CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 maggio 2021, n. 12735
Fallimento – Licenziamento – Saldo delle retribuzioni – Spettanze di fine rapporto – Domanda tardiva
Fatti di causa
1. – M.H. ha presentato domanda di insinuazione in privilegio nel passivo fallimentare della s.r.l. T.s.g. per crediti da lavoro dipendente.
Ha premesso di avere prestato la propria opera presso la società in veste di operaio, con inquadramento al terzo livello, fin dal 2008 e anche dopo l’avvenuta dichiarazione di fallimento di questa (come verificatasi nel giugno del 2015). Per chiedere, in particolare, il saldo delle retribuzioni per l’attività svolta nei mesi da luglio a settembre 2015 e per le spettanze di fine rapporto (TFR compreso).
2. – Il giudice delegato ha respinto la richiesta, perché la domanda era stata effettuata oltre il termine di scadenza fissato per le domande tardive.
M.H. ha presentato opposizione avanti al Tribunale di Vicenza.
3. – Con decreto depositato in data 29 maggio 2019, il Tribunale ha respinto la domanda.
Il giudice ha rilevato, in proposito, che la domanda «si debba qualificare come ultratardiva, atteso che è stata proposta oltre un anno dopo la chiusura dello stato passivo» e che, d’altro canto, il «lavoratore è stato avvisato dal curatore del suo licenziamento … sin dal 7.9.2015». Perciò – si è concluso – la stessa risulta infondata.
4. – Avverso questo provvedimento M.H. ha reagito proponendo ricorso per cassazione, che ha articolato in tre motivi.
Il Fallimento non ha svolto difese nel presente grado del giudizio.
Il ricorrente ha anche depositato memoria.
Ragioni della decisione
5. – Col primo motivo, il ricorrente assume violazione della norma dell’art. 99 legge fall.
II decreto impugnato apertamente violato questa disposizione – si assume -, «in quanto non ha nemmeno provveduto ad accogliere la sollevata eccezione di tardività della costituzione della curatela» nel giudizio di opposizione e, conseguentemente, della inammissibilità della produzione della lettera ci licenziamento, che è stata così introdotta.
6. – Il motivo è inammissibile.
Lo stesso difetta, infatti, del pur necessario requisito dell’autosufficienza ex art. 366 cod. proc. civ. Il ricorso non riproduce il tenore dell’eccezione che assume essere stata proposta; neppure indica gli atti in cui la stessa sarebbe stata presentata nel giudizio del merito.
7. – Col secondo motivo, il ricorrente assume violazione dell’art. 92 legge fall, «in combinato» con l’art. 2697 cod. civ., nonché omesso esame di fatto decisivo per l’esito del giudizio.
Dichiara in proposito il ricorrente di avere contestato, nel giudizio del merito, di avere effettivamente ricevuto la lettera di licenziamento e che, di conseguenza, era preciso onere del curatore provare siffatta circostanza. Il curatore, per contro, non ha prodotto l’avviso di ricevimento della lettera in questione.
8. – Il motivo è infondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la «produzione in giudizio di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull’ordinaria regolarità del servizio postale» (cfr. Cass., 11 gennaio 2019, n. 511; Cass., 12 ottobre 2017, n. 24015; Cass., 20 giugno 2011, n. 13488).
9. – Col terzo motivo, il ricorrente assume violazione dell’art. 101 legge fall., nonché omesso esame di fatto decisivo per l’esito del giudizio.
«I crediti azionati dal ricorrente» – così si puntualizza – sono retribuzioni sopravvenute al fallimento della datrice (dichiarato il 7/6/2015), trattandosi delle retribuzioni da luglio a settembre 2015 e delle spettanze di fine rapporto». Il Tribunale ha completamente omesso l’esame di questa circostanza: secondo quanto per contro avrebbe dovuto fare, posto che per i crediti maturati dopo la dichiarazione del fallimento non trova applicazione la norma dell’art. 101 legge fall.
10. – Il motivo è fondato, secondo i termini che si vengono a esporre.
La giurisprudenza di questa Corte ha invero chiarito che l’«insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare non è soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 101, comma 1 e 4 legge fall.; tale insinuazione, tuttavia, incontra un limite temporale da individuarsi – in coerenza e armonia con l’intero sistema di insinuazione che è attualmente in essere e sulla scorta dei principi costituzionali di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui all’art. 24 Cost. – nel termine di un anno, espressivo dell’attuale sistema in materia, decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare» (cfr., in particolare, Cass., 10 luglio 2019, n. 18544; Cass. 17 febbraio 2010, n. 3872).
Segue all’applicazione dei principi così espressi, che il motivo di ricorso va accolto con riferimento al credito relativo alle spettanze di fine rapporto (sul tema si veda, in specie, Cass., 21 maggio 2004, n. 9748), ma non anche per i crediti legati alle retribuzioni delle prestazioni lavorative, pur effettuate dopo la dichiarazione di fallimento.
11. – In conclusione, è da accogliere il terzo motivo di ricorso, nei limiti appena sopra precisati, dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso e respinto il secondo motivo.
Di conseguenza, il decreto impugnato va cassato, per quanto di ragione, e la controversia rinviata al Tribunale di Vicenza che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie in terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, rigettati gli atri motivo di ricorso. Cassa di conseguenza, il decreto impugnato e rinvia la controversia al Tribunale di Vicenza che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.
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