CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 maggio 2019, n. 12659
Rapporto di lavoro – Mancata concessione del riposo giornaliero – Sussistenza degli illeciti amministrativi – Cumulo delle sanzioni
Rilevato che
1. la Corte d’ appello di Genova, con sentenza in data 11.11.2013, respingeva il gravame proposto dalla s.r.l. W.K.I. avverso la decisione del Tribunale di Genova che aveva accertato la sussistenza degli illeciti amministrativi di cui all’ordinanza opposta, con la quale era stato ingiunto alla società il pagamento, ex art. 18 bis d. Igs. 66/03, di importo a titolo di sanzione per non avere concesso ai lavoratori il prescritto periodo di riposo di almeno 24 ore ogni sette giorni, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero; la somma a titolo di sanzione irrogata di cui all’ordinanza ingiunzione opposta era stata ridotta dal Tribunale ad € 40.950,00;
2. secondo la Corte, la norma di riferimento, ossia il comma 4 dell’art. 18 bis del d. Igs. n. 66/2003, come novellato dal d.Igs. 213/2004, era da interpretare nel senso che, a fronte di più violazioni (illeciti che si consumavano con l’evento della mancata fruizione per un periodo superiore a 7 gg. di una giornata di riposo) si imponeva l’applicazione di più sanzioni (cumulo materiale);
3. quanto alla mancata indicazione nell’ordinanza ingiunzione della norma applicata ai fini dell’irrogazione della sanzione, veniva ritenuto che tale omissione non comportasse alcuna nullità dell’ordinanza ingiunzione; era esclusa, poi, la possibilità di farsi luogo all’applicazione dell’art. 8 I. 689/1981 in ragione della circostanza che nella specie si era trattato di una pluralità di violazioni e che, comunque, nessuna censura era stata formulata in relazione all’affermazione del Tribunale relativa all’impossibilità di applicare l’art. 8, comma 2, I. 689/1981, per essersi al di fuori della materia di previdenza ed assistenza;
4. di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a quattro motivi – illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. -, cui resiste, con controricorso, il Ministero.
Considerato che
1. con il primo motivo, è denunziata l’erroneità della motivazione su un elemento determinante, quale l’indicazione delle norme sanzionatorie, censurandosi la decisione nella parte in cui non ha ritenuto che fosse necessario indicare nell’ordinanza ingiunzione anche la norma sanzionatoria applicata;
2. con il secondo motivo, si lamentano violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa ed insufficiente motivazione in relazione alla ritenuta previsione di un meccanismo moltiplicatore della sanzione da parte di una norma che non prevedeva alcun meccanismo di tal genere (l’art. 18 bis del d. Igs. novellato cit. al comma 4 prevedeva, per la violazione ivi contemplata, la sanzione pecuniaria da € 105 a € 630), come desumibile dalla circostanza che la medesima norma, al comma 3, immediatamente precedente, prevedeva, invece, che la sanzione si applicasse “per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisce la violazione”; si sostiene che la Corte abbia applicato una disposizione che non era suscettibile di interpretazione analogica e che, come rilevabile dagli atti di causa, sia stata applicato il regime sanzionatorio previsto dalla normativa successiva (art. 41 del D. L 112/2008, conv. con legge n. 133 del 6 agosto 2008), che non poteva ritenersi applicabile al momento della redazione del verbale e dell’accertamento dei fatti;
3. con il terzo motivo, si ascrive alla decisione impugnata carenza di motivazione in relazione al vizio del procedimento amministrativo, per mancato assolvimento dell’onere di consentire al soggetto cui erano mossi gli addebiti di potere esercitare il proprio diritto di difesa;
4. con il quarto motivo, ci si duole dell’omessa motivazione su un fatto determinante, costituito dal godimento dei riposi, sul rilievo che la facoltà di accorpare due riposi doveva ritenersi consentita in relazione alla necessità di mantenere aperto il negozio anche la domenica, per essere lo stesso in località turistica;
5. in ordine logico vanno esaminati per primi il primo, il terzo e il quarto motivo;
6. il primo motivo, contenente una censura articolata senza un preciso riferimento alla disposizione che si ritiene violata e come tale inammissibile, si pone anche in contrasto con orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “in tema di violazioni amministrative, la mancata indicazione, nel verbale di accertamento della violazione notificato al trasgressore, della sanzione edittale da corrispondere non è di per sè causa di nullità della contestazione, non esistendo una previsione che ne impone la comunicazione al trasgressore e non risultandone menomato il diritto di difesa di questi, a condizione che nel verbale siano correttamente indicati non tanto il precetto violato quanto, soprattutto, la condotta materiale che ne integra la violazione” (cfr., ex aliis, Cass. 15.11.2011 n. 23860, Cass. 23.1.2007 n. 1412);
