CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2022, n. 22175
Tributi – Credito di imposta per incremento occupazionale – Termini di invio dell’istanza – Perentorietà – Mancato rispetto – Revoca
Rilevato che
il Centro operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate, con atto del 9 marzo 2009, revocò il credito di imposta per incremento occupazionale, già parzialmente riconosciuto nell’agosto 2008 alla E.S.A. s.r.l., rilevando che l’incremento occupazionale era avvenuto, mediante l’assunzione di due dipendenti, nello stesso mese di invio dell’istanza.
La Società impugnò l’avviso di recupero e l’adita Commissione tributaria di prima istanza accolse il ricorso.
La decisione, impugnata dall’Agenzia delle entrate, è stata riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale dell’Abbruzzo-sezione distaccata di Pescara (d’ora in poi C.T.R.) con la conferma dell’atto di revoca. Il giudice di appello, contrariamente al primo giudice, riteneva che la mancata indicazione del responsabile del procedimento costituisse una mera irregolarità formale che non inficiava di nullità il provvedimento. Rilevava, ancora, che non sussisteva né la violazione dell’art.6, secondo comma, della legge n.212 del 2000 né violazione dell’art.10 della stessa legge, in quanto la procedura era scandita da adempimenti da effettuarsi in termini perentori e l’errore del contribuente era stato determinato dall’inosservanza di disposizioni contenute nel decreto ministeriale attuativo dell’art.11 della legge n.244 del 2007, commi da 539 a 547. Avverso la sentenza E.S.A. s.r.l. ha proposto ricorso su cinque motivi.
L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva, essendosi limitata a depositare atto al solo fine dell’eventuale partecipazione alla pubblica udienza. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art.380 bis-1 cod.proc.civ.
Considerato che
1.Con il primo motivo di ricorso -rubricato: nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art.7, comma secondo, lett.a della legge n.212/2000. denuncia ai sensi dell’art.360, n.3 cod.proc.civ. richiamato dall’art.62, primo comma, del d.lgs. n.546/92- la Società deduce l’errore perpetrato dal Giudice di merito nell’avere ritenuto legittimo l’atto impugnato, malgrado nello stesso non fosse stato indicato il responsabile del procedimento.
1.1. La censura è infondata. La sentenza impugnata risulta in linea con i principi fissati, in materia, da questa Corte la quale ha, reiteratamente, statuito che l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000, a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le cartelle di pagamento dall’art. 36, comma 4-ter, del d.l. n. 248 del 2007, conv., con modif., dalla l. n.31 del 2008, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008.(cfr. Cass. n.11856 del 12/05/2017; id. Cass. n.13747 del 2013).
2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la sentenza impugnata di nullità per violazione dell’art.132, secondo comma, cod. proc. civ. Secondo la prospettazione difensiva la motivazione resa dalla C.T.R. sarebbe apparente in quanto il giudice di appello si sarebbe limitato a riportare generiche affermazioni senza affrontare le questioni rimessegli dalle parti, quali, tra le altre, la violazione del principio di buona fede e del legittimo affidamento, essendo intervenuta la revoca dopo ben otto mesi dalla precedente ammissione all’agevolazione.
3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.5, cod. prov. civ. Il fatto il cui esame sarebbe stato omesso dal Giudice di merito sarebbe costituito dalla circostanza che la revoca del credito di imposta era illegittima in quanto l’Amministrazione finanziaria non aveva comunicato alla Società, nei trenta giorni dalla presentazione dell’istanza del credito di imposta, che la domanda era viziata formalmente ma, al contrario, avendone comunicato l’ammissibilità, aveva impedito alla Società di ripresentare l’istanza scevra da errori in tempo utile.
4. Le medesime circostanze di fatto sono poste a fondamento del quarto motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 6, secondo comma, e 10 della legge n.212 del 2000 per avere la C.T.R. ritenuto legittimo l’atto di revoca.
