CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 aprile 2021, n. 9780
Tributi – IVA – Frode carosello – Spese di sponsorizzazione – Operazioni soggettivamente inesistenti – Detraibilità dell’imposta – Prove presuntive – Onere a carico del Fisco – Conoscibilità della frode da parte del cessionario
Ritenuto che
1.La soc. T.T.M. (di seguito indicata per brevità «TTM srl» srl impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia dell’Entrate, all’esito di una complessa indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Ravenna che consentiva di scoprire un sistema frodatorio di fatture per operazioni di sponsorizzazione emesse da plurime società filtro che operavano a turno i cui proventi venivano trasferiti a società operanti in totale evasione fiscale, disconosceva la detrazione Iva recuperando a tassazione l’imposta per l’anno 2006.
2. La Commissione Tributaria Provinciale di Bologna rigettava il ricorso
3. Sull’impugnazione della contribuente la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello; in particolare i giudici di seconde cure, pur disattendendo le censure relative alla carenza di motivazione dell’avviso e alla nullità dell’atto impositivo perché non precedute da notifica del p.v.c., ritenevano illegittimo il recupero ad imposta con cui l’Agenzia aveva disconosciuto la deducibilità dell’IVA in relazione alle operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, per non essere stata dimostrata la consapevolezza o anche solo la conoscibilità da parte della contribuente di essere parte della c.d. frode carosello.
4. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un unico motivo. La contribuente si è difesa con controricorso proponendo ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
5 Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
1. Con un unico motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di degli artt. 19, 21 e 54 dPR 633/72 , 2697 e 2729 cc, 115 cpc in relazione all’art. 360, 1 comma nr 3 cpc; si sostiene che la CTR non ha rispettato il canone di riparto dell’onere della prova in relazione alle contestate operazioni soggettivamente inesistenti, ed in particolare che non sono stati correttamente valutati gli elementi indiziari forniti dall’Ufficio.
1.1 Con il motivo del ricorso incidentale la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 24, Cost., 3 I. 241/90, 7 I. 212/2000 e 42 dPR 600/73 in relazione all’art. 360 comma 1 nr 3 cpc per non avere la CTR ritenuto carente di motivazione l’avviso di accertamento.
2. Va prioritariamente esaminato il motivo del ricorso incidentale stante la natura pregiudiziale ed assorbente della questione trattata che attiene ad un profilo formale di invalidità dell’avviso di accertamento.
2.1 La censura è infondata.
2.2 Contrariamente a quanto sostenuto nel controricorso l’impugnata sentenza non ha ritenuto assolto l’obbligo di cui agli artt 3 l. 241/90 ,7 l. 212/2000 e 42 dPR 600/73 attraverso una motivazione resa per relationem. I giudici di seconde cure hanno, infatti, spiegato che l’avviso di accertamento, muovendo dalle argomentazioni e dalle risultanze dell’attività di verifica condotta nei confronti di terzi direttamente incidenti sulla posizione della TTM, ha sufficientemente enunciato i fatti fondanti la pretesa fiscale costituiti dalla indetraibilità dell’imposta per operazioni soggettivamente inesistenti per assenza di buona fede della TTM.
2.3 Risulta quindi, secondo la CTR, riprodotto e riassunto il contenuto saliente dei verbali di constatazione redatti nei confronti di terzi estranei, necessario e sufficiente per sostenere il contenuto del provvedimento adottato in modo da consentire al contribuente di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente “l’an” e il “quantum”.
3. Il motivo del ricorso principale è, parimenti, infondato.
3.1 Va rilevato, in punto di fatto, che l’impugnato accertamento muove dalle indagini effettuate dall’autorità giudiziaria inquirente a carico di R. E. ritenuto autore di un sistema di frode fiscale articolato sull’utilizzo: a) di società «filtro» formalmente regolari (tra le quali la S. D. srl) che tenevano rapporti con le società che richiedevano prestazioni di sponsorizzazione (tra le quali la TTM srl); b) di società «schermo» operanti in totale evasione di imposta, incaricate di incamerare i proventi trasferiti dalle società emittenti le fatture, sostenere le spese del team E., far confluire i proventi allo stesso pilota e generare un credito di imposta.
