CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 novembre 2018, n. 29105
Dichiarazioni fiscali – Accertamento – Imposte sui redditi di impresa – Regime contabile – Ricorso per Cassazione – Procedimento – Contenzioso tributario
Rilevato che
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale del Lazio sez. staccata di Latina ha accolto l’appello della contribuente;
– in dettaglio, la CTR ha annullato l’atto impugnato ritenendo insufficiente la motivazione della sentenza della CTP e, nel merito, fondato il ricorso della contribuente, la quale ha – secondo il giudice del gravame-dimostrato l’invio regolare della dichiarazione reddituale e IVA e fornito tutta la documentazione alla cui tenuta era obbligata, dalla quale si evince il difetto di prova della maggior pretesa tributaria;
– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi. La contribuente resiste con controricorso e ha presentato ricorso incidentale articolato su due motivi;
Considerato che
– è necessario esaminare preliminarmente il primo motivo del controricorso, diretto a ottenere la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione in quanto tardivo, poiché il termine di scadenza spirava il 14 maggio 2011 e l’atto risulta consegnato all’UU.GG. per la notifica il 16 maggio 2011; esso è infondato, dal momento che il 14 maggio 2011 era giorno di sabato, e conseguentemente il termine scadente in quella data è posticipato al primo giorno non feriale; il ricorso per cassazione è quindi tempestivo;
– ragioni di speditezza inducono inoltre a prendere subito in esame gli ulteriori motivi della contribuente, svolti in sede di ricorso incidentale;
– il primo motivo di ricorso incidentale della contribuente denuncia la omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio
– in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.; il motivo è inammissibile, per difetto di interesse, essendo risultata – sul punto – la controricorrente vittoriosa in secondo grado; è inoltre anche infondato, dal momento che la CTR ha ritenuto, con valutazione di fatto insindacabile in questa sede, che la contribuente abbia fornito la prova dell’invio regolare della dichiarazione;
– il secondo motivo di controricorso, relativo alla violazione dell’art. 15 del d.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 92 c.p.c. in relazione entrambi all’art. 360 c. 1 n, 3 c.p.c., alla luce anche della recente sentenza Corte cost. n. 77/2018, è assorbito nel rigetto del primo, oltre che comunque infondato, avendo il giudice delle leggi ampliato le fattispecie che consentono la compensazione delle spese di giudizio;
– venendo ora all’esame del ricorso, si osserva che con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione Finanziaria denuncia violazione dell’art. 57 del d. Lgs. N. 546/1992 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per avere il secondo giudice illegittimamente dato ingresso e valutato in sede di appello la nuova eccezione (non formulata in primo grado) relativa all’insussistenza del presupposto dell’accertamento induttivo di cui all’art. 39 c. 2 lett. D) del d.P.R. n. 600/1973, e all’erroneità della metodologia utilizzata dall’ufficio per rideterminare l’imponibile; il motivo – relativo invero a vizio del procedimento rilevabile l’ufficio – è infondato;
– infatti, dalla semplice lettura del ricorso introduttivo del contribuente (trascritto nel ricorso per cassazione del Fisco ai fini dell’autosufficienza dell’impugnazione) si evince come le eccezioni formulate in appello relative al difetto dei presupposti del l’accerta mento induttivo, alla congruità e coerenza della ricorrente agli studi di settore, alla mancata indicazione e giustificazione dei criteri per determinare l’utile, e ai calcoli errati, siano stati invero meglio espressi in seconde cure; in primo grado peraltro, l’eccezione in ricorso relativa alla presentazione della dichiarazione (che si sosteneva regolare) consisteva in sostanza nella contestazione dell’esistenza dei presupposti per l’accertamento della tipologia utilizzata dal Fisco, oltre a introdurre nel giudizio anche l’ulteriore eccezione relativa alla motivazione infondata dell’avviso di accertamento;
– con il secondo motivo di ricorso, in via di subordine, l’Erario censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 9 del D. L. 69 del 1989 come convertito nella L. 154 del 1989 e conseguente violazione degli artt. 39 c.2 lett. D) del d.P.R. n. 600/1973 e 55 del d.P.R. n.- 633/1972 tutti in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere erroneamente la CTR ritenuto che l’omessa tenuta del prospetto analitico delle rimanenze, per la contribuente, non fosse rilevante in quanto la stessa, soggetto la cui contabilità poteva tenersi in contabilità semplificata, non aveva l’obbligo di tenere detta scrittura contabile; il motivo è fondato;
