CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 marzo 2019, n. 7102
Tributi – IVA – Premio fedeltà al concessionario – Assenza di un obbligo contrattuale di fare, non fare o permettere – Operazione fuori campo IVA – Addebito IVA illegittimo – Conseguente illegittimità della detrazione
Fatti di causa
1. La CTR della Lombardia rigettava il gravame interposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Milano di accoglimento del ricorso di P.R.S. TV s.r.l. (concessionaria per la vendita di spazi pubblicitari; di seguito P.R.S.) contro l’avviso di accertamento notificatole il 21 marzo 2008, emesso a seguito di verifica fiscale effettuata nei confronti di A. M. Italia s.p.a. (cd. centro media, svolgente attività di consulenza nel settore pubblicitario; di seguito A.), con il quale si contestava a P.R.S. di avere, nell’anno di imposta 2003, indebitamente detratto l’IVA pari ad euro 23.826,27 addebitata su una fattura emessa da A. per “premio fedeltà”, qualificato dall’amministrazione finanziaria come cessione di denaro a titolo gratuito cui non corrispondeva a carico della beneficiaria A. alcun obbligo contrattuale di fare, non fare o permettere e, come tale, fuori campo IVA ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
2. La CTR riteneva, in base ad un’interpretazione estensiva dell’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, che nella specie rilevava la sussistenza di un’operazione di scambio tra due soggetti e che non ricorreva una “cessione di denaro” (tale essendo la situazione in cui il denaro è considerato come “bene” oggetto di cessione), sicché la natura di prestazione di servizi dell’operazione ed il conseguente addebito dell’IVA da parte di A. a P.R.S. rendeva detraibile il tributo.
3. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate con un unico motivo, cui replica P.R.S. con controricorso illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
4. Preliminarmente, deve disattendersi l’eccezione di tardività del ricorso.
4.1. La stessa ricorrente Agenzia delle Entrate fa presente, in esordio, di aver notificato il ricorso «in data 7 febbraio 2012 (e non in data 6 febbraio 2012), in conseguenza della chiusura di tutti gli Uffici Pubblici di Roma Capitale, ivi inclusi gli uffici giudiziari, disposta per il giorno 6 febbraio 2012 dal Prefetto di Roma, con ordinanza del 4 febbraio 2012, prot. 20962/2012/Gab.».
In effetti, essendo stata depositata la sentenza impugnata (non notificata) il 20 dicembre 2010, il termine annuale ex artt. 327, comma 1, c.p.c. e 1, comma 1, della legge 7 ottobre 1969, n. 742 (nel testo vigente ratione temporis) andava a scadere il giorno lunedì 6 febbraio 2012; come si evince dalla relata, la notificazione del ricorso è stata tuttavia effettuata a P.R.S. a mezzo di Poste Italiane s.p.a. – servizio integrato notifiche di Roma con raccomandata a.r. il 7 febbraio 2012.
Deduce P.R.S. unicamente essere inconferente il richiamo all’ordinanza prefettizia poiché gli uffici postali non rientrerebbero nell’ambito di operatività dell’ordinanza medesima, in quanto la chiusura di tali uffici potrebbe essere disposta soltanto da Poste Italiane, né la ricorrente avrebbe provato la chiusura degli uffici; soggiunge che il termine cd. lungo scadeva il 4 febbraio 2012, giorno non interessato da provvedimenti di chiusura al pari del 6 febbraio 2012.
4.2. Le argomentazioni della controricorrente non possono condividersi. Quanto infatti alla scadenza del 4 febbraio 2012, va osservato che il detto giorno cadeva di sabato, donde la proroga al successivo lunedì 6 febbraio – primo giorno seguente non festivo – ai sensi dell’art. 155, comma 5, c.p.c., aggiunto dall’art. 2, comma 1, lett. f), della legge 28 dicembre 2005, n. 263 (così Sez. 6-5, 31 maggio 2016, n. 11269, che precisa altresì essere irrilevante l’apertura degli uffici postali o la disponibilità ad accettare gli atti in scadenza l’ultimo giorno; si v. inoltre Sez. 6-1, 12 gennaio 2016, n. 310 sull’applicabilità della proroga sia ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006, sia a quelli già pendenti a tale data in forza dell’art. 58, comma 3, della legge 18 giugno 2009, n. 69 purché non ancora scaduti dopo la sua entrata in vigore il 4 luglio 2009). Quanto al 6 febbraio 2012, l’ordinanza prefettizia ha invero prorogato proprio al detto giorno la chiusura degli uffici pubblici romani, già disposta con precedente ordinanza per il 3 e 4 febbraio 2012.
