CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 aprile 2020, n. 7798
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza di appello – Vizio di motivazione – Valenza di diretta definizione tributaria all’accordo concluso in sede penale
Ritenuto che
L’Agenzia delle Entrate notificava a Z.C. un avviso di accertamento, con il quale rettifica la dichiarazione presentata per l’anno di imposta 2005, rilevando quanto segue: con riguardo alla fattura emessa nei suoi confronti da C. srl, ritenuta relativa ad operazione inesistente, il contribuente pur avendo eliminato – a mezzo dichiarazione integrativa – detto costo ai fini Irpef, lo aveva indebitamente mantenuto ai fini Irap ed Iva; aveva dedotto costi documentati con fatture emesse da R. sas e P. srl relativi ad operazioni ritenute inesistenti; aveva dedotto il costo di cui alla fattura emessa dalla ditta F.lli P. per prestazioni non inerenti alla propria attività professionale. Z.C. impugnava l’avviso di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano che lo accoglieva parzialmente con sentenza n. 183 del 2012, annullando integralmente la ripresa fiscale a fini Irpef, annullandola parzialmente ai fini Iva e confermando per intero il recupero ai fini Irap.
Contro la sentenza proponeva appello principale il contribuente e l’Agenzia delle Entrate si costituiva proponendo appello incidentale. La Commissione tributaria regionale con sentenza n.131 del 28.11.2013 rigettava l’appello principale del contribuente e l’appello incidentale della Agenzia delle Entrate, confermando l’impugnata sentenza.
Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di sette motivi.
Z.C. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale sulla base di tre motivi. ( il secondo motivo è ripartito nei motivi 2, 2.1 e 2.2).
Considerato che
A) Ricorso principale.
1. Il primo motivo denuncia:” Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 n.4 cod.proc.civ”, in quanto sono incomprensibili le ragioni giuridiche poste dal giudice di appello a fondamento della propria decisione, risultandone una motivazione meramente apparente.
2. Il secondo motivo denuncia: “Nullità della sentenza impugnata per inosservanza, violazione e falsa applicazione art. 112 e 7 D.LGS. 546/92 in relazione all’art. 360 n. 4 cod.proc.civ”, nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto che dalla vicenda del patteggiamento derivi una definizione delle pretese erariali ostativa all’emissione dell’avviso di accertamento impugnato.
3. Il terzo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 444 e ss. CPP, 2697 cod.civ. e 2727/2729 C.C. in relazione all’art. 360 n.3 cod.proc.civ “, nella parte in cui la C.T.R. ha ravvisato nel patteggiamento in sede penale una definizione (per giudicato, o accordo o riconoscimento) della pretesa erariale, di carattere vincolante per l’Amministrazione finanziaria.
4. Il quarto motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 651, 652, 653 e 654 CPP. e 2909 CC in relazione all’art. 360 n.3 cod.proc.civ
5. Il quinto motivo denuncia:” Violazione e falsa applicazione d.lgs. 218/1997 e art. 48 del d.lgs. 546/1992 e del principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, in relazione all’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. “, in quanto «stante il principio di indisponibilità della obbligazione tributaria, l’erario non può stipulare con il contribuente accordi per lui vincolanti al di fuori dei casi normativamente previsti.»
6. Il sesto motivo denuncia:”Violazione e falsa applicazione del principio della indisponibilità della obbligazione tributaria in relazione all’art. 360 n.3 CPC”.
I motivi dal primo al sesto, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei seguenti termini. Il giudice di appello premette che: a) “l’istituto della applicazione della pena su richiesta delle parti consta di un accordo tra imputato e pubblico ministero, a nulla rilevando la volontà della parte costituita in giudizio per il risarcimento dei danni (nel caso di specie l’Ufficio)”;b) “ai sensi dell’art. 654 cod.proc.pen. la decisione penale che affronta incidentalmente questioni tributarie è equiparabile ad un mero elemento di prova che in astratto può essere senz’altro disatteso dalla Commissione tributaria adita successivamente”. Da tali premesse in diritto, sostanzialmente corrette, il giudice di appello trae la seguente testuale argomentazione decisoria: “tuttavia la particolarità delle vicende relative alla procedura penale che ha preceduto questo giudizio inducono a ritenere che il patteggiamento in parola condizionato sospensivamente alla previa regolarizzazione della posizione fiscale dell’imputato mediante un ravvedimento operoso (sia pure incidenter tantum) non avrebbe avuto luogo senza la previa accettazione per acquiescenza della pretesa erariale cosi come determinata dalle parti dal contribuente in sede penale. Per la medesima ragione poc’anzi indicata occorre concludere che anche il maggior debito Iva indicato in sede di dichiarazione integrativa presentata nel corso del giudizio penale costituisce l’esatto ammontare della pretesa erariale: pertanto la richiesta dell’Ufficio di ricalcolo dell’importo dovuto ai fini Iva è rigettato”. La motivazione è intrinsecamente illogica e tale da non consentire la ricostruzione della ratio decidendi (motivazione apparente). Il giudice di merito, accampando che la vicenda da lui esaminata abbia delle “particolarità” non meglio precisate, si determina alla disapplicazione delle regole di diritto affermate in premessa. Pertanto il giudice di appello, per ragioni non intellegibili, teorizza la non applicabilità al caso concreto delle norme generali che disciplinano il rapporto tra processo penale e procedimento tributario, secondo cui la sentenza di applicazione pena su richiesta non fa stato nel processo penale ex art. 654 cod.proc.pen. e la parte civile costituita rimane estranea, e non vincolata, all’accordo intervenuto tra pubblico ministero e imputato.