– la disposizione in esame, rubricata “Scritture contabili delle imprese in regime di contabilità semplificata”, in vigore dal 30/04/1989 prevede che “i soggetti che, ai fini della determinazione del reddito di impresa, sono ammessi al regime di contabilità semplificata e che non hanno optato per il regime ordinario devono annotare nei registri tenuti ai sensi dell’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600: ….b) entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, le annotazioni rilevanti ai fini della determinazione del reddito nonché il valore delle rimanenze, indicando distintamente per queste ultime le quantità e i valori per singole categorie di beni, in giacenza alla fine dell’esercizio, previste dagli articoli 59 e 61 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, con l’indicazione dei criteri seguiti per la valutazione; la distinta indicazione delle quantità e dei valori, nonché dei criteri di valutazione, può essere effettuata, entro il medesimo termine, in apposito prospetto di dettaglio”;
– Le disposizioni di riferimento, dapprima, sul piano generale, sono l’art. 13 e l’art. 14 d.P.R. n. 600/1973, che enunciano l’obbligo di tenuta delle scritture contabili per tutti gli imprenditori, incluse quelle relative agli inventari; in particolare trova applicazione anche all’imprenditore individuale, come il contribuente controricorrente, la lett. D) dell’art. 14 sopra richiamato, che fa riferimento a “d) scritture ausiliarie di magazzino, tenute in forma sistematica e secondo norme di ordinata contabilità, dirette a seguire le variazioni intervenute tra le consistenze negli inventari annuali. Nelle scritture devono essere registrate le quantità entrate ed uscite delle merci destinate alla vendita; dei semilavorati, se distintamente classificati in inventario, esclusi i prodotti in corso di lavorazione; dei prodotti finiti nonché delle materie prime e degli altri beni destinati ad essere in essi fisicamente incorporati; degli imballaggi utilizzati per il confezionamento dei singoli prodotti; delle materie prime tipicamente consumate nella fase produttiva dei servizi, nonché delle materie prime e degli altri beni incorporati durante la lavorazione dei beni del committente”;
– Con riferimento al caso che ci occupa, la disposizione della quale fare applicazione è anche l’art. 18 del d.P.R. n. 600/1973, rubricato “Contabilità semplificata per le imprese minori” il quale nel testo in vigore dal 01/01/1992, come modificato dalla Legge del 30/12/1991 n. 413 Articolo 4, prevede che le disposizioni dei precedenti articoli si applicano anche ai soggetti che, a norma del codice civile, non sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili di cui allo stesso codice. Tuttavia i soggetti indicati alle lettere c) e d) del primo comma dell’art. 13, qualora i ricavi di cui all’art. 53 del testo unico dell’imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, conseguiti in un anno non abbiano superato l’ammontare di lire trecentosessanta milioni per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi, ovvero di lire un miliardo per le imprese aventi per oggetto altre attività, sono esonerati per l’anno successivo dalla tenuta delle scritture contabili prescritte dai precedenti articoli, salvi gli obblighi di tenuta delle scritture previste da disposizioni diverse del presente decreto. I soggetti che fruiscono dell’esonero, entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale, devono indicare nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto il valore delle rimanenze”;
– Orbene, sul punto questa Corte ha precisato (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 8907 del 11/04/2018) come in tema di imposte sui redditi di impresa, anche le imprese minori, che fruiscono del regime di contabilità semplificata, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 600 del 1973, devono indicare ogni anno nel registro degli acquisti, tenuto ai fini IVA, il valore delle rimanenze, senza limitarsi ad annotare quello globale, ma distinguendo i beni per categorie omogenee, del medesimo tipo e della stessa quantità, secondo la disciplina tributaria della valutazione delle rimanenze dettata dall’art. 62 del d.P.R. n. 597 del 1973;
– Pertanto, non risulta sufficiente la mera enunciazione nelle scritture contabili, come nella dichiarazione, ove detta enunciazione deve esser riportato, il valore globale di esse; è necessaria la specificazione, sia pur non particolarmente analitica, delle rimanenze, che ne consenta il controllo da parte dell’Amministrazione Finanziaria in quanto distinta per categorie omogenee di beni;
-Sul punto, questa Corte ha ritenuto (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15863 del 14/12/2001) che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in caso di omessa redazione dell’inventario di inizio e fine esercizio (alla quale non può sopperire la compilazione del prospetto delle attività e delle passività di cui all’art. 10, comma quinto, del D.L. 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, nella legge 27 aprile 1989, n. 154), ovvero anche, in assenza delle scritture ausiliarie sui reali movimenti di beni per la rivendita nell’anno, comprovanti costi e prezzi di vendita delle merci, l’ufficio può procedere ad accertamento induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del secondo comma dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ricorrendo a presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 cod. civ. e a fatti noti all’ufficio, come i ricarichi medi per categorie omogenee di merci vendute nell’anno;