7. inammissibili sono, anche i motivi terzo, e quarto, in quanto il primo pone una questione nuova, preclusa nella presente sede di legittimità, e l’altro si fonda su considerazioni in fatto irrilevanti ai fini della violazione sanzionata che prescindono dalla circostanza, di per se sola rilevante ai fini dell’irrogazione della sanzione amministrativa, rappresentata dalla violazione della regola del riposo settimanale;
8. come si è detto, con il secondo motivo, si contesta l’avvenuta applicazione del “meccanismo moltiplicatore” della sanzione, effettuata dal Tribunale e confermata dalla Corte d’appello sulla base dell’interpretazione del comma 4 dell’art. 18-bis d. Igs. n. 66/2003, come novellato dal d. Igs. 213/2004 – che prevede per la violazione delle disposizioni previste dagli artt. 7, comma 1, e 9, comma 1, la sanzione amministrativa da 105 euro a 630 euro – secondo cui occorre tenere conto del numero degli illeciti commessi;
9. la ricorrente censura la suddetta interpretazione sul rilievo che la suindicata disposizione, a differenza di quanto previsto dal precedente comma 3 (La violazione delle disposizioni previste dagli articoli 4, comma 2, 3 e 4, e 10, comma 1, è punita con la sanzione amministrativa da 130 euro a 780 euro, per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisce la violazione) prevede una sanzione tra un minimo ed un massimo, ma non stabilisce di alcun meccanismo moltiplicatore;
10. deve essere sottolineato che la Corte d’appello ha escluso l’applicabilità sia del primo che del secondo comma dell’art. 8 l. 689/1981 per l’ipotesi di pluralità di illeciti datoriali in oggetto, in conformità al principio affermato da questa Corte, secondo cui “ai sensi dell’art. 8 l. 689/1981, l’istituto della continuazione in materia di violazioni amministrative si applica, in via generale, alla sola ipotesi in cui la pluralità di violazioni sia commessa con una sola azione od omissione, mentre nel caso esse siano commesse con più azioni od omissioni, detto istituto trova applicazione soltanto se si tratta di violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria (cfr. Cass. 16.12.2005 n. 27799);
11. tale principio risulta specificato laddove è stato ulteriormente chiarito che l’art. 8 della legge 24 novembre 1981, n. 689, pur prevedendo l’applicabilità dell’istituto del cosiddetto “cumulo giuridico” tra sanzioni nella sola ipotesi di concorso formale (omogeneo ed eterogeneo) tra le violazioni contestate- in cui con un’unica azione od omissione sono commesse violazioni plurime – non è, invece invocabile con riferimento alla diversa ipotesi di concorso materiale – in cui una pluralità di violazioni è commessa con più azioni od omissioni – atteso che la norma prevede espressamente tale possibilità soltanto per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza , né è applicabile in via analogica l’art. 81 cod. pen., stante la differenza morfologica tra illecito penale ed illecito amministrativo, anche alla luce del diverso atteggiarsi dei profili soggettivi relativi alle due patologie di illecito (v. Corte Cost. n. 421 del 1987)”;
12. è stato, inoltre, precisato che: “Né la regola dell’applicabilità del cumulo materiale muta per effetto dell’art. 6 del d.lgs. n. 758 del 1994, disposizione che, sanzionando la violazione dell’obbligo di concedere il riposo settimanale ai lavoratori, ha innovato la materia in senso sincronico, nel senso cioè che la sanzione non è più commisurata a ciascuna persona occupata nel lavoro alla quale la contravvenzione si riferisce, ma all’insieme del lavoratori, prevedendo sanzioni di diversa gravità per gruppi fino a cinque lavoratori o superiori a tale limite, nulla innovando in senso diacronico per le violazioni ripetute nel tempo rispetto ai principi stabiliti in tema di cumulo materiale e giuridico” (cfr. in tali termini, Cass. 6.10.2008 n. 24655, Cass. 13.10.2011 n. 21203, Cass. 3.5.2017 n. 10775);
13. è anche destituito di fondamento il profilo di censura secondo cui la Corte d’appello di Genova avrebbe avallato l’applicazione, da parte della Direzione Territoriale del Lavoro, di un regime sanzionatorio introdotto soltanto il 25 giugno 2008 e non applicabile, ratione temporis, a verbale del febbraio 2008 (art. 41 d. l. 112/2008, conv. in l. 133/2008 – comma 9: Il comma 4 dell’art. 18-bis del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 e sostituito dal seguente “4. La violazione delle disposizioni previste dall’art. 7, comma 1, e punito con la sanzione amministrativa da 25 euro 100 euro in relazione ad ogni singolo lavoratore e ad ogni singolo periodo di 24 ore”), visto che dalla sentenza impugnata risulta che di tale sopravvenienza non si è tenuto conto e tale affermazione non viene contestata specificamente dalla ricorrente;
