CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 febbraio 2019, n. 4344

Imposte indirette – IVA – Accertamento – Raddoppio dei termini – Fatture emesse per operazioni inesistenti

Rilevato che

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, ha rigettato — oltre all’appello incidentale proposto dalla società contribuente sulla questione del raddoppio dei termini di accertamento, che qui non rileva — anche l’appello principale dell’Agenzia delle entrate riconoscendo il diritto della società contribuente di portare in detrazione l’IVA risultante da fatture emesse per operazioni inesistenti, ritenendo di non condividere i principi espressi in materia da questa Corte di cassazione, ma di dare prevalenza, perché inderogabile, al principio di neutralità dell’IVA in fattispecie come quella in esame in cui «non si è in presenza di alcuna condotta evasiva, avendo l’erario non soltanto non avuto alcun danno, ma addirittura un vantaggio dalla indebita sovrafatturazione delle prestazioni» e che non ricorreva «alcun indizio di una condotta fraudolenta ai fini fiscali di uno qualsiasi dei soggetti coinvolti».

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod.proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la controricorrente ha depositato memorie.

Considerato che

1. Con il motivo di ricorso, incentrato sulla indetraibilità dell’IVA relativa ad operazioni commerciali sovrafatturate e, come tali inesistenti, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione da parte dei giudici di appello degli artt. 19 e 21, comma 7,d.P.R.n. 633 del 1972.

2. Orbene, quella contestata dall’amministrazione finanziaria alla società contribuente è la sovrafatturazione di operazioni commerciali, ovvero quel particolare meccanismo fraudolento che costituisce anche il presupposto per la configurabilità della fattispecie illecita prevista dall’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, ovverosia l’«emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti», in relazione alla quale si è affermato che “Il delitto previsto dall’art. 8 del D.Lgs.n. 74 del 2000 e dall’art. 4, comma primo, lett. d) legge n.516 del 1982, intende punire ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e l’espressione documentale di essa e non soltanto la mancanza assoluta dell’operazione. La falsa fatturazione quantitativa è punita non solo nel caso in cui la divergenza tra il reale ed il rappresentato è totale, ma anche quando è parziale e l’operazione economica si sia effettivamente verificata tra i soggetti indicati in fattura, ma in termini minori rispetto al dichiarato» (Cass. pen., n. 5804 del 2004; v. anche Cass. pen. n. 45056 del 2010).

3. La sovrafatturazione è quindi disciplinata, in ambito fiscale, dall’art. 21, comma 7,d.P.R.n. 633 del 1972 che, nella versione vigente ratione temporis prevedeva che, «se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relativi sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura» (disposizione modificata dall’articolo 31, comma 1, del d.lgs. n. 158 del 2015, con decorrenza dal 1° gennaio 2016, che attualmente prevede che l’imposta in tali ipotesi è dovuta dal «cedente o prestatore», che emette la falsa fatturazione).

3.1. Al riguardo questa Corte ha precisato che «In tema d’IVA, in attuazione del principio di cartolarità posto a base del sistema impositivo va escluso il diritto alla detrazione, ai sensi dell’art. 19, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti non assumendo rilievo che il cessionario abbia versato al cedente l’ammontare del tributo sulla base della regolarità formale dell’operazione dal punto di vista contabile e fiscale, atteso che l’imposta è dovuta ogniqualvolta la fattura sia emessa, seppure per un’operazione non avvenuta o non avvenuta nei termini in essa descritti» (Cass., Sez. 6 – 5, ord. n. 12111 del 10/06/2015; in termini, Cass., Sez. 5, sent. n. 1565 del 27/01/2014; Sez. 5, sent. n. 10939 del 27/05/2015, Rv. 635942; n. 20060 del 07/10/2015, Rv. 636663; ord. n. 11873 del 2018; ord. n. 9721 del 19/04/2018, Rv. 647833, par. 7.1 e segg.) Analogamente non rileva l’effettivo utilizzo della fattura emessa per operazioni inesistenti, in quanto nella fattispecie tributaria di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, che fa applicazione del “principio di cartolarità”, l’insorgenza del rapporto impositivo sorge per la semplice “emissione” del documento contabile, completo in tutto i suoi elementi formali, in quanto suscettibile di essere utilizzato a fini fiscali – o ad altri fini giuridicamente rilevanti – ove non sia stato tempestivamente eliminato e sottratto al commercio giuridico (Cass., Sez. 5, sent. n. 10939 del 27/05/2015, in motivazione).

