CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 aprile 2022, n. 12185
Tributi – Accertamento – Corrispettivi per attività prestata in favore della Santa Sede – Esenzione prevista dai Patti Lateranensi per dipendenti e collaboratori – Verbale di conciliazione di riconoscimento della natura di rapporto di lavoro dipendente
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate notificò a C.R., titolare di un’attività agricola, due avvisi di accertamento per IRPEF e relative addizionali comunali e regionali, IRAP, IVA e contributi previdenziali, oltre sanzioni ed interessi, relative agli anni 2005 e 2006;
all’esito di apposita attività di verifica era infatti emerso che, nelle annualità in questione, la contribuente risultava aver percepito importi, senza dichiararli, a corrispettivo di un’attività di collaborazione prestata in favore dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, ente di proprietà della Santa Sede; l’amministrazione finanziaria aveva così riconosciuto la sussistenza di redditi da lavoro autonomo in misura corrispondente a quanto percepito dalla R., oltre a disconoscerne la qualifica di imprenditore agricolo, con conseguente scomputo dei costi di ristrutturazione di un immobile che costei aveva portato in detrazione;
con separati ricorsi poi riuniti, C.R. impugnò gli avvisi innanzi alla C.T.P. di Perugia, deducendo che l’attività da lei prestata in favore dell’Ospedale Bambin Gesù presentava, in realtà, le caratteristiche di un rapporto di lavoro subordinato, ovvero, al più, di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa; conseguentemente, i redditi percetti andavano esenti da ogni tributo nei confronti dello Stato e di ogni altro ente pubblico, dovendo trovare necessaria applicazione l’art. 17 della I. 27/05/1929, n. 810 (cd. Patti Lateranensi), che tanto stabilisce per «le retribuzioni, di qualsiasi natura, dovute dalla Santa Sede, dagli altri entri centrali della Chiesa Cattolica e dagli enti gestiti direttamente dalla Santa Sede anche fuori di Roma, a dignitari, impiegati e salariati, anche non stabili»;
la C.T.P. accolse parzialmente i ricorsi, qualificando l’attività della R. come prestazione coordinata e continuativa e perciò ritenendola assoggettabile ad IRPEF, ma non ad IRAP ed IVA;
detta sentenza, gravata dalla R. con appello principale e dall’amministrazione con appello incidentale, fu riformata dalla C.T.R. dell’Umbria, che ritenne sussistente un rapporto di lavoro autonomo, a fronte della sostanziale inconsistenza del reddito da attività agricola, escludendo l’applicazione dell’esenzione concordataria;
per la cassazione della decisione d’appello propone ricorso C.R. sulla base di sei motivi; l’amministrazione intimata resiste con controricorso;
in prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memoria integrativa contenente istanza di fissazione della discussione in pubblica udienza e produzione ex art. 372 cod. proc. civ.;
Considerato che
con il primo motivo la ricorrente denunzia «errata motivazione su un punto decisivo della controversia», in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., dolendosi del fatto che la C.T.R., nel qualificare il suo rapporto con l’ente ospedaliero, abbia dato rilievo ad elementi formali, anziché verificarne la vera natura sulla base delle concrete risultanze;
con il secondo motivo, denunziando «omesso esame di un fatto decisivo ai fini della controversia e vizio della motivazione», assume che la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto che, nel periodo d’imposta considerato, la R. non fosse titolare di partita IVA in merito all’attività svolta per l’ente ospedaliero;
con il terzo motivo, anch’esso formulato in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., la ricorrente si duole del mancato esame, da parte dei giudici d’appello, di documenti che avrebbero consentito di appurare il carattere subordinato dell’attività prestata;
con il quarto motivo deduce poi «omessa motivazione su un punto decisivo della controversia», assumendo che la C.T.R. non avrebbe preso in considerazione l’argomento volto a sostenere l’esistenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, quantunque contenuto in uno dei motivi di appello;
con il quinto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ., 1362, 2094, 2104 e 2222 cod. civ., nonché dell’art. 50, comma 1, lett. c-bis), del d.P.R. 22/12/1986, n. 917, assumendo che l’errata qualificazione del rapporto sarebbe stata affermata «in aperta contraddizione con le riferite evidenze documentali, e comunque ignorandole del tutto»;
con il sesto motivo, infine, denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 60 del d.lgs. 10/09/2003, n. 276, osservando che, in ogni caso, la C.T.R. avrebbe omesso di rilevare che la sequenza ininterrotta di contratti di collaborazione da lei conclusi con l’ente ospedaliero doveva considerarsi idonea a far insorgere un rapporto di lavoro subordinato, essendo chiaramente emersa la non riconducibilità di tali contratti ad uno o più specifici progetti o programmi di lavoro;
in relazione a tale ultimo motivo, con la memoria integrativa la ricorrente ha evidenziato che un’ulteriore controversia con l’Agenzia delle Entrate, insorta a seguito della notificazione degli avvisi di accertamento per le annualità 2008 e 2009, è stata definita dalla C.T.R. dell’Umbria con sentenza n. 392 del 2/11/2017, passata in giudicato per omessa impugnazione, che ha accolto l’appello da lei proposto;
