CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2022, n. 22158

Licenziamento collettivo – Indennità di mancato – Criteri di scelta individuati dalla contrattazione collettiva – Manifestazione di disponibilità del lavoratore allo scioglimento del rapporto

Rilevato che

1. con decreto 16 gennaio 2019, il Tribunale di Civitavecchia ha rigettato l’opposizione di S.T. allo stato passivo del Fallimento G. s.p.a., dal quale era stato escluso il suo credito per indennità di mancato preavviso, in quanto rinunciata con il verbale di conciliazione sottoscritto il 31 dicembre 2014, all’esito di una procedura di licenziamento collettivo ex lege 223/1991 nella quale erano stati negoziati i criteri di scelta, individuati dalla contrattazione collettiva, tra i quali era prioritario quello di manifestazione di disponibilità del lavoratore allo scioglimento del rapporto, cui la predetta non si era opposta;

2. esso ha negato che la lavoratrice avesse impugnato il licenziamento nei termini prescritti dall’art. 6 l. 604/1966, come novellato dall’art. 32, primo comma l. 183/2010 e 1, comma 38 l. 92/2012; e così pure che ella avesse dedotto mezzi di prova concludenti sulla legittimità del verbale di conciliazione;

3. con atto notificato il 12 febbraio 2012, la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui ha resistito il Fallimento con controricorso;

4. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.

Considerato che

1. la lavoratrice ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la mancata ammissione della prova orale sulle modalità ricattatorie, nei confronti dei lavoratori, di consegna della lettera di licenziamento previa firma della conciliazione (contenente la rinuncia della lavoratrice all’impugnazione del licenziamento e all’indennità di preavviso con la collocazione in mobilità), dalle quali il Fallimento avrebbe desistito soltanto nei confronti di quelli presentatisi dopo l’intervento della Polizia, chiamata da alcuni colleghi di fronte alla protervia dell’atteggiamento di controparte (primo motivo); violazione degli artt. 1427, 1434, 1439, 1357 c.c., in relazione agli artt. 2113 c.c., 410, 411 c.p.c., per annullabilità della conciliazione per vizio del consenso a causa di violenza, per il timore del danno ingiusto della perdita di un anno di indennità di mobilità e di dolo, a causa dei raggiri usatile per indurla alla firma della conciliazione, oltre che per violazione dell’obbligo di buona fede (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 2113, 1965 c.c., per assenza di contropartita nella conciliazione in oggetto a vantaggio della lavoratrice, a fronte della rinuncia, con la sottoscrizione della conciliazione, all’impugnazione del licenziamento e all’indennità sostitutiva del preavviso: pertanto, nella carenza di quella reciprocità di concessioni costitutiva del negozio transattivo, non rappresentando una concessione della curatela datrice l’intimazione del licenziamento entro il 31 dicembre 2014, per evitarle la perdita di un anno di indennità di mobilità, essendo un mero effetto di legge la maturazione del diritto dalla data di licenziamento (terzo motivo); nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere il Tribunale posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, di cui entrambe richiedenti l’ammissione all’udienza del 22 novembre 2018 (quarto motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati;

3. appare evidente la convergenza di tutti i motivi, sotto i rispettivi profili illustrati, nella rivisitazione del fatto, di cui la ricorrente propone una diversa interpretazione, la rivalutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie alternativa a quella operata dai giudici del merito, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987);

4. il Tribunale ha, d’altro canto, congruamente confutato le censure in sede di opposizione allo stato passivo della lavoratrice, così disattendendole e dalla medesima sostanzialmente reiterate con l’odierno ricorso, in riferimento particolare:

a) ai mezzi istruttori capitolati, in ogni caso non censurabili con la denuncia del vizio motivo di omesso esame, che è inconfigurabile, nella ricorrenza di un’ipotesi di “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348ter, quinto comma c.p.c., applicabile ratione temporis, in quanto la ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. 3 novembre 2020, n. 24395; Cass. 9 marzo 2022, n. 7724), non ha, come invece avrebbe dovuto, indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, delle decisioni del primo e del secondo giudice, dimostrandone la diversità tra loro (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994); neppure trattandosi, anche richiamata la premessa fatta, di un fatto storico, principale o secondario, posto che, di per sé, l’omesso esame di elementi istruttori non integra il vizio denunciato, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415): come il Tribunale ha peraltro fatto (all’ultimo capoverso di pg. 3 del decreto);

b) alla nullità della sentenza per error in procedendo, consistente nella violazione dell’art. 115 c.p.c., non avendo nel caso di specie il giudice (che ha valutato, argomentandola, l’irrilevanza delle prove dedotte: ancora all’ultimo capoverso di pg. 3 del decreto), in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016);

c) agli errores in iudicando, relativi ad annullamento del verbale di conciliazione in sede sindacale per vizio del consenso della lavoratrice per difetto degli elementi costitutivi (res dubia e reciprocità delle concessioni), esclusi dal Tribunale con argomentazione congrua ed esauriente (per le ragioni esposte dal penultimo capoverso di pg. 2 al primo di pg. 4 del decreto), in riferimento alla collocazione dell’accordo individuale in sede protetta del 31 dicembre 2014, dipendente dal più generale accordo sindacale del 29 dicembre 2014, ad esaurimento della procedura di mobilità, ai sensi degli artt. 4, 5 e 9 l. 223/1991, in esito alla quale la società datrice ha intimato il licenziamento alla lavoratrice il 30 dicembre 2014 (verbale di conciliazione, con il quale “si è convenuto che il curatore avrebbe dato corso al licenziamento dei/delle lavoratori/trici interessati/e”: come si legge nella sua trascrizione a pg. 12 del ricorso); ben può, infatti, il lavoratore disporre liberamente del diritto di impugnare il licenziamento, facendone oggetto di rinunce o transazioni, che sono sottratte alla disciplina dell’art. 2113 c.c., che considera invalidi e perciò impugnabili i soli atti abdicativi di diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti o accordi collettivi; posto che il suo interesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro rientra nell’area della libera disponibilità, desumibile dalla facoltà di recesso ad nutum di cui il medesimo dispone, dall’ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto di lavoro e dalla possibilità di consolidamento degli effetti di un licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione (Cass. 3 ottobre 2000, n. 13134; Cass. 19 ottobre 2009, n. 22105; Cass. 18 marzo 2014, n. 6265; Cass. 21 gennaio 2022, n. 1887);

5. a quest’ultimo proposito, è rimasto infine inconfutato il rilievo del Tribunale, di mancata impugnazione del licenziamento da parte della lavoratrice nei termini prescritti dal novellato art. 6 l. 604/1966, applicabile anche ai licenziamenti collettivi (Cass. 11 dicembre 2018, n. 31992; Cass. 14 aprile 2021, n. 9827), per l’assenza di una deduzione in quella sede dei vizi dell’accordo contenente la rinuncia a detta impugnazione, poi lamentati in sede di accertamento del passivo (al primo e secondo capoverso di pg. 3 del decreto);

6. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200, 00 per esborsi e € 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.