a decorrere soltanto da quando è stata accertata in via giudiziale la natura subordinata del rapporto e non – come erroneamente stabilito dalla Corte territoriale – decorsi cinque anni da quando è stata resa la prestazione lavorativa e in assenza di denuncia del lavoratore;
sostiene che la sentenza gravata avrebbe concluso introducendo argomentazioni fondate su aspetti estranei alla materia del contendere, quali la durata della prescrizione e gli effetti della denuncia del lavoratore; col secondo motivo, ancora formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. cív., denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 c.9 L335/1995, dell’art. 55 Rdl 1327/1935 e degli artt. 2935 e 2948 c.c. – in subordine: remissione alla Corte Costituzionale della normativa in tema di decorrenza della prescrizione dei contributi previdenziali in caso di rapporto di lavoro non assistito da stabilità reale”;
prospetta che, al più, i contributi dovuti in relazione alla propria posizione avrebbero dovuto considerarsi prescritti soltanto a far data dalla sentenza del Tribunale di Milano, passata in giudicato nel 2009, con cui si dichiarava cessato il rapporto di lavoro subordinato e si disponeva l’applicazione, nei confronti del ricorrente, del CCNL giornalistico; sostiene che il lavoratore può far valere il proprio diritto al versamento della contribuzione previdenziale soltanto una volta cessato il rapporto, essendo, tale ipotesi, paragonabile in tutto e per tutto a quella esaminata dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 63 del 1966) con riferimento ai diritti connessi allo svolgimento dei rapporti di lavoro non muniti della stabilità reale; anche nel caso della denuncia di omessa contribuzione da parte del lavoratore irregolare sussisterebbe il medesimo metus di una interruzione di fatto della prestazione da parte del datore quale conseguenza della rivendicazione;
va preliminarmente esaminata l’eccezione del controricorrente il quale sostiene che l’esame della domanda da parte di questa Corte sarebbe precluso in ragione dell’assenza di chiamata in causa, da parte dell’odierno ricorrente, del datore di lavoro quale litisconsorte necessario; l’eccezione preliminare non ha fondamento;
un recente orientamento della giurisprudenza di questa Corte, a cui va data continuità, ha stabilito che “Non sono litisconsorti necessari il lavoratore e il datore di lavoro, rispettivamente, nelle controversie fra il secondo e l’Ente previdenziale, aventi ad oggetto il versamento dei contributi, e in quelle, fra il primo e lo stesso Ente, aventi ad oggetto l’erogazione delle prestazioni assicurative, poiché, pur essendo il rapporto di lavoro e quello previdenziale connessi, rimangono, comunque, rapporti diversi e in siffatte controversie l’accertamento con forza di giudicato è chiesto solo con riferimento al rapporto previdenziale per le obbligazioni che ne derivano, di guisa che l’insorgere di una contestazione fra le parti circa la sussistenza del rapporto di lavoro non implica necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’uno o dell’altro soggetto di quello stesso rapporto, rimasto estraneo alla causa in corso, potendo la relativa questione essere risolta in via meramente incidentale, al limitato fine dell’accertamento dei presupposti suddetti, senza che tale soggetto subisca pregiudizio da una decisione “incidenter tantum”, inidonea a costituire giudicato nei suoi confronti.” (Cass. n. 3422 del 2022);
venendo ai motivi del ricorso, essi possono essere esaminati congiuntamente per logica connessione, e sono infondati; questa Corte, in recenti pronunce, ha chiaramente evidenziato la funzione della denuncia del lavoratore in materia di omessa contribuzione, quale requisito indispensabile ai fini del raggiungimento dell’effetto di raddoppio del termine quinquennale di prescrizione, contemplato dall’art. 3, comma 9, della l. n. 335 del 1995;
essa produce l’ effetto di mantenere fermo il termine decennale per i crediti maturati anteriormente all’entrata in vigore della legge, che ha ridotto drasticamente il termine da dieci a cinque anni, ma tale effetto si produce a condizione che la denuncia del lavoratore intervenga entro il quinquennio dalla scadenza dell’obbligazione contributiva;
tale meccanismo è finalizzato a fornire al lavoratore avente diritto a copertura previdenziale una residua tutela, rispetto all’asperità della modifica introdotta dalla l. n. 335 del 1995 nella transizione dalla vecchia alla nuova disciplina; argomentando dal tenore della previsione speciale di cui all’art. 38, comma 7, della l. n. 289 del 2002, questa Corte ha ritenuto che il legislatore non abbia inteso attribuire alla denuncia del lavoratore valore interruttivo della prescrizione (Così Cass. n. 5820 e Cass. n. 6722 del 2021);
nella fattispecie in esame, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza sopra richiamata (e di quella anteriore), avendo accertato che la denuncia del lavoratore era intervenuta soltanto il 15.12.2009, quando ormai per la maggior parte dei contributi era maturata la prescrizione quinquennale, eccezion fatta per quelli relativi al periodo 16.12.2004 – 24.04.2005 rispetto ai quali era possibile considerare verificatosi l’esito, auspicato dal ricorrente, del prolungamento del termine di prescrizione da cinque a dieci anni; quanto alla pendenza di una causa diretta all’accertamento della natura del rapporto e all’applicazione del C.C.N.L. giornalisti, essa non è idonea a sospendere il termine di prescrizione, atteso che il fatto impeditivo rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione può riguardare soltanto cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, qual è la mancata consapevolezza della natura subordinata o meno del rapporto (giornalistico); priva di pregio è, inoltre, anche l’argomentazione tesa a sostenere che il decorso della prescrizione sarebbe rimasto sospeso fino alla cessazione del rapporto di lavoro in data 20.04.2005, e che pertanto, il 15.12.2009 l’intera contribuzione era ancora dovuta non essendo ancora trascorso il quinquennio: in virtù dell’autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello retributivo (e dell’insorgenza ex lege del relativo obbligo) resta fermo il principio generale secondo cui il dies a quo della prescrizione coincide col giorno di scadenza dell’obbligazione contributiva;
quanto, infine, alla possibile applicazione della giurisprudenza costituzionale in tema di sospensione della prescrizione nel corso del rapporto di lavoro non munito di stabilità reale e all’eventuale ricorrenza degli estremi per sollevare la questione di costituzionalità, prospettate già in appello, deve condividersi la conclusione raggiunta dalla Corte territoriale, la quale, adeguatamente motivando, ha affermato che né è possibile estendere analogicamente la sentenza della Corte Cost. n. 63 del 1996 alle questioni contributive, in quanto queste ultime poggiano su diversi presupposti, né è possibile sollevare autonoma questione di costituzionalità in quanto la norma sul prolungamento da cinque a dieci anni del termine di prescrizione si giustifica con la necessità di tutelare l’assicurato nella fase transitoria dalla vecchia alla nuova disciplina; un siffatto regime, va ribadito, non contrasta con i valori costituzionali invocati, anzi, li rafforza, nell’ottica di una effettiva tutela del lavoratore che, nel passaggio da un regime prescrizionale, ad un altro, ben più rigido, ridotto da dieci a cinque anni, si vede mitigare gli effetti della drastica riduzione limitatamente ai crediti contributivi già sorti anteriormente all’emanazione della legge e per i quali abbia provveduto a fare denuncia prima della scadenza del quinquennio; in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della l. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.