CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 settembre 2018, n. 22299
Tributi – IRPEF – IRAP – Accertamento – PVC – Contenzioso tributario – Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi
Ragioni della decisione
costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 197/2016, osserva quanto segue;
Con sentenza n. 91/1/2015, depositata il 20 luglio 2015, non notificata, la Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano rigettò l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della R.H. S.p.A. avverso la sentenza della commissione tributaria di primo grado di Bolzano, che aveva accolto il ricorso proposto dalla società avverso avviso di accertamento per IRPEF (recupero di ritenute alla fonte per redditi da lavoro dipendente) addizionale regionale ed IRAP dovute per l’anno 2006, oltre sanzioni ed interessi.
Avverso la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, erroneamente rubricati come quattro.
La società intimata non ha svolto difese.
1. Con il primo motivo la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia violazione dell’art. 12, comma 7, della 1. n. 112/2000 (recte n. 212/2000), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto applicabile nella fattispecie in esame la citata norma dello statuto del contribuente, sebbene, secondo la ricorrente Amministrazione, nel caso che ha dato origine alla controversia in oggetto, l’avviso di accertamento fosse frutto di un’opera autonoma dell’Ufficio e non collegata all’attività di verifica.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 30 del d. lgs. n. 276/2003 e dell’art. 23, comma 2, lett. a), del d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., laddove la sentenza impugnata ha escluso l’esistenza di un rapporto diretto d’impiego con la società italiana, dei dipendenti della controllata austriaca R.B. GmbH, distaccati per il periodo del loro impiego in Italia per l’esecuzione di prestazioni di montaggio di case prefabbricate.
3. Con il terzo motivo, erroneamente rubricato come quarto, infine, l’Agenzia delle Entrate denuncia nullità della sentenza per difetto di motivazione, per violazione degli artt. 36, comma 2 , n. 4 e 61 del d.lgs. n. 546/1992, 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111, comma 6, Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., assumendo che la decisione impugnata avrebbe in realtà i tratti della motivazione apparente, inidonea a rivelare la ratio decidendi della stessa ed a consentirne dunque il controllo.
4. Premesso che il terzo motivo, da esaminare in ordine logico prioritariamente, è manifestamente infondato, essendo certamente la decisione impugnata in linea con il c.d. “minimo costituzionale” (cfr. Cass. sez. unite 7 aprile 2014, n. 8053) per il rispetto dell’obbligo motivazionale di cui all’art. 111, comma 6, Cost., il primo motivo è inammissibile.
4.1. La sentenza impugnata, non essendo contestato in fatto che vi sia stato accesso, previa autorizzazione, presso i locali della società, risulta invece avere fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. 29 luglio 2013, n. 18184) e dalla successiva giurisprudenza conforme (tra le molte cfr. Cass. sez. 5, 7 marzo 2014, n. 5373; Cass. sez. 5, 11 novembre 2015, n. 23050; Cass. sez. 6-5, ord. 25 gennaio 2017, n. 1969), secondo cui, per quanto qui rileva, «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio per l’emanazione dell’avviso di accertamento — termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni — determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio endoprocedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva».
Né risulta condivisibile l’assunto dell’Amministrazione ricorrente secondo la quale nella fattispecie il succitato principio non sarebbe applicabile perché, pur essendovi stato accesso, esso si è risolto nella mera acquisizione di documentazione, senza la redazione di processo verbale di constatazione, avendo questa Corte già avuto modo di precisare (cfr. la succitata Cass. n. 5373/14) che «non ha rilievo la denominazione formale dei verbali redatti dai verificatori, di guisa che il termine dilatorio di sessanta giorni deve essere rispettato anche qualora il verbale, non denominato formalmente come “pvc”, sia un verbale meramente descrittivo delle operazioni di verifica (Cass. ord. 15 marzo 2011, n. 6088; Cass. 7 aprile 2011, n. 18096)», posto che «L’impiego di una locuzione generica come “verbale di chiusura delle operazioni”, contenuta nel comma 7 della norma in esame, è di fatti, capace di comprendere nel proprio ambito tutte le possibili tipologie di verbali che concludano le operazioni di accesso, verifica o ispezione nei locali, indipendentemente dal loro contenuto».
4.2. Dette considerazioni sono state del resto già espresse da questa Corte in analoga controversia tra le stesse parti riferita alla precedente annualità d’imposta (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 4 aprile 2018, n. 8186).
Il motivo deve essere pertanto dichiarato inammissibile (cfr. Cass. sez. unite 21 marzo 2017, n. 7155).
5. Ugualmente deve essere ritenuto inammissibile il secondo motivo, per carenza d’interesse.
Invero, la declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento impugnato dalla contribuente per difetto di osservanza della garanzia procedimentale di cui all’art. 12, comma 7 della L. n. 212/2000, ha esaurito la potestà decisoria della Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano che, tuttavia, con le ulteriori affermazioni nel merito in punto di carenza di prova da parte dell’Ufficio della circostanza che il distacco dei dipendenti della società austriaca controllata celasse un vero rapporto di subordinazione direttamente alle dipendenze di quella italiana controllante, ha espresso degli obiter dicta rispetto ai quali vi è carenza d’interesse dell’Amministrazione alla proposizione dell’impugnazione.
Il ricorso dell’Amministrazione finanziaria va dunque rigettato.
6. Nulla va statuito in ordine alle spese del giudizio di legittimità, non avendo l’intimata società svolto difese.
7. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1- quater del d.P.R. 30 maggio 2012, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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