CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2022, n. 22170
Rapporti di lavoro a termine – Riconoscimento dell’anzianità giuridica ed economica maturata anteriormente alla stabilizzazione – Differenze retributive – Metus del lavoratore – Esclusione – Termine quinquennale di prescrizione – Decorrenza
Rilevato che
con sentenza pubblicata il 10.12.2015 la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede – che aveva affermato il diritto di C.V. (dipendente Inail, ex Ispesl, assunto, a far tempo dal 1.10.1999, con reiterati contratti a termine nel profilo di ricercatore III livello professionale e poi stabilizzato in data 18.2.2008 ex art. 1, comma 558, legge n. 296/2006) al riconoscimento dell’anzianità giuridica ed economica maturata anteriormente all’avvenuta stabilizzazione, con conseguente condanna dell’Inail al pagamento delle differenze retributive -, ha escluso il cumulo di interessi e rivalutazione in applicazione dell’art. 22 comma 36 della legge n. 724/1994, compensando le spese del secondo grado, ferma nel resto la statuizione impugnata;
la Corte di merito respingeva l’eccezione di prescrizione quinquennale riformulata dall’Istituto nell’atto di gravame, osservando che dalle plurime assunzioni a tempo determinato si evinceva che il lavoratore «versava in una situazione di oggettiva debolezza che impediva il decorso della prescrizione»;
per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Inail sulla base di un unico motivo, al quale ha opposto difese, con controricorso, il V.. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
con unico motivo, rubricato «violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 n. 4 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.» l’Inail deduce che la sentenza impugnata avrebbe errato nel parlare di metus del lavoratore durante i rapporti a termine e ciò sia perché i contratti de quibus avevano tutte le garanzie previste dal CCNL per il personale del Comparto Istituzioni ed Enti di Ricerca e Sperimentazione, Area dirigenza, sia perché nel pubblico impiego non vi sarebbe la possibilità di concepire tale supposto metus, donde la applicabilità del termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 2948 n. 4 cod. civ. maturato in pendenza dei singoli rapporti a termine dotati di stabilità reale;
il motivo, che supera il vaglio di ammissibilità, è fondato;
il Collegio intende dare continuità all’orientamento già espresso da questa Corte (v. Cass. 13.2.2020, n. 21304; Cass. n. 8996/2018 e Cass. n. 20918/2019) in relazione a fattispecie sostanzialmente sovrapponibili a quella oggetto di causa;
non è in discussione la legittimità dei termini apposti ai singoli contratti, sicché rileva il principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 575/2003 secondo cui «nel caso che tra le stesse parti si succedano due o più contratti di lavoro a termine, ciascuno dei quali legittimo ed efficace, il termine prescrizionale dei crediti retributivi, di cui agli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, cod. civ., inizia a decorrere, per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che si maturano alla cessazione del rapporto, a partire da tale momento, dovendo – ai fini della decorrenza della prescrizione – i crediti scaturenti da ciascun contratto considerarsi autonomamente e distintamente da quelli derivanti dagli altri e non potendo assumere alcuna efficacia sospensiva della prescrizione gli intervalli di tempo correnti tra un rapporto lavorativo e quello successivo, stante la tassatività della elencazione delle cause sospensive previste dagli artt. 2941 e 2942 cod. civ., e la conseguente impossibilità di estendere tali cause al di là delle fattispecie da quest’ultime norme espressamente previste»;
con la richiamata pronuncia le Sezioni Unite hanno osservato che il metus, ritenuto dal Giudice delle leggi motivo decisivo per addivenire alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, presuppone l’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato nel quale non sia prevista alcuna garanzia di continuità; invece, nel contratto a termine legittimamente stipulato, poiché il lavoratore ha solo diritto a che il rapporto venga mantenuto in vita sino alla scadenza concordata e l’eventuale risoluzione ante tempus non fa venir meno alcuno dei diritti derivanti dal contratto, non è configurabile quel metus costituente ragione giustificatrice della regolamentazione della prescrizione nel rapporto a tempo indeterminato non assistito dal regime di stabilità reale (negli stessi termini Cass. n. 8996/2018 cit., Cass. n. 14827/2018; Cass. n. 22146/2014);
il principio, che deve essere qui ribadito, è assorbente ed esime il Collegio dall’affrontare le ulteriori questioni poste dal ricorso, che fa leva sulla natura del datore di lavoro per sostenere l’applicabilità anche all’impiego pubblico contrattualizzato di quanto affermato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 143 del 1969, in relazione ai rapporti di impiego di diritto pubblico;
da tanto consegue che va accolto il ricorso;
la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, procederà a un nuovo esame, attenendosi al principio di diritto dianzi enunciato;
al giudice del rinvio è demandato altresì il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
l’accoglimento del ricorso rende inapplicabile l’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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