CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 ottobre 2020, n. 22046
Tributi – IVA – Attività in concessione di gestione e custodia di parcheggi a pagamento – Assoggettamento ad IVA – Legittimità
rilevato che
dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle Entrate aveva notificato a E. società cooperativa a r.I., esercente l’attività di gestione e custodia di parcheggi a pagamento nel Comune di Chieti, una cartella di pagamento, a titolo di omesso versamento Iva, Irpef, Irpeg e Irap; avverso la cartella di pagamento la società aveva proposto ricorso che era stato dichiarato inammissibile dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti per tardività della costituzione; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale ha parzialmente accolto l’appello, annullando la cartella di pagamento relativamente alla pretesa ai fini Iva e confermando la legittimità della pretesa ai fini Irap; in particolare, ha ritenuto che: la costituzione della società nel giudizio di primo grado era da considerarsi tempestiva, dovendosi fare riferimento al momento in cui il destinatario aveva ricevuto l’atto, non rilevando quello di spedizione; doveva essere esclusa l’assoggettabilità ad Iva delle operazioni svolte dalla società, in quanto la stessa esercitava un’attività implicante l’uso di poteri propri della pubblica amministrazione e, pertanto, doveva essere esclusa la soggettività passiva in materia Iva; di converso, doveva ritenersi che la società, poiché si avvaleva per lo svolgimento dell’attività di gestione di propri dipendenti, era assoggettabile all’Irap;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a cinque motivi di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso;
considerato che
Sulle eccezioni preliminari della controricorrente
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per non essere stato proposto nel termine di sei mesi dal deposito della sentenza, stante la riduzione del suddetto termine di cui all’art. 327, cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 46, comma 17, legge n. 69/2009;
a tal proposito, va osservato che questa Corte (27 luglio 2018, n. 19979; Cass. civ., 5 ottobre 2012, n. 17060) ha più volte precisato che l’art. 46, comma 17, legge n. 69/2009, che ha abbreviato in sei mesi il termine di proposizione delle impugnazioni, ai sensi dell’art. 327, cod. proc. civ., trova applicazione, secondo quanto previsto dall’art. 58, comma 1, stessa legge, ai soli giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009;
pertanto, la modifica normativa non trova applicazione nel presente giudizio, atteso che, secondo quanto risulta dalla stessa sentenza censurata, il giudizio di primo grado è stato instaurato con atto notificato il 15 dicembre 2007 e depositato il 16 gennaio 2008, quindi in data antecedente al 4 luglio 2009; ancora preliminarmente, va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di autorizzazione e per mancata indicazione dell’ufficio o ente ricorrente e dei poteri processuali e della conseguente delega all’Avvocatura dello Stato, non comprendendosi dall’atto se il soggetto ricorrente sia l’ufficio centrale o l’articolazione periferica dell’agenzia fiscale e quale sia la persona fisica che la rappresenta;
invero, il ricorso risulta intestato all’Agenzia delle entrate ed in nome di questa è stata eseguita la notifica, sicchè la difesa dell’amministrazione finanziaria è stata spiegata dall’Avvocatura generale dello Stato per l’ente-organo nella sua interezza, pertanto la dicitura “Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato”, riportata nell’epigrafe del ricorso, è giuridicamente idonea a individuare il soggetto giuridico impugnante, stante il carattere unitario dell’Agenzia delle entrate;
con riferimento, poi, al potere di rappresentanza processuale dell’Avvocatura generale, questa Corte (Cass. civ., 25 marzo 2015, n. 5947) ha precisato che “gli uffici periferici delle agenzie fiscali hanno la capacità di stare in giudizio, in via concorrente e alternativa al direttore della sede centrale, secondo un modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli artt. 2203 e 2204 cod. civ., configurandosi detti uffici quali organi dell’agenzia che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza (Cass. n. 8703 del 2009). Indi, alla stregua del D.Lgs. n. 300 del 1999 (art. 72), le agenzie fiscali possono avvalersi per la loro rappresentanza in giudizio del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi del T.U. n. 1611 del 1933 (art. 43), senza che occorra un mandato alle liti o una procura speciale, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 1, comma 2, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato” (Cass., S.U. 15/11/2005, n. 23020; Sez. 5, 12/02/2010, n. 3427 e 16/05/2007, n. 11227);