tale sentenza, in particolare, ha ricondotto al tipo del lavoro subordinato il rapporto fra la ricorrente e l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, presupposto dell’attività di accertamento, conformemente alle risultanze del verbale di conciliazione sindacale intervenuto nel giudizio medio tempore insorto fra la ricorrente e detto ente;
in detto verbale, infatti, l’Ospedale Bambin Gesù aveva riconosciuto che — sin dal suo sorgere, risalente al 1° gennaio 2005 — il rapporto fra le parti aveva natura di lavoro subordinato, versando i connessi oneri previdenziali;
secondo la ricorrente, pertanto, la sentenza della C.T.R. spiega effetti vincolanti anche nel presente giudizio, in quanto pronunciata tra le medesime parti ed in relazione al medesimo oggetto;
il sesto motivo, che merita scrutinio prioritario per il suo carattere dirimente, è fondato e merita accoglimento;
al riguardo, va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte hanno riconosciuto la natura pubblicistica dell’interesse al rispetto del giudicato e l’inclusione della relativa questione fra quelle di diritto, affermando, conseguentemente, la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno, ove esso risulti da atti comunque prodotti (Cass. Sez. U., n. 1416/2004; Cass. Sez. U., n. 226/2001);
siffatta natura dell’interesse all’accertamento del giudicato, consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione e connesso all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, così, non si estende ai documenti che lo attestano e che si siano formati, come nel caso di specie, dopo la notifica del ricorso e prima dell’udienza di discussione;
tali documenti, infatti, comprovano la formazione di una “regula iuris” alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, e attengono a una circostanza che incide sull’interesse delle parti alla decisione, essendo così riconducibili alla categoria dei documenti che riguardano l’ammissibilità del ricorso (Cass. n. 37/2019);
ciò posto, la sentenza della C.T.R. umbra ha ricostruito l’evoluzione storica del contenzioso fra la R. e l’Ospedale Bambin Gesù, dando atto del fatto che, in data 11/08/2016, le parti avevano sottoscritto un verbale di conciliazione con II quale l’ente riconosceva che fra le parti era sorto un rapporto di lavoro subordinato a far data dal 1° gennaio 2005, impegnandosi a versare i contributi previdenziali;
la stessa sentenza ha quindi osservato che tale conciliazione, “benché priva di efficacia di giudicato e vincolante solo tra le parti ai sensi dell’art. 1372 […] esplica i propri effetti anche nel giudizio tributario a meno che non risulti in frode alla legge, circostanza questa non eccepita dall’Agenzia né invero in alcun modo desumibile dagli atti depositati in giudizio”, facendone perciò conseguire la non tassabilità dei relativi redditi;
la statuizione in parola ha dunque preso atto dell’esistenza di un’agevolazione a carattere soggettivo disposta in favore dei dipendenti della Santa Sede o degli enti da questa gestita e degli altri enti centrali della Chiesa Cattolica dall’art. 3 d.P.R. 29/09/1973, n. 601, in attuazione dell’art. 17 dei Patti Lateranensi;
la stessa sentenza risulta in effetti passata in giudicato, essendo decorso il termine di cui all’art. 325, comma secondo, cod. proc. civ. dalla relativa notificazione all’amministrazione finanziaria, avvenuta il 14/11/2017, ed il giudicato che ne deriva spiega effetti vincolanti nel presente giudizio;
a tale ultimo riguardo, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che la cd. regola del giudicato esterno «non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacché anche in tal caso l’oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi di imposta può consentire un’ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato»;
su tale base, inoltre, questa Corte ha più volte ribadito che il giudicato si forma sul rapporto d’imposta, come configurato dalla pretesa fatta valere dall’Amministrazione con l’atto impositivo, nonché sull’applicazione ed interpretazione di una norma in relazione ad una specifica fattispecie accertata dal giudice, e non sull’affermazione di un principio astratto avulso da un caso concreto (Cass. n. 37/2019);
pertanto, il giudicato formatosi nell’ambito della controversia inerente alla legittimità dell’imposizione per annualità diverse da quelle oggetto di accertamento in questa sede, ma originate dal medesimo presupposto, in ragione della riconosciuta unicità del rapporto lavorativo, estende i suoi effetti anche al presente giudizio;
l’accoglimento dell’eccezione di giudicato assorbe i restanti motivi di ricorso;
in conclusione, va accolto il sesto motivo di ricorso, assorbiti i restanti motivi, e la sentenza impugnata va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con l’accoglimento del ricorso originario della contribuente.
Avuto riguardo alla peculiarità della vicenda processuale, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese.
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e decide nel merito mediante accoglimento del ricorso originario della contribuente; spese compensate.
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