CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 febbraio 2019, n. 4397
Tributi – IVA – Importazioni di merce extracomunitaria in regime di libera pratica – Sospensione del pagamento dell’IVA – Immissione solo virtuale della merce nel deposito fiscale – Imposta dovuta – Regolarizzazione mediante autofattura tardiva – Legittimità
Rilevato che
La ricorrente propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe, di rigetto dell’appello da essa proposto in relazione alla sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che ne aveva respinto il ricorso avente ad oggetto l’avviso n. 15291 del 3 ottobre 2007, volto al recupero di IVA all’importazione, scaturente, nella prospettazione dell’ufficio, dall’omessa introduzione fisica, nei depositi fiscali IVA, di merce di provenienza extracomunitaria e dalla conseguente, ritenuta inapplicabilità del regime fiscale contemplato dall’art. 50 bis, comma 4, lett. b), del d.l. n. 331 del 1993;
– Il ricorso per cassazione è affidato a quattro motivi;
– L’Agenzia delle Dogane ha resistito con controricorso.
Considerato che
– Con il primo motivo di ricorso, la contribuente lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere il giudice d’appello trascurato di valutare l’incidenza sulla materia della l. n. 2 del 2009, di conversione del d.l. n. 185 del 2008 e di interpretazione autentica dell’art. 50 bis del d.l. n. 331 del 1994 (ndr art. 50 bis del d.l. n. 331 del 1993);
– Con il secondo motivo di ricorso, la contribuente denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 16, comma 5 bis, d.l. n. 185 del 2008, conv. con l. n. 2 del 2009, e dell’art. 1766 c.c., per essere la decisione fondata sul presupposto erroneo secondo cui il mancato immagazzinamento, ossia lo scarico e lo stoccaggio, della merce importata da B.A. implicasse l’insussistenza del presupposto di fatto legittimante il regime di esenzione dal pagamento dell’IVA previsto dalla norma evocata;
– Con il terzo motivo, la contribuente denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, d.l. n. 16 del 2012, conv. con l. n. 44 del 2012, per avere la decisione d’appello erroneamente escluso che le prestazioni di servizi relative ai beni consegnati al depositario integrassero il presupposto legittimante l’esenzione dall’IVA, non essendo normativamente imposti né tempi minimi di giacenza in deposito, né l’obbligo di scarico della merce dal mezzo di trasporto;
– Con il quarto motivo, la contribuente denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 17 e 70 del d.P.R. n. 633 del 1972, e dell’art. 50 bis, comma 6, del d.l. n. 331 del 1993, per avere la decisione impugnata trascurato di considerare che gli avvisi di rettifica dell’accertamento implicavano la duplicazione del carico impositivo;
– Il primo motivo è manifestamente inammissibile;
– Con esso si censura la mancata valutazione, da parte della Commissione tributaria regionale, della l. n. 2 del 2009, adducendo l’erronea interpretazione della disciplina dei depositi fiscali, proprio in ragione della trascurata incidenza della normativa di interpretazione autentica dell’art. 50 bis d.l. n. 331 del 1994 (ndr art. 50 bis d.l. n. 331 del 1993);
– Il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, attiene alla sola omissione del fatto storico controverso, principale o