ancora preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della notifica per essere stata eseguita da soggetto non autorizzato e per atti che esulano da quelli per i quali è consentita la notifica diretta da parte dell’Avvocatura dello Stato; questa Corte (Cass. civ., 21 febbraio 2017, n. 4459) ha precisato che l’art. 55, legge 18 giugno 2009, n. 69, nel consentire all’Avvocatura dello Stato di “eseguire la notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53” prescrive, al comma 2, che questa si debba a tal fine dotare “di un apposito registro cronologico conforme alla normativa, anche regolamentare, vigente” e dispone modalità speciali per la validità dei registri (comma 3), ma non detta altre specifiche modalità di esecuzione delle notifiche a mezzo del servizio postale. Ne segue che per quanto non espressamente disposto si applicano le disposizioni della L. 21 gennaio 1994, n. 53 e dunque anche l’art. 3, comma 3, che dispone che “per il perfezionamento della notificazione e per tutto quanto non previsto dal presente articolo, si applicano, per quanto possibile, L. 20 novembre 1982, n. 890, artt. 4 e segg.”;
va peraltro precisato che nella terminologia utilizzata dall’art. 55, legge n. 69/2009, laddove si fa riferimento alle notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, è da ricomprendersi anche quella relativa al ricorso in cassazione per controversie tributarie, essendo il processo tributario un giudizio di impugnazione sull’atto amministrativo tributario;
correttamente, quindi, la notifica del ricorso è stata eseguita dall’Avvocatura dello Stato avvalendosi dei poteri di notifica a mezzo posta, secondo quanto previsto dalla normativa citata; infine, va disattesa la questione prospettata dalla controricorrente di improponibilità del ricorso per intervenuta acquiescenza, non avendo l’Agenzia delle entrate proposto ricorso avverso altra sentenza (n. 248/10/08 del 22 dicembre 2008 della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo) pronunziata sulla medesima materia e sempre in senso favorevole alla contribuente;
in una controversia analoga (Cass. civ., 25 marzo 2015, n. 5947) è stato precisato che Le sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 cod. proc. civ., consiste nell’accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare. Essa può avvenire sia in forma espressa, che tacita. In quest’ultimo caso, l’acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato ponga in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa e univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè quando gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione (Cass. Sez. U, n. 13 del 2007 e n. 8453 del 1998), sicchè, la semplice omessa proposizione del ricorso per cassazione in altra vertenza nella quale pure si discute della medesima questione di diritto non ha alcuna attinenza. Si tratta di giudizi separati e le relative scelte difensive possono legittimamente essere differenti e addirittura opposte nei diversi contesti processuali senza che se ne possa inferire, sul piano logico e giuridico, qualsivoglia abdicazione al diritto d’impugnazione in generale per tutte le cause dello stesso tipo”; peraltro, nel caso di specie, va tenuto conto del fatto che, secondo quanto riportato dalla controricorrente (vd. pag. 21, controricorso), la questione atteneva alla sussistenza del diritto al rimborso dell’Iva versata dalla contribuente nello svolgimento dell’attività in esame, e la Commissione tributaria regionale aveva ritenuto, in punto di diritto, che la sottostante attività non poteva essere configurata come avente natura commerciale, essendo riconducibile ad un pubblico servizio, ma, in punto di fatto, aveva comunque ritenuto non sussistente il diritto al rimborso, in quanto non risultava che la società aveva corrisposto importi a titolo Iva; in sostanza, parte controricorrente era risultata soccombente, sicchè la stessa aveva l’onere, eventualmente, di proporre ricorso in cassazione, non potendosi quindi ragionarsi in termini di acquiescenza nel comportamento dell’amministrazione finanziaria risultata parte vittoriosa nel giudizio;
Sui motivi di ricorso
