CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 dicembre 2018, n. 32469
Tributi – Cessione di terreni – Plusvalenza tassabile – Qualificazione come area edificabile – Procedimento di trasformazione urbanistica in fase iniziale – Validità – Art. 36, co. 2, D.L. n. 223 del 2006 – Efficacia retroattiva e valenza generale
Fatti di causa
la contribuente era comproprietaria di terreni siti nel Comune di Bolzano. Insieme ad altri comproprietari provvedeva alla rideterminazione del valore fiscale dei terreni ai sensi dell’art. 7, della legge n. 448 del 2001. Optava quindi per il pagamento rateale dell’imposta sostitutiva, ma versava solo, in data 16.12.2002, la prima delle tre rate annuali. Quindi i comproprietari, con atto del 18.6.2003, vendevano le aree al Comune di Bolzano al prezzo di Euro 3.021.584,16, inferiore al valore fissato nella perizia di stima, non realizzandosi pertanto alcuna plusvalenza tassabile ex art. 81 (ora 67), comma primo, lett. b), Dpr n. 917 del 1986 (TUIR). L’Agenzia delle Entrate, però, disconosceva l’efficacia della operata rivalutazione, sia perché non indicata al Quadro RM della dichiarazione dei redditi 2003, sia perché l’imposta sostitutiva non era stata interamente corrisposta, e pertanto inviava a ciascun comproprietario-venditore un avviso di accertamento, con il quale recuperava l’Irpef dovuta per l’intera plusvalenza imponibile, oltre accessori. Soltanto in relazione all’odierna controricorrente E. S., imprenditrice agricola che l’Agenzia assumeva avere venduto terreni edificabili, l’Ente impositore richiedeva, in relazione alla parte del corrispettivo della vendita di spettanza della contribuente, anche il pagamento dell’Iva e dell’Irap.
Era espletata, senza successo, procedura di accertamento con adesione, e quindi gli intimati proponevano ricorso giurisdizionale contestando innanzitutto, innanzi alla Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano, il disconoscimento dell’avvenuta rivalutazione dei terreni. E. S., poi, per quanto ancora di interesse, denunciava pure la illegittimità della pretesa del suo assoggettamento a tributo per Iva ed Irap, perché in realtà i terreni, quando erano stati venduti, non avevano ancora natura edificatoria, essendo piuttosto ricompresi in zona di verde agricolo, anche se il Comune di Bolzano ne aveva previsto la destinazione edificatoria con delibera del 12 settembre 2002, attivando una procedura di riclassificazione comunque non conclusa. La Commissione Tributaria di primo grado riuniva i ricorsi proposti dagli opponenti e li rigettava tutti.
I contribuenti ricorrevano allora innanzi alla Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano, rinnovando anche la contestazione relativa alla illegittimità delle sanzioni irrogate e criticando il regime delle spese di lite.
II giudice dell’appello accoglieva i ricorsi. Osservava che la mancata indicazione del valore rideterminato dei terreni nel quadro RM della dichiarazione dei redditi non costituisce una condizione di validità o efficacia della rivalutazione di cui all’art. 7, della legge n. 448 del 2001. Rilevava pure che l’ulteriore argomento, secondo cui la rivalutazione non si sarebbe perfezionata in conseguenza del pagamento della sola prima rata degli oneri di plusvalenza, e dell’omesso versamento delle due ulteriori, appariva infondato e comunque in contrasto con la circolare n. 35/E, emanata da quella stessa Agenzia delle Entrate che invocava ora una diversa interpretazione. La Commissione di secondo grado non mancava di sottolineare che, comunque, “le rate non assolte dell’imposta sostitutiva andranno iscritte a ruolo e maggiorate di interessi e sanzioni”. Quanto ai recuperi di Iva ed Irap nei confronti della contribuente E. S., il giudice dell’appello riteneva infondata la tesi dell’Agenzia, accolta dal giudice di primo grado, secondo cui alla data della vendita dei terreni, intervenuta il 18.6.2003, i suoli avrebbero dovuto considerarsi aventi natura edificatoria, poiché il Comune di Bolzano aveva già adottato, il 12.7.2002, la variante di piano regolatore che attribuiva agli stessi tale qualifica. Argomentava la Commissione di secondo grado che la norma di cui all’art. 36, comma secondo, Dl. n. 223 del 2006, la quale ha previsto, con efficacia anche retroattiva, che un’area debba essere considerata fabbricabile quando sia intervenuta la sola classificazione comunale, anche a volerla qualificare di interpretazione autentica, si poneva comunque in contrasto con il disposto degli artt. 3, comma 1, e 2, comma 2 dello Statuto del contribuente (l. n. 212 del 2000), che prevede il divieto di retroattività delle leggi tributarie, e non poteva quindi trovare applicazione in ordine ad un tributo Iva richiesto in relazione ad operazione imponibile conclusa prima dell’entrata in vigore della nuova normativa. A maggior ragione doveva poi annullarsi l’impugnato accertamento in relazione alla rettifica in aumento dell’imponibile Irap, perché “la Commissione di 1° grado ha tenuto conto del corrispettivo della cessione dei terreni in questione considerandoli aree fabbricabili. La pronuncia è frutto di un palese errore, in quanto la nuova definizione di aree fabbricabili, data dall’art. 36 del Dl. n. 223/2006 non ha portata generale, essendo stata espressamente dettata ai soli fini dell’Iva, dell’Imposta di registro, delle Imposte dirette e dell’Ici, e non anche per altre imposte, quali … l’Irap”. Avverso la pronuncia della Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano, in relazione alla sola posizione di E. S., ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. Resiste con controricorso la contribuente.