3.2 E’, inoltre, circostanza pacifica che le prestazioni di sponsorizzazione in occasioni di manifestazioni sportive e promozionali sono state effettivamente eseguite e che i pagamenti sono stati regolarmente fatti con modalità tracciate.
3.3 In thema decidendum è, quindi, costituito dalla detraibilità o meno dell’imposta versata dal cessionario su fattura per una operazione soggettivamente inesistente in quanto riferibile ad un soggetto (nella fattispecie il pilota R. E.) diverso da quello che risulta aver emesso la documentazione fiscale (nel caso di specie la soc. S. D. srl)
3.4 Ciò premesso, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, la circostanza che l’operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell’IVA non comporta ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione; è, infatti, configurabile un’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se “non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella effettuata da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA” (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C- 440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagèben e David, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).
3.5 A tale insegnamento si è conformata la giurisprudenza di questa Corte affermando che «In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.» (Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 9851 del 20/04/2018 – Rv. 647837 – 01; conforme Sez. 5 – , Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018 – Rv. 651004 – 01);
3.6 Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è attenuta al consolidato canone giurisprudenziale di riparto dell’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, ponendo a carico dell’Agenzia l’onere di dimostrare la fittizietà dei fornitori e del fatto che la contribuente versava in condizioni di conoscenza o conoscibilità di tale stato di cose, ed ha escluso che sia intervenuta la dimostrazione dell’elemento soggettivo.
3.7 In particolare, la CTR si è data carico di indicare gli elementi presuntivi (costituiti dalla mancata verifica da parte della cessionaria della impossibilità della S. D. srl di esecuzione delle prestazioni in ragione dell’assenza di qualsiasi collegamento con l’E. e dall’essere TTM indifferente al soggetto che emetteva le fatture) posti dall’Amministrazione a sostegno del proprio assunto circa l’assenza di buona fede in capo alla TTM srl ed ha motivatamente escluso che tali elementi fossero sufficienti a determinare anche solo la conoscibilità in capo alla contribuente di essere parte della frode carosello.
3.8 Si legge nella motivazione « si tratta, ad avviso della Commissione, di argomenti non dirimenti. Difatti corrisponde ad una prassi diffusa nel settore dell’affidamento della gestione dello sfruttamento dell’immagine di uno sportivo ad una società, diversa dalla persona fisica che rende materialmente la prestazione. Pertanto, dal fatto che l’emittente non si identificasse nell’E. non può farsi discendere un rimprovero di mancata diligenza in contraendo, ciò rispondendo ad un comportamento diffuso in ogni settore relativo allo sfruttamento dell’immagine. In secondo luogo è la stessa Agenzia delle Entrate ad evidenziare che la S. D. presentava una contabilità del tutto regolare. Che tale dato corrisponda ad un preciso disegno nell’architettura di frode ordita dall’E. non può eclissare la circostanza di fatto che la società appariva, ad un controllo esigibile dall’imprenditore medio, perfettamente in regola con il fisco, quindi del tutto affidabile ad un controllo formale. In senso contrario non può nemmeno rilevare la circostanza -introdotta dalla testimonianza riportata nell’avviso di accertamento, secondo cui il legar[I]e rappresentante della S. D. srl sarebbe un prestanome dell’E.. Difatti, anche a volerla ritenere utilizzabile la dichiarazione, essa introduce un dato di fatto interno alla organizzazione, non necessariamente rilevabile all’esterno. All’evidenza, quindi, non v’è argomento, nemmeno su base presuntiva che porti a ritenere che la TTM srl disponesse, nell’esercizio dell’ordinaria diligenza, di dati sintomatici dell’inserimento della S. D. nel sistema fraudolento facente capo nell’E.»
3.9 Le argomentazioni fatte valere con il motivo di censura, formulato come violazione o falsa applicazione di legge, si risolvono in realtà in una critica alla valutazione delle prove del giudicante ed in una richiesta di revisione del fatto e degli elementi di prova raccolti nel processo si tratta di una attività che è espressione del principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., ed opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito e come tale è censurabile solamente, attraverso il corretto paradigma normativo del vizio di motivazione, e dunque nei limiti di cui art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012 (Cass., 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., 12 febbraio 2004, n. 2707).
4. Conclusivamente il ricorso va rigettato
5. Le spese di giudizio vanno compensate avuto riguardo alla reciproca soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale, dispone compensarsi tra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13.
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