1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 22, decreto legislativo n. 546/1992, per avere ritenuto tempestivo il deposito del ricorso di primo grado nei trenta giorni dalla data di ricevimento della notifica del ricorso da parte dell’ufficio, dovendosi, invece, fare riferimento alla data di spedizione;
2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3), e 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 22, decreto legislativo n. 546/1992, e dell’art. 140, cod. proc. civ., in quanto, essendo stata la notifica eseguita ai sensi del suddetto art. 140, cod. proc. civ., il momento di perfezionamento della notifica non è, comunque, riferibile alla data di consegna al destinatario, ma a quella in cui le formalità notificatorie si sono perfezionate, che coincide con il compimento della spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento, restando irrilevante la sua consegna al destinatario;
2.1. I motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto attengono alla questione della tempestività della costituzione della società ricorrente nel giudizio di primo grado, sono infondati;
sul punto questa Corte (Cass. Sez. Un., 29 maggio 2017, nn. 13452 e 13453; seguite fra le altre da Cass. civ., 18 maggio 2018, n. 12344; Cass. civ., 22 febbraio 2019, n. 5400) ha affermato che “il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente e dell’appellante, che si avvalga per la notificazione del servizio postale universale, decorre non dalla data della spedizione diretta del ricorso a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, ma dal giorno della ricezione del plico da parte del destinatario (o dall’evento che la legge considera equipollente alla ricezione)”;
pertanto, poichè ai fini della verifica della tempestività della costituzione, occorre fare riferimento alla data di ricevimento (o ad altro evento equipollente), la pronuncia del giudice del gravame risulta conforme al suddetto principio, avendo tenuto conto, ai fini della ammissibilità del ricorso, della data di ricevimento dell’atto da parte del destinatario;
3. Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 19, decreto legislativo n. 546/1992, in quanto il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare d’ufficio l’inammissibilità del ricorso posto che la cartella poteva essere impugnata solo per vizi propri, mentre, nella fattispecie, era stata contestata la sussistenza sostanziale della pretesa;
4. Con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione degli artt. 2, comma 8-bis, e 8, comma 6, d.P.R. n. 322/1998, in quanto controparte, ove avesse ritenuto di avere erroneamente dichiarato la debenza Iva recuperata con la cartella di pagamento, avrebbe dovuto integrare tempestivamente la dichiarazione dei redditi, sicchè il giudice del gravame non avrebbe potuto vanificare la dichiarazione nel senso della spettanza dell’imposta;
4.1. I motivi, che possono essere esaminati unitamente, in quanto attengono alla prospettazione dei limiti al diritto della difesa della società in caso dì notifica dì una cartella di pagamento conseguente ad un controllo automatizzato, sono infondati; invero, va in primo luogo precisato che la cartella emessa a seguito di controllo automatizzato (d.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, d.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis) può essere impugnata, ai sensi dell’art. 19, decreto legislativo n. 54671992, non solo per vizi propri ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva: essa, infatti, non rappresenta la richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo e unico atto con cui la pretesa fiscale è esercitata nei confronti del dichiarante (Cass. n. 1263 del 2014);
in questa prospettiva, questa Corte (Cass. civ., 27 febbraio 2015, n. 4049) ha precisato che la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione fiscale allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione e incidenti sull’obbligazione tributaria, è esercitabile anche in sede contenziosa per opporsi alla pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria. La dichiarazione fiscale reca, infatti, un’esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione, e costituisce un momento dell’iter per l’accertamento dell’esatta obbligazione tributaria, essendo conforme a buona fede (art. 10 Statuto) non percepire somme non dovute pur se dichiarate al fisco dal presunto debitore; la pronuncia censurata, dunque, è conforme ai principi sopra indicati;