3.2. Sempre in tale ultima pronuncia si è condivisibilmente affermato che «Il principio di neutralità dell’IVA, che informa la disciplina comunitaria, non viene ad essere peraltro contraddetto dalla norma tributaria in questione (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7), avuto riguardo al chiaro disposto normativo dell’art. 21, paragr. 1, lett. c), della Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio in data 17.5.1977, applicabile “ratione temporis”, secondo cui deve ritenersi “soggetto passivo” d’imposta colui che “indichi l’imposta sul valore aggiunto) in una fattura o in altro documento che ne fa le veci” [disposizione riprodotta nell’art. 203 della nuova Direttiva IVA, 206/112/CE del Consiglio del 28/11/2006, che prevede che <l’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura». Se infatti la Corte di Giustizia 171 ha ripetutamente affermato che il diritto alla detrazione implica indefettibilmente la effettiva debenza della imposta indicata in fattura, non essendo pertanto sufficiente a consentire l’esercizio  del diritto alla detrazione la mera indicazione in fattura della imposta, qualora questa “non corrisponda ad un’operazione determinata, perché è più elevata di quella dovuta per legge o perché l’operazione di cui trattasi non è soggetta all’IVA” (la decisione capostipite è la sentenza della Corte di giustizia CE, in data 13.12.1989, in causa C- 342/87, Genius Holding BV), tale affermazione deve essere, evidentemente, correlata alle ipotesi in cui la sottostante inesistenza – totale o parziale – della operazione falsamente rappresentata in fattura risulti tempestivamente ed utilmente accertata dalle autorità fiscali e sia stati effettivamente “neutralizzati” gli effetti giuridici (idest il diritto alla detrazione della imposta versata in rivalsa) conseguenti all’immissione del documento nel circuito del “sistema &RIVA”: diversamente, nelle ipotesi in cui, non sia stato possibile impedire l’esercizio del diritto alla detrazione od al rimborso da parte del cessionario/committente, destinatario della fattura passiva ideologicamente falsa (ad esempio, versando il destinatario della fattura in buona fede, ovvero essendo decorso il termine di decadenza per l’accertamento nei confronti del medesimo soggetto), la pretesa fiscale della Amministrazione finanziaria nei confronti dell’emittente – soggetto passivo, fatta valere in relazione all’IVA liquidata in fattura se pure emessa a fronte di operazione inesistente, trova fondamento nella esigenza di evitare il pregiudizio che altrimenti verrebbe a determinarsi alle risorse finanziarie della Comunità, ove alla minore entrata dovuta alla detrazione d’imposta effettuata dal cessionario/committente, non venisse a corrispondere la maggiore entrata riscossa con il prelievo fiscale operato nei confronti del soggetto passivo (cfr. Corte di giustizia sentenza 18.6.2009, C-566/07, Stadeco, punto 28).

3.6 La istituzione di tale necessaria correlazione tra prelievo e detrazione, è dunque determinata proprio dalla introduzione della fattura (recante dati non corrispondenti alla effettiva realtà della operazione) nella operatività del sistema dell’IVA, che non tollera che la medesima fattura, una volta “emessa”, possa legittimare l’esercizio del diritto alla detrazione d’imposta ma non anche la riscossione della imposta, e si palesa quindi ragione idonea a fugare, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, i paventati dubbi di incompatibilità con l’ordinamento comunitario e di illegittimità costituzionale prospettati dalla società resistente, sotto il profilo della surrettizia funzione meramente sanzionatoria- repressiva della norma tributaria in esame, rimanendo al contrario evidenziata la funzione di ripristinatoria dell’equilibrio del sistema dell’IVA svolta dalla predetta norma eliminando l’anomalia” creata in difetto di rettifica od annullamento della fattura contenente dati difformi dalla realtà della operazione economica (cfr. Corte di giustizia, sentenza 31 gennaio 2013, C-642/11, Stroy trans EOOD, punto 34 e 35, in relazione all’art. 203 della direttiva n. 112/2006 che ha riprodotto l’art. 21, della 6″ direttiva n. 388/1977)».

4. Orbene, con riferimento al caso di specie osserva il Collegio che diversamente da quanto sostenuto dalla società contribuente nel controricorso e ribadito nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis, secondo comma, ultima parte,c.p.c., non vi è stato alcun accertamento da parte dei giudici di merito circa l’effettività delle operazioni contestate, in quanto sia i giudici di primo grado (per come si legge a pag. 3 della sentenza impugnata, ove si legge che con la sentenza n. 197/2015, la Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano «Ritenne in sostanza che ancorché pagata su prestazioni sovrafatturate, fosse ugualmente detraibile»), che quelli d’appello (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata, ove la Commissione d’appello sostiene che «Non si è in presenza di alcuna condotta evasiva, avendo l’erario […] addirittura ricevuto un vantaggio dalla indebita sovrafatturazione delle prestazioni (…)», ritenuta quindi sub specie sussistente) si sono limitati a sostenere — invero erroneamente, per come detto sopra — la detraibilità dell’IVA su prestazioni sovrafatturate, peraltro sulla base di circostanze.

5.  Da quanto detto emerge con evidenza che le tesi sostenute dalla CTR si pongono in insanabile ed ingiustificato contrasto con i sopra enunciati principi giurisprudenziali con la conseguenza che il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione d’appello competente che provvederà ad esaminare eventuali ulteriori profili di merito e a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.