Ragioni della decisione
1.1. – Con il suo motivo di ricorso l’Ente impositore contesta, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 2, del Dpr n. 633 del 1972, 9, del D.Lgs. n. 446 del 1997, nonché 2 e 3, della legge n. 212 del 2000 e 36 del DI n. 223 per avere la Commissione Tributaria di secondo grado negato che, in conseguenza dell’approvazione di variante del piano territoriale, i terreni oggetto di causa dovessero qualificarsi edificabili, con tutte le conseguenze che ne derivano in materia di tributi imponibili.
2.1. – Con il suo articolato motivo di impugnazione l’Agenzia delle Entrate contesta che la Commissione di secondo grado impugnata ha errato a ritenere i suoli oggetto di causa, ai fini della imposizione per Iva ed Irap, come aventi ancora natura agricola all’epoca della stipula dell’atto di vendita dei terreni al Comune di Bolzano, il 18.6.2003, sebbene il Comune avesse già approvato una variante del piano regolatore che attribuiva agli stessi la natura di suoli edificatori, in data 12.9.2002.
La Commissione tributaria impugnata ha argomentato, in proposito, che la procedura di variazione della destinazione urbanistica non si era ancora completata. In contrario deve osservarsi, secondo la ricorrente Agenzia, che sussiste una differenza da non trascurare tra la legislazione urbanistica, la quale prevede una serie di adempimenti anche ulteriori rispetto alla approvazione del piano regolatore (o sua variante) da parte del Comune, perché la modifica della destinazione urbanistica di un suolo possa definirsi completa, valida ed efficace, e quelle che sono invece le valutazioni effettuate in proposito dal legislatore fiscale, il quale “guarda al valore del bene e quindi … tiene conto del fatto che la vocazione edificatoria del suolo, formalizzata in un atto della procedura urbanistica (ossia la delibera comunale di approvazione del p.r.g.) determina un immediato incremento del valore” del suolo, “che non può più essere agganciato a quello dei suoli agricoli, e che prescinde dalla successiva approvazione della Regione …” (ric., p. 12 s.). Occorre allora osservare che questa Suprema Corte aveva già avuto occasione di precisare, a Sezioni Unite, che “a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 11 quaterdecies, comma sedicesimo, del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e dell’art. 36, comma secondo, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma primo, lettera b), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. L’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo ius ae-dificandi o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta”, Cass. S.U., 30.11.2006, n. 25506.
Occorre peraltro rilevare come la contribuente, mediante il proprio contro- ricorso, abbia osservato pure che l’art. 36, comma 2, DI n. 223 del 2006, ha comunque provveduto ad indicare i tributi in ordine ai quali la qualifica di suoli edificabili, fondata sulla sola approvazione comunale dello strumento urbanistico, risultava applicabile, ed ha escluso dall’elenco l’Irap, ed in relazione a quest’ultimo la valutazione operata dalla Commissione Tributaria di secondo grado non poteva incontrare censure. In proposito deve allora sottolinearsi che questa Corte ha avuto modo di specificare che “l’art. 36, comma 2, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. in l. n. 248 del 2006, è norma d’interpretazione autentica, che ha portata retroattiva e valenza generale, sicché si applica anche alle fattispecie anteriori alla sua entrata in vigore ed ai tributi diversi da quelli in essa espressamente contemplati in tutti i casi in cui venga in rilievo l’utilizzazione edificatoria di terreni”, non mancando di chiarire che “non è d’ostacolo alla qualificazione del ridetto art. 36, secondo comma, quale norma interpretativa (e quindi retroattiva) il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 1, secondo comma e art. 3, primo comma – secondo cui “l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica, e secondo cui “salvo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”. Ciò in quanto è un fatto che l’art. 36, comma 2 cit. è norma di carattere interpretativo, come detto, e che esso è infine e comunque dotato della stessa forza della L. n. 212 del 2000, che non ha valore superiore a quello della legge ordinaria”, Cass. sez. V, 23.9.2016, n. 18655 (conf. Sez. V, 19.1^2014, n. 27077).
I principi espressi in materia dalla Suprema Corte appaiono quindi chiari e condivisibili, e devono pertanto essere confermati.
Il motivo di ricorso deve essere pertanto accolto, con rinvio alla Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano che, in diversa composizione, procederà a nuovo giudizio nel rispetto dei principi innanzi esposti, pronunciando anche sulle domande assorbite in conseguenza della decisione assunta in secondo grado ed ora cassata, e provvedendo pure a disciplinare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano che, in diversa composizione, provvederà alla rinnovazione del giudizio, nel rispetto dei principi innanzi esposti e disciplinerà anche le spese di lite del presente ricorso per cassazione.
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