5. Con il quinto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3) e 5), cod. proc. civ., per violazione degli artt. 3, comma 2, n.1), 4, comma 2, e 10, n. 8), d.P.R. n. 633/1972, nonché dell’art. 4, n.5), commi 1 e 4, e dell’art. 13, parte B, lett. b), Direttiva Cee 17 maggio 1977, per avere ritenuto che l’attività svolta dalla controricorrente fosse esente da Iva, in quanto, in realtà, la stessa è un soggetto privato che, pur operando in regime di concessione, svolge un’attività di impresa non assimilabile ad una attività svolta quale pubblica autorità;
5.1. Il motivo è fondato;
5.2. va precisato che la contribuente, organizzata in forma di società cooperativa a r.l. per la gestione di parcheggi in concessione comunale, opera non già come longa manus dell’amministrazione municipale, ma in forza di un rapporto contrattuale, sia esso qualificabile come concessione ovvero come contratto di servizio, in virtù del quale, da un lato, essa versa al Comune un corrispettivo per la dazione delle aree da destinare a pubblico parcheggio e, dall’altro, incassa dagli utenti un corrispettivo per la fruizione del servizio di parcheggio. L’uno è stato ritenuto, nel più risalente orientamento della Corte di giustizia, non soggetto a IVA per la natura pubblica della prestazione fornita dal soggetto cedente quale ente territoriale (sent. 14 dicembre 2000, C-446/98; vedi infra 3.4 e 3.5); l’altro non può, senz’altro, essere sottratto all’IVA;
5.3. invero, con l’acquisto della personalità giuridica, la cooperativa contribuente ha assunto la qualità di soggetto passivo IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, sicchè le operazioni da essa compiute hanno natura imponibile a prescindere dal fatto che esse siano rese per concessione o contratto dall’ente territoriale e si riferiscano al servizio di parcheggio a pagamento che può rientrare nei compiti dell’ente medesimo; questa Corte (Cass. civ., 25 marzo 2015, n. 5947) ha già avuto modo di precisare, in una controversia analoga alla presente e relativa alla medesima contribuente, che in tema d’IVA, sono soggetti passivi tutti gli operatori economici privati, anche se esercitano l’attività di un ente pubblico per concessione, contratto di servizio o delega, beneficiando dell’esenzione, ove non sia accertato un effetto distorsivo della concorrenza attuale o potenziale, solo lo Stato, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico che operano quali pubbliche autorità;
5.4. non rileva, in questo contesto, quanto prospettato in questa sede dalla contribuente in ordine al fatto che troverebbe applicazione al caso di specie la previsione di cui all’art. 11, legge n. 212/2000, avendo l’Agenzia delle entrate dato risposta all’interpello prospettato dal Comune di Chieti, riconoscendo che “emerge inequivocabilmente l’esercizio di poteri di carattere autoritativo e di controllo da parte del Comune sull’attività della società E. affidataria del servizio” e che, conclusivamente, “anche nel caso sottoposto al vaglio di questo ufficio, ricorrano tutte le condizioni per ritenere l’attività di gestione e custodia parcheggi affidata da codesto Comune in appalto alla società cooperativa E. non sia suscettibile di essere sottoposta ad Iva, conformemente alle cennate risoluzioni già emanate su questione analoga a quella in esame”;
invero, il comma 2 dell’art. 11 dello Statuto, stabilisce che “la risposta dell’amministrazione finanziaria, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente”, sicchè la suddetta risposta, qualunque ne sia la sua effettiva portata, resta estranea al concreto rapporto tributario con la Coop. E., perché contribuente non interpellante;
in conclusione, i motivi da uno a quattro sono infondati, è fondato il quinto motivo, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza censurata e rigetto, ai sensi dell’art. 384, cod. proc. civ., del ricorso introduttivo, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto;
con riferimento alle spese di lite dei giudizi di merito e del presente giudizio, il complesso articolarsi della giurisprudenza europea e nazionale solo recentemente giunta a una chiarificazione definitiva dei principi regolativi della materia, fa stimar equa la compensazione integrale di tutte le spese di lite.
P.Q.M.
accoglie il quinto motivo, infondati i restanti motivi, cassa la sentenza censurata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente;
compensa interamente le spese di lite dei giudizi di merito e del presente giudizio.
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