CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 settembre 2018, n. 22340
Imposte indirette – IVA – Dichiarazione annuale – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento
Rilevato che
la società A. s.r.I., ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli;
Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: la società contribuente aveva proposto ricorso avverso la cartella di pagamento con la quale si era proceduto al recupero del credito Iva anno di imposta 1998, non riportato nella dichiarazione per l’anno 1999 ma in quella del successivo anno 2000; in particolare, la contribuente aveva ritenuto la illegittimità della pretesa, in quanto il credito risultava dalle fatture e dalle liquidazioni periodiche con conseguente diritto alla detrazione del credito che, pur non dichiarato per l’anno successivo, era stato indicato nella prima dichiarazione utile; l’Agenzia delle entrate, costituendosi, aveva eccepito che la cartella di pagamento derivava da un avviso di accertamento divenuto definitivo per mancata opposizione e che il credito vantato non poteva dirsi esistente; la Commissione tributaria provinciale aveva rigettato il ricorso, avendo ritenuto che parte ricorrente non aveva prodotto la dichiarazione per l’anno 1998, sicché non poteva dirsi provato il credito; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la società contribuente; si era costituita l’Agenzia delle entrate che aveva eccepito l’inammissibilità dell’appello e l’inesistenza del credito, erroneamente sgravato e successivamente reiscritto a ruolo; la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello, avendo ritenuto, in diritto: che nel caso di specie, presupposto per l’applicazione del principio della spettanza del credito di imposta anche in caso di omessa denuncia nell’anno successivo era la verifica dell’esistenza del credito; la società contribuente non aveva assolto all’onere di prova su di essa gravante, in quanto la documentazione prodotta non era sufficiente, mancando in atti la produzione della dichiarazione Iva anno 1999, circostanza che non consentiva di stabilire se i crediti, pur registrati, erano stati compensati con l’imposta dovuta per l’anno stesso;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la società contribuente affidato a tre motivi di censura e memoria;
si è costituita con controricorso l’Agenzia delle entrate;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione alle previsioni di cui agli artt. 19, 25, 28, 30 e 55 del d.P.R. n. 633/1972, dell’art. 50 della legge 413/1991 e dell’art. 8 del d.P.R. n. 322/1998; nonché ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ.;
in particolare, si deduce che erroneamente la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che la società contribuente non avesse dato prova del proprio credito Iva maturato nell’anno 1998 unicamente sulla base della mancata produzione della dichiarazione Iva 1999, omettendo di considerare la rilevanza probatoria della documentazione prodotta consistente nei registri Iva acquisti e vendite anni 1997, 1998, 1999 con relative liquidazioni periodiche e nelle dichiarazioni annuali 1998, 2000, 2001; inoltre, sotto il profilo motivazionale, si deduce la mancanza di motivazione sulla circostanza della ritenuta insufficienza della documentazione prodotta al fine di dare prova del credito;
con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per motivazione contraddittoria, in quanto, pur avendo espresso il convincimento della correttezza della impostazione in diritto circa la spettanza del credito Iva maturato anche in caso di omessa denunzia per l’anno successivo, purché riportato nella prima dichiarazione utile, aveva poi ritenuto non provato il credito Iva maturato nell’anno 1998 solo in ragione dell’omessa presentazione della dichiarazione Iva 1999, ritenendo, in tal modo, irrilevante l’indicazione del detto credito nelle successive dichiarazioni presentate negli anni 2000 e 2001;
con il medesimo motivo, inoltre, si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per avere ritenuto non esistente il diritto di credito Iva a causa della mancata presentazione della dichiarazione annuale, sebbene lo stesso emergesse dalle scritture contabili e dalle fatture relative al periodo di esercizio ove il credito era sorto;
i motivi, che possono essere unitamente esaminati, in quanto attengono alla questione della sussistenza del diritto del contribuente di opporre in compensazione un credito Iva per il quale non ha presentato, per l’anno in cui il credito è sorto, la dichiarazione Iva, sono fondati; va premesso che la pronuncia censurata ha posto, come profilo centrale del rigetto dell’appello, la questione dell’inesistenza del credito Iva che la contribuente intende opporre in compensazione;
dalla lettura della medesima sentenza si evince che, in realtà, la contestazione del credito e, in particolare, la sua inesistenza, contestata dall’Agenzia delle entrate, atteneva alla sola circostanza che il suddetto credito, sorto nell’anno di imposta 1998, non era stato oggetto di indicazione nella dichiarazione relativa al suddetto anno (l’ufficio evidenziava che parte ricorrente lamentava un non ben definito credito Iva, non provato e da ritenersi inesistente, in quanto relativo agli anni 1997 e 1998 per i quali non risultava presentata dichiarazione);
sicché, la contestazione dell’esistenza del credito non trovava fondamento su profili di ordine sostanziale, ma sul solo dato formale della mancata presentazione della dichiarazione per l’anno 1999;
tale circostanza trova conforto nel fatto che la stessa Commissione tributaria regionale, dopo avere ritenuto del tutto imprecisate le eccezioni dell’Agenzia delle entrate in ordine ad una definitività di un previo avviso di accertamento e le ragioni per cui il credito vantato era stato oggetto di sgravio del corrispondente tributo, ha ritenuto di dovere ritenere non assolto l’onere di prova gravante sulla contribuente unicamente sulla base del dato formale della mancanza di produzione della dichiarazione Iva 1999; così inquadrata la questione in esame, va precisato che, dunque, la problematica prospettata con i motivi di ricorso in esame riguarda la verifica, in diritto, se il diritto del contribuente di opporre in compensazione un credito Iva maturato nell’anno precedente sia condizionato o meno alla tempestiva presentazione della dichiarazione Iva relativa al medesimo anno, nonostante che risultino, come è certo nel caso in esame, regolarmente registrate le relative operazioni anche nelle liquidazioni periodiche; sul punto, va precisato che le Sezioni Unite di questa Corte, con la pronuncia 8 settembre 2016, n. 17757 hanno fissato il principio secondo il quale «la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili» (conf., Cass., ord. 25 gennaio 2017, n. 1627);
pertanto, seguendo il suddetto principio di diritto, il contribuente può portare in detrazione l’eccedenza d’imposta anche in assenza della dichiarazione annuale finale (e fino al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto) purché siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione. La sussistenza di tali requisiti esclude difatti la rilevanza dell’assenza di quelli formali, sempre che sia rispettata la cornice biennale prevista dall’art. 19 del d.P.R. n. 633/72 per l’esercizio del diritto di detrazione (secondo le precisazioni espresse, in particolare, da Cass. 28 luglio 2015, n. 14767, confermate, tra varie, da Cass. 3 marzo 2017, n. 5401);
alla cornice biennale hanno fatto espresso riferimento, nel dettare il principio di diritto, le sezioni unite con la sentenza dinanzi indicata, ciò perché, hanno precisato al punto 5.8., essa identifica «il rilievo generale e interno» che governa l’esercizio del diritto di detrazione; non c’è, invece, necessità di procedere ad accertamento induttivo, in quanto l’Amministrazione non può pretendere la restituzione di somme per ragioni di pura forma senza addurre rilievi sulla loro effettiva spettanza, principio, questo, che si specchia nella giurisprudenza unionale, secondo la quale occorre che il contribuente documenti la sussistenza dei soli requisiti sostanziali del diritto a detrazione di cui all’art. 17 della sesta direttiva e “si mettono in guardia gli Stati membri da meccanismi di rimborso artificiosi e tali da mettere a rischio l’immediata neutralità dell’imposizione sul valore aggiunto” (sez. un., n. 17757/16, cit., in motivazione);
la questione, pertanto, si sposta su un piano esclusivamente di natura probatoria: l’infrazione è da ritenere emendabile sul piano del rapporto impositivo quando si disponga ugualmente delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in quanto acquirente, ha il diritto di recuperare l’imposta pagata a titolo di rivalsa, sempreché non risulti in concreto impedita la prova della sussistenza dei requisiti sostanziali (tra varie, in termini, Cass. 17 marzo 2017, n. 6921);
la prova concerne, peraltro, circostanze pur sempre riservate all’accertamento in fatto da parte del giudice di merito, sicché, si impone la cassazione con rinvio della sentenza impugnata; in particolare, il giudice del merito dovrà attenersi ai principi di diritto sopra indicati ed accertare, inoltre, se, nel caso di specie, è stato esercitato il diritto alla detrazione nei limiti della cornice biennale cui si è sopra fatto riferimento; l’accoglimento dei motivi di ricorso in questione comporta l’assorbimento del restante terzo motivo, che riguarda, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3) e 5), l’implicita pronuncia di inammissibilità dell’appello;
per i suindicati motivi, la sentenza deve, dunque essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà a un nuovo esame circa la sussistenza degli elementi legittimanti la contribuente alla detrazione del credito Iva, accertando, inoltre, se, nel caso di specie, è stato esercitato il diritto alla detrazione nei limiti della cornice biennale cui si è sopra fatto riferimento;
P.Q.M.
accoglie il primo e secondo motivo, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.
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