4.3. Venendo quindi all’argomento principale speso dalla controricorrente (irrilevanza dell’invocata ordinanza prefettizia, non rientrando gli uffici postali nel novero dei “pubblici uffici” oggetto del provvedimento del rappresentante del Governo), esso non ha pregio poiché non considera la natura di pubblico servizio del servizio postale universale, all’epoca esercitato in esclusiva da Poste Italiane (si v. Sez. 6-5, 11 ottobre 2017, n. 23887 e Sez. 6-5, 30 settembre 2016, n. 19467 per la ricostruzione del sistema prima e dopo il 2017, con la liberalizzazione dei servizi postali e la concessione di nuove licenze a privati, fermo l’affidamento a Poste Italiane in via esclusiva, per esigenze di ordine pubblico, delle notificazioni a mezzo posta degli atti giudiziari con conseguente inesistenza delle notificazioni a mezzo del servizio postale privato). Infatti, secondo Sez. U, 29 maggio 2017, n. 13452 (in motivazione), «Nonostante la trasformazione in società per azioni dell’Ente Poste, permane tuttora in capo all’agente postale l’esercizio di poteri certificativi propriamente inerenti a un pubblico servizio, a ragione della connotazione pubblicistica della disciplina normativa che continua a disciplinarlo e del perseguimento di connesse finalità pubbliche. Infatti prevale, ai fini della qualifica di pubblico ufficiale in capo all’agente, il criterio oggettivo-funzionale di cui agli artt. 357 e 358 cod. pen. in riferimento alia natura del servizio postale esercitato (Cass. pen., 27.3.2003, n. 25509, Rapanà, Rv. 224982; conf. Cass. pen., 14.12.1999, n. 3282, Ferrara)». Non può pertanto dubitarsi della riconducibilità, secondo un criterio funzionale, degli uffici postali agli uffici pubblici interessati dal provvedimento prefettizio di chiusura a causa dell’emergenza neve verificatasi in Roma e nella relativa provincia nei primi giorni del mese di febbraio 2012, ciò che è sufficiente a ritenere sussistente e giustificato l’impedimento al tempestivo compimento degli adempimenti notificatori in discorso allegato da parte ricorrente.
5. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 3, e 3, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972: sostiene la ricorrente che il centro media (A.) era obbligato contrattualmente soltanto nei confronti degli inserzionisti, con i quali aveva stipulato contratti di mandato, con o senza rappresentanza, e non già nei confronti delle società concessionarie della pubblicità (nella specie, P.R.S.), con la conseguenza che, in assenza di un’obbligazione di fare da parte del centro media o di una sua prestazione di servizio, non provata dalla società contribuente, cui incombeva il relativo onere, e della corresponsione di un corrispettivo, ma solo di un premio avente finalità di fidelizzazione del centro media alla concessionaria della pubblicità, i «premi impegnativa» vanno inquadrati nello schema delle attribuzioni patrimoniali a titolo gratuito, il cui referente giuridico va individuato nel contratto con obbligazioni a carico del solo proponente (nella specie, la concessionaria P.R.S.), di cui all’art. 1333 c.c., ed in quanto tale escluso dall’ambito di applicazione dell’IVA.
5.1. Deve premettersi che non può essere condivisa l’ulteriore eccezione di inammissibilità del mezzo, per vero svolta da P.R.S. soltanto in memoria: si sostiene che l’Agenzia delle Entrate si è limitata a denunciare il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, mentre avrebbe dovuto attaccare la motivazione della sentenza impugnata, come ritenuto dalla Sezione in altro consimile caso (si cita a tal fine, riportandone stralci, Sez. 5, 2 agosto 2017, n. 19186).