– Ancora, si è ulteriormente precisato che (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9946 del 23/06/2003) proprio in tema di imposte sui redditi di impresa minore, perché sia legittima l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, del criterio induttivo di cui all’art. 39, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, non basta il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella risultante da uno studio di settore, ma occorre che risulti qualche elemento ulteriore incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione; e in quel caso in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto legittima l’applicazione del metodo induttivo in considerazione del fatto che il contribuente, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in contestazione, aveva omesso di indicare il valore delle rimanenze di esercizio e non aveva mai assolto all’incombente di esibire il relativo prospetto, alla cui tenuta sono obbligate anche le imprese soggette a contabilità semplificate;
– Nel presente caso, infatti, neppure risulta che – su richiesta dell’Amministrazione – il contribuente abbia redatto ed esibito tal prospetto ai verificatori, come ben poteva;
– Invero, è chiaro – ma va qui opportunamente precisato – che la motivazione di tal dettaglio delle rimanenze non può divenire vincolo di assoluta analiticità, variando l’analiticità della distinzione in categorie in forza di svariati elementi, che possono mutare caso per caso a seconda dell’impresa e dei beni, e il cui sindacato non può esser operato in modo apodittico dall’Ufficio ma solo in forza di specifiche ragioni da comprovarsi in fatto e da motivarsi analiticamente e logicamente nell’avviso di accertamento;
– L’Erario quindi certo non poteva ritenere in via discrezionale, non sussistendo stringenti e analitiche indicazioni in atti legislativi o regolamentari, insoddisfacente la distinzione in categorie, ma certamente poteva richiedere la documentazione dalla quale le rimanenze risultavano raggruppate per categorie; è pacifico in atti che tal raggruppamento non sia stato in concreto – neppure in forma minimale – adottato dalla contribuente;
-non sarà inutile al riguardo rimarcare, in conclusione, che ai sensi dell’art. 1, lett. d), (inattendibilità della contabilità degli esercenti attività d’impresa) del d.P.R. 16 settembre 1996, n. 570 (Regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile, relativamente agli esercenti attività d’impresa, arti e professioni), le irregolarità delle scritture obbligatorie degli esercenti attività d’impresa si considerano gravi e rendono inattendibile la contabilità ordinaria di tali soggetti, quando, fra l’altro, «i criteri adottati per la valutazione delle rimanenze non sono indicati nella nota integrativa o nel libro degli inventari»; nel caso che ci occupa risulta dagli atti che tal indicazione, come già detto, è presente unicamente nella dichiarazione;
– Peraltro, il motivo non coglie del tutto la ratio decidendi della sentenza impugnata, che appare in ogni caso meritevole di cassazione alla luce del terzo motivo di ricorso;
– È vero infatti che, indipendentemente dall’errore di diritto in cui è incorsa la CTR come sopra illustrato, la CTR stessa ha evidentemente del tutto omesso di motivare in ordine al rigetto delle ragioni del Fisco con riferimento a numerose altre riprese a tassazione;
– Con il terzo motivo di ricorso, infatti, l’Erario censura la sentenza impugnata per omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., per aver appunto il secondo giudice taciuto in ordine alle riprese contenute nell’atto impugnato e relative ad ammortamenti non deducibili, spese carburanti e altri costi pure non deducibili anche in quanto non documentati o non di competenza; il motivo è fondato;
-Si evince chiaramente dalla lettura della sentenza impugnata come in ordine a tali riprese il secondo giudice si sia mantenuto del tutto silente senza in alcun modo dar conto delle ragioni in forza delle quali tali recuperi sono stati ritenuti infondati e conseguentemente annullati;
– in conclusione l’impugnata sentenza va cassata previa enunciazione del seguente principio di diritto: “anche le imprese minori, che fruiscono del regime di contabilità semplificata, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 600 del 1973, devono indicare ogni anno nel registro degli acquisti, tenuto ai fini IVA, il valore delle rimanenze, senza limitarsi ad annotare quello globale, ma distinguendo i beni per categorie omogenee, del medesimo tipo e della stessa quantità, con analiticità adeguata rispetto all’attività esercitata, analiticità che può esser sindacata dall’Ufficio solo ove il difetto della stessa impedisca in concreto l’esercizio della funzione di controllo; in assenza di tali indicazioni – che ove fatte oggetto di richiesta da parte dei verificatori possono esser fornite dal contribuente anche in sede procedimentale, durante l’accesso, l’ispezione e la verifica – l’Amministrazione finanziaria può ritenere inattendibile la contabilità e procedere all’accertamento induttivo”.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e il terzo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio sez. staccata di Latina in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del giudizio.