14. deve essere però sottolineato che – pur essendo corretta l’applicazione del “cumulo materiale”, per quanto si è detto – tuttavia, al fine della determinazione delle sanzioni da cumulare, si deve tenere conto della modifica del quadro normativo conseguente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 153/2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del d. Igs. 8 aprile 2003 n. 66 (Attuazione delle Direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro) nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. f), del decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213; la ragione della declaratoria di incostituzionalità risiede nell’eccesso di delega, ex art. 76 Cost. (violazione dell’art. 2, comma 1, lett. c ), con riferimento alla legge di delega n.39 del 2002, la quale ha previsto come criterio direttivo in materia di sanzioni amministrative che, nel passaggio dal precedente al nuovo regime, in ogni caso “saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi”;
15. come è noto, una norma di cui sia stata dichiarata l’illegittimità costituzionale non può avere più applicazione dal momento di pubblicazione della relativa sentenza della Corte Costituzionale, purchè non si tratti di rapporti esauriti;
16. è pacifico che nel caso di specie il rapporto non sia ancora esaurito, essendo ancora sub iudice, e quindi non è preclusa l’applicazione dello ius superveniens, perché è ancora in corso la controversia sulla misura della sanzione e l’applicazione del decisum costituzionale va a vantaggio di chi ricorre, avendo la ricorrente W.K.I. s.r.I richiesto con il ricorso per cassazione che fosse ritenuta erronea in diritto la decisione sulle modalità di determinazione della sanzione adottata dal giudice del merito, che pure ne aveva diminuito l’importo di quella irrogata in sede amministrativa, nei fatti mirando ad ottenere una sanzione di importo inferiore;
17. pur non essendo da accogliere la richiesta inapplicabilità del “cumulo materiale” non si può però non tenere conto, ai fini della determinazione delle sanzioni da cumulare, della sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale suindicata, condividendosi l’indirizzo già espresso al riguardo proprio in tema di sanzioni amministrative per violazioni in materia di orario di lavoro, secondo cui, a seguito della caducazione dell’art. 18 bis, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 66 del 2003, per effetto della sentenza della Corte Cost. 4 giugno 2014 n. 153, per il principio della cd. reviviscenza normativa, trova applicazione la precedente disciplina sanzionatoria, di cui agli artt. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923 e 27 della I. n. 370 del 1934, già abrogata dalla disposizione dichiarata incostituzionale (Cfr. Cass. 9.11.2017 n. 26603);
18. a questa conclusione si è pervenuti ritenendo che su tale tematica (effetti della sentenza della Corte costituzionale su una disposizione di legge abrogativa di altra legge precedente), occorra dare continuità ad un principio di diritto già affermato da questa Corte secondo il quale, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge abrogativa di altra legge precedente, ridiventa operante la norma abrogata dalla disposizione dichiarata illegittima, in quanto, con la perdita fin dall’origine dell’efficacia della norma, vengono travolti anche gli effetti abrogativi che essa produceva, a differenza dell’abrogazione legislativa che opera soltanto dall’entrata in vigore del provvedimento che la contiene e che, quindi, salvo che sia espressamente disposto, non ha effetto ripristinatorio delle norme precedenti, che erano state a loro volta da esso abrogate (cfr. in tali termini Cass. 26603/2017 cit., che richiama, ex plurimis, Cass. n.3093 del 1989, Cass. n. 13813 del 2000, Cass. n. 13182 del 2010, Cass. n. 257 del 2012);
19. il richiamato principio della reviviscenza normativa, rende nella specie applicabile, nell’arco temporale disciplinato dall’abrogato art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003, della precedente disciplina ricavabile dal r.d.l. n. 692/23 e dalla legge n. 370/34 ai soli fini della determinazione delle sanzioni, senza che assuma alcun rilievo in contrario la circostanza che tale ultima disciplina è stata espressamente abrogata dall’art. 18-bis;
20. in sintesi, il primo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso vanno dichiarati inammissibili e, pronunciando sul secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, esclusivamente con riguardo a quest’ultimo motivo e nei limiti suindicati;
21. la Corte d’appello di Genova – alla quale, in diversa composizione, la causa deve essere rinviata – dovrà provvedere quindi a rideterminare l’importo della sanzione, in conformità alla normativa ricavabile dal r.d.l. n. 692/23 e dalla legge n. 370/34;
22. il giudice del rinvio dovrà provvedere, altresì, in ordine alle spese del giudizio di Cassazione;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili il primo, il terzo ed il quarto motivo; pronunciando sul secondo motivo di ricorso medesimo, cassa la sentenza impugnata con riguardo a quest’ultimo motivo e nei limiti indicati in motivazione, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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