Il precedente invocato non è in termini. La ricorrente ha congruamente investito la sentenza sotto il profilo del n. 3) dell’art. 360 c.p.c. proprio in quanto la CTR ha fondato la propria decisione su un’interpretazione estensiva dell’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, ritenendo che la norma non presupponga l’esistenza di uno dei contratti tipici ivi elencati, né di un contratto a prestazioni corrispettive e nemmeno che la fonte dell’obbligazione che ha per contenuto la prestazione di servizi imponibile sia contrattuale, essendo sufficiente un’operazione di scambio, che comporti un onere per il soggetto ricevente, non esclusa o esentata espressamente dall’applicazione del tributo, ché anzi la CTR espressamente si è astenuta dall’inquadrare giuridicamente il rapporto tra A. e P.R.S. (p. 4 della sentenza).
5.2. Ciò chiarito, il motivo è fondato, in adesione all’indirizzo di legittimità – consolidatosi con numerose pronunce, alcune delle quali rese anche nei confronti della controricorrente nei suoi rapporti con A. (Sez. 5, 9 agosto 2017, n. 19832 e Sez. 5, 4 agosto 2017, n. 19557) – che deve essere qui ribadito non sussistendo valide ragioni per discostarsene.
5.3. Occorre premettere che, concernendo la detrazione l’imposta assolta in quanto dovuta, non è possibile esercitare il diritto di detrazione allorquando non ne esistono i presupposti per impossibilità giuridica del suo oggetto. Ora, se da un lato questa Corte (Sez. 5, 5 settembre 2014, n. 18764) ha sottolineato che è di per sé irrilevante la circostanza che sia stato corrisposto un tributo, in quanto il contribuente ha l’obbligo di corrispondere l’imposta prevista dalla legge e non quella scelta in base a considerazioni soggettive, dall’altro la Corte di Giustizia ha precisato che i principi di neutralità fiscale, di proporzionalità e del legittimo affidamento rinvenibili nel sistema comune dell’IVA devono essere interpretati nel senso che non ostano a che il destinatario di una fattura si veda negare il diritto a detrarre l’IVA a monte a causa dell’assenza di un’operazione imponibile effettiva, e ciò al fine di eliminare alla radice il rischio di perdita di gettito fiscale; né tali principi ostano ad una valutazione differente della necessità dell’effettiva sussistenza di una cessione di beni o di una prestazione di servizi per quanto riguarda l’emittente la fattura e il destinatario di questa (CGUE, 31 gennaio 2013, C-643/11, LVK-56 EOOD, e 31 gennaio 2013, C-642/11, Stroy trans EOOD; in termini, Sez. 5, 23 giugno 2017, n. 15686).
5.4. Per accertare quando un’operazione può considerarsi imponibile devono dunque essere interpretate le disposizioni dettate in materia, partendo dall’art. 2, par. 1, lett. c), della cd. sesta direttiva (direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 e succ. modif.), secondo cui «sono soggette all’imposta sul valore aggiunto: 1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale», e dall’art. 6, par. 1, secondo cui «si considera “prestazione di servizi” ogni operazione che non costituisce cessione di un bene ai sensi dell’articolo 5»
5.5. Orbene, l’utilizzo del termine “operazione” da parte del legislatore unionale per definire le “prestazioni di servizi” ha indotto la Corte di Giustizia a ritenere che il criterio fondamentale per l’applicazione del sistema comune dell’IVA, destinato a prevalere anche sul testo dei contratti, è «la valutazione della realtà economica e commerciale», precisando che «dato che la situazione contrattuale riflette, di norma, l’effettività economica e commerciale delle operazioni, ed allo scopo di rispettare le esigenze di certezza del diritto, le clausole contrattuali rilevanti costituiscono un elemento da prendere in considerazione quando occorre identificare il prestatore e il destinatario nell’ambito di un’operazione di “prestazione di servizi” ai sensi degli articoli 2, punto 1, e 6, paragrafo 1, della sesta direttiva» (CGUE, 20 giugno 2014, C-653/11, Commissioners Her Majesty’s Revenue and Customs c. Newey, punti 42 e 43; 7 ottobre 2010, C- 53/09 e C-55/09, Loyalty Management UK e Baxi Group).
5.6. Quanto poi al concetto di “onerosità”, la Corte di Giustizia ha precisato che «la possibilità di qualificare una prestazione di servizi come operazione a titolo oneroso presuppone unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra tale prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo (…) Tale nesso diretto esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario» (CGUE, 26 settembre 2013, C-283/12, Serebtyannay vek, punto 37; 10 giugno 2014, C-653/11, Commissioners cit., punto 40; 27 marzo 2014, C- 151713, Le Rayon d’Or, punto 29).
5.7. Questa nozione di prestazione di servizi, in cui l’assoggettabilità all’IVA (con conseguente insorgenza del diritto a detrazione) è subordinata all’esistenza di prestazioni sinallagmatiche caratterizzanti il rapporto giuridico tra i soggetti coinvolti nell’operazione, si rinviene anche nel diritto interno, «giacché secondo il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 3 “costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da…”. La prospettiva della “realtà economica e commerciale” induce dunque ad aver riguardo precipuo all’operazione, ma comporta comunque la necessità dell’esistenza del nesso corrispettivo tra prestazione e compenso» (Sez. 5, 23 giugno 2017, n. 15683 e Sez. 5, 9 giugno 2017, n. 14406, che richiamano Sez. U, 15 marzo 2016, n. 5078 sulla necessaria sinallagmaticità delle prestazioni di servizi, per la loro imponibilità ai fini dell’IVA).
5.8. Ha dunque osservato la Sezione in più occasioni (si v., tra le tante, le già citate Sez. 5, nn. 15683/2017 e 14406/2017) che risalta dunque, anche in questa prospettiva, la forza qualificante della corrispettività e non della mera onerosità, che si traduce nella correlatività assicurata dallo scambio; scambio, che, ai fini dell’IVA, non necessariamente dev’essere lucrativo, essendo indifferente il risultato dell’operazione economica (CGUE, 22 giugno 2016, C-267/15, Gemeente Woerden, punto 40, a proposito della pattuizione di un prezzo inferiore ai costi sostenuti). Lo scambio pretende: a) la configurabilità di un rapporto giuridico da cui scaturiscano le attribuzioni patrimoniali; b) la reciprocità delle attribuzioni, data dalla sussistenza di un nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario ed il compenso da costui corrisposto. Giova rimarcare che il fatto generatore dell’IVA e, dunque, l’insorgenza della correlativa imponibilità, vanno identificati con la materiale esecuzione della prestazione, di modo che il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3, a norma del quale “le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo”, va inteso nel senso che il conseguimento del compenso coincide non con l’evento generatore del tributo, bensì, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, soltanto con la sua condizione di esigibilità, estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione (Sez. U, 21 aprile 2016, n. 8059). Posto che il pagamento del corrispettivo non è essenziale al riscontro del carattere oneroso che l’operazione deve assumere per costituire presupposto dell’imposta, è alla fase esecutiva del rapporto giuridico che bisogna aver riguardo. Occorre quindi non soltanto la prova che da tale rapporto siano originate le attribuzioni reciproche, ma anche che il compenso sia convenuto come «corrispettivo di un servizio individualizzabile fornito nell’ambito di un siffatto rapporto giuridico» (così CGUE, 18 gennaio 2017, C-37/16, Minister Finansow c. Stowarzyszenie Artystow Wykonawcow Utworow Muzycznych / Siowno-Muzycznych SAWP (SAWP), punto 27). Di contro, il carattere incerto della stessa esistenza di un compenso a fronte del singolo, individuabile servizio spezza il nesso diretto che tra essi deve sussistere, necessario per l’assoggettabilità ad IVA della prestazione di servizi (v., per analogia, CGUE 3 marzo 1994, C-16/93, Tolsma, punto 19, e 27 settembre 2001, C-16/00, Cibo Participations). Occorre, per conseguenza, che ogni prestazione sia fronteggiata da un corrispettivo diretto ad essa interrelato e, in mancanza di tale interrelazione, in cui si risolve lo scambio, non vi è base imponibile e tali prestazioni non sono, quindi, soggette all’IVA (tra le varie, CGUE, 11 giugno 2016, C- 11/15, Cesky’ rozhlas, punto 20).
5.9. Applicati detti principi al caso in esame, deve pervenirsi – come per altri casi del tutto analoghi esaminati dalla Sezione – alla conclusione che non sussiste il presupposto impositivo individuato dall’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972 in una prestazione di servizio “verso corrispettivo” dipendente da un contratto od altro titolo idoneo a vincolare obbligatoriamente le parti: all’obbligazione unilaterale di corrispondere un “premio”, assunta dalla società concessionaria per la pubblicità alla condizione del verificarsi di un evento futuro ed incerto (ovvero, il raggiungimento di un fatturato superiore ad un ammontare determinato), infatti, non corrisponde alcuna assunzione di un’obbligazione di facere (o comunque avente ad oggetto una prestazione di servizi) a carico del soggetto destinatario del premio (ovvero, il centro media), restando questo del tutto libero di attivarsi o meno per conseguirlo, posto che la mancata realizzazione del risultato o il mancato procacciamento di clienti o, ancora, il mancato svolgimento dell’attività di intermediazione non integrava a carico di A. una responsabilità per inadempimento contrattuale (Sez. 5, 4 dicembre 2015, n. 24789; Sez. 5, 2 dicembre 2015, n. 24510; Sez. 5, 25 luglio 2014, n. 17021).
5.10. Il negozio intercorso tra le parti, più specificamente, deve essere qualificato come proposta contrattuale con obbligazioni a carico di una sola parte, sottoposta alla condizione sospensiva dell’avveramento dell’evento indicato (realizzazione di un determinato fatturato), non ostandovi la nullità prevista dall’art. 1355 c.c. concernente l’apposizione della condizione sospensiva meramente potestativa, perché il verificarsi dell’evento non è rimesso alla volontà “mera” di una delle parti contraenti, ma è rimesso ad un soggetto (il destinatario della proposta) che non riveste attualmente, al momento della ricezione della proposta irrevocabile ex art. 1333 c.c., la qualità di parte contraente-obbligata all’adempimento di una prestazione, ma soltanto quella di oblato, cui è rimessa la scelta di impedire la conclusione del contratto unilaterale mediante comunicazione del proprio rifiuto ai sensi della citata disposizione civilistica (nei medesimi sensi, da ultimo, Sez. 5, 9 marzo 2018, n. 5721).
5.11. In buona sostanza, quello in esame deve essere qualificato come un contratto atipico non sinallagmatico che neppure in conseguenza dell’avveramento dell’evento si trasforma in un contratto a prestazioni corrispettive a titolo oneroso, in quanto il risultato del raggiungimento di un determinato fatturato mediante l’attività svolta dal centro media è stato dedotto in contratto come condizione e non come obbligazione (così anche Sez. 5, n. 5721/2018 cit.).
5.12. Il premio, pertanto, non può essere qualificato come corrispettivo ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972 e va piuttosto configurato come mera cessione di denaro, non assoggettabile ad IVA ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), del citato decreto (ancora in tal senso Sez. 5, n. 5721/2018 cit.).
5.13. A quanto detto deve, da ultimo, aggiungersi che l’operazione qui in esame neppure può essere ricompresa tra quelle “prestazioni di servizi a titolo gratuito” che l’art. 6, par. 2, lett. b), della sesta direttiva assimila alle prestazioni di servizio a titolo oneroso, richiedendo la norma che le prestazioni siano «effettuate dal soggetto passivo per il proprio uso privato o ad uso del suo personale o, più generalmente, per fini estranei alla sua impresa», che sono circostanze qui insussistenti.
5.14. Erronea si palesa pertanto la sentenza impugnata laddove, nell’offrire una non corretta lettura delle norme interne e unionali, non in linea con i canoni ermeneutici fissati dalla Corte di Giustizia e da questa Corte di legittimità, nega ógni rilievo all’elemento della corrispettività giungendo ad affermare un insussistente – e comunque non altrimenti qualificato – “onere” che graverebbe sul “soggetto ricevente” la prestazione, a prescindere da una precedente assunzione di obblighi da parte di A..
6. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, dal che consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla CTR della Lombardia che, in diversa composizione, si atterrà ai suesposti principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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