5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art.360, primo comma, num.5 cod. proc. civ. La Società, premesso in fatto che l’impugnato provvedimento di revoca era nullo perché superato da una successiva comunicazione di accoglimento del medesimo credito di imposta (del 29 aprile 2009), a seguito di un’ulteriore istanza presentata dalla Società, in data 14.4.2009, in virtù della comunicata parziale indisponibilità del credito, lamenta che il Giudice di appello non abbia esaminato tale fatto decisivo per la nullità dell’atto di revoca.
5.1 Le censure possono esaminarsi congiuntamente in quanto connesse e sono infondate. Va, infatti, rigettato il secondo motivo. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. di recente Cass. n. 7090 del 2022, Cass. n. 22598 del 2018) l’obbligo di motivazione della sentenza riconducibile alla previsione di cui all’art. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ. è violato quando la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero ancora risulti del tutto inidonea ad assolvere la funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Nessuna evenienza del genere ricorre nel caso in esame. La sentenza impugnata, sia pure in forma sintetica ha preso in considerazione le doglianze avanzate in sede di appello, indicando in modo stringato ma rispettoso dei canoni di sufficienza le ragioni per le quali non le ha ritenute persuasive con riferimento alla revoca del credito di imposta.
5.2. Le ragioni sopra svolte comportano il rigetto anche del quinto motivo non evidenziandosi la decisività del fatto il cui esame viene dedotto omesso.
La circostanza che, successivamente alla revoca, oggi impugnata, l’Agenzia abbia effettuato altra comunicazione di accoglimento del medesimo credito di imposta la cui concessione era stata nuovamente richiesta dalla Società con nuova istanza, non appare decisiva, nell’accezione di cui al n. 5 del primo comma dell’art.360 cod. proc. civ.
Trattasi, invero, di comunicazione emessa a seguito di nuova e diversa istanza presentata dalla Società (dopo la revoca oggi impugnata) e, peraltro, come dato atto dalla stessa ricorrente, anche per tale comunicazione è intervenuto un atto di revoca (impugnato anch’esso dalla Società il cui giudizio pende innanzi a questa Corte).
5.3. Non meritevoli di accoglimento appaiono il terzo e il quarto motivo. Il terzo motivo è infondato, in quanto dal testo della motivazione impugnata appare evidente che la C.T.R. abbia tenuto presenti tutte le circostanze di fatto sottoposte al suo esame, laddove ha espressamente statuito che la norma (n.d.r. art.6, comma 2, dello Statuto del contribuente) era inapplicabile al caso di specie in cui la procedura è scandita da adempimenti da effettuarsi entro termini perentori che vincolano l’Amministrazione finanziaria alla adozione di un provvedimento che per la sua definitività non può essere preceduto da richieste di correzione o integrazione peraltro impossibili. E, ancora, che non sussisteva un legittimo affidamento avendo la contribuente inadempiuto alle disposizioni contenute nel decreto ministeriale, attuativo delle norme di cui all’art. 11 della legge n.244 del 2007, le quali avevano valore cogente e non meramente interpretativo.
5.4. Tali argomentazioni in diritto, costituenti la ratio decidendi posta a base della decisione impugnata, non vengono idoneamente attinte dal quarto motivo di ricorso il quale non si confronta espressamente con le argomentazioni svolte dalla C.T.R. Di contro, la sentenza impugnata appare in linea, con i principi già espressi in materia da questa Corte, in fattispecie analoga alla presente, secondo cui <<In tema di diritti e garanzie del contribuente, l’omissione della prescritta comunicazione <dell’avvio del procedimento volto ad addivenire alla revoca del credito d’imposta di cui alla l. n. 449 del 1997 per incrementi occupazionali determina l’invalidità del provvedimento adottato, per violazione del principio generale di cui all’art. 7 della l. n. 241 del 1990, qualora, senza quella irregolarità e sulla base delle allegazioni del contribuente, il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso>> > (cfr. Cass. n. 18450 del 21/09/2016).
6. In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato senza pronuncia sulle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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