La sentenza è viziata da violazione di legge nella parte in cui attribuisce alle condizioni fissate dal giudice penale per concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena patteggiata (pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni in favore dell’Amministrazione costituita parte civile e presentazione di dichiarazioni integrative relative agli anni di imposta 2004 e 2005) valenza di diretta definizione, ad opera del giudice penale (in accordo con l’imputato-contribuente), dell’an e del quantum della obbligazione tributaria, in palese violazione dei principi fondamentali in tema di riparto della giurisdizione e di autonomia del processo tributario rispetto al processo penale (desumibile, tra l’altro, dall’art. 20 d.lgs. n. 74 del 2000), nonché di indisponibilità della obbligazione tributaria che non può essere oggetto di accordo con il contribuente al di fuori delle ipotesi, normativamente previste, di accertamento con adesione, di conciliazione giudiziale o di definizione agevolata, attuabili in sede tributaria e non certo penale.
7. Settimo motivo:”Omesso esame su fatto decisivo per il giudizio del quale le parti hanno discusso/Motivazione omessa su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 n. 5 cod.proc.civ.”
Il settimo motivo è assorbito.
B) Ricorso incidentale.
1. Il primo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs n. 446/1997 (art. 360 comma 1 n.3 cod.proc.civ)”, nella parte in cui la C.T.R. ha confermato il recupero a tassazione ai fini Irap.
In riferimento all’Irap il giudice di appello, con giudizio di merito insindacabile in questa sede, ha affermato che, stante la fittizietà delle società di cui il ricorrente era formalmente dipendente, il complesso degli uffici e beni strumentali, apparentemente riferibili alle società, erano concretamente riconducibili alla persona fisica del contribuente che pertanto disponeva di una struttura autonomamente organizzata integrante il presupposto impositivo dell’Irap.
Il dedotto motivo di ricorso è inammissibile; sebbene intitolato quale violazione di legge, si sostanzia in concreto nello svolgimento di censure riconducibili al vizio di insufficiente motivazione precluso dal novellato art. 360 n.5 cod.proc.civ, ovvero di censure di merito da sempre precluse nel giudizio di legittimità.
2. Il secondo motivo denuncia: Nullità della sentenza ex art. 360 comma 1 n. 4 cod.proc.civ per violazione dell’art. 112 in relazione al capo concernente l’Iva”.
2.1 II motivo numerato 2.1 denuncia:”nullità della sentenza ex art. 360 comma 1 n. 4 cod.proc.civ per violazione degli artt. 132 n. 4 cod.proc.civ, 118 dis.att.cpc, 36 n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 111 comma 6 Cost. in relazione al capo concernente l’Iva”, nella parte in cui ha riconosciuta dovuta (parzialmente) la maggiore Iva accertata dall’Ufficio con motivazione apparente o perplessa.
I motivi 2 e 2.1, da esaminare congiuntamente, sono fondati, per le medesime ragioni illustrate nell’accoglimento del ricorso principale, ricorrendo il carattere meramente apparente della motivazione anche nella parte in cui ha rigettato l’appello principale del contribuente confermando parzialmente l’IVA.
2.2. Il motivo numerato 2.2 denuncia: “Nullità sentenza ex art. 360 comma 1 n. 4 cod.proc.civ per violazione degli artt.115 e 116 cod.proc.civ
Il motivo è assorbito dall’accoglimento dei motivi 2 e 2.1.
3. Il terzo motivo denuncia: “Nullità della sentenza per violazione dell’art.112 cod.proc.civ in merito alla quantificazione delle sanzioni”, in quanto la C.T.R. ha omesso di pronunciarsi sul motivo di appello relativo all’applicazione delle sanzioni.
Il motivo è fondato. Come risulta dalle trascrizioni dei motivi di ricorso introduttivo e di appello contenuti nel ricorso incidentale per cassazione, il contribuente aveva dedotto la illegittimità della applicazione e la errata quantificazione delle sanzioni irrogate, reiterando tale censura con specifico motivo di appello, ignorato dalla C.T.R. in palese violazione dell’art. 112 cod.proc.civ.
3.1. Il motivo 3.1 denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo-divieto del bis in idem (art. 360 comma 1 n. 3 cod.proc.civ )” in quanto, avendo subito la sanzione penale, il contribuente non poteva essere assoggettato alla sanzione tributaria amministrativa.
Il motivo 3.1. è assorbito dall’accoglimento del terzo motivo.
In accoglimento dei motivi da uno a sei del ricorso principale, assorbito il settimo motivo, ed in accoglimento dei motivi 2, 2.1 e 3 del ricorso incidentale, dichiarato inammissibile il primo motivo ed assorbiti i motivi 2.2 e 3.1, la sentenza deve essere cassata in riferimento alla imposte Ires ed Iva ed al trattamento sanzionatorio, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, alla quale è demandata la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie i motivi da uno a sei del ricorso principale con assorbimento del settimo motivo; accoglie i motivi 2, 2.1 e 3 del ricorso incidentale, dichiara inammissibile il primo motivo ed assorbiti il motivo 2.2 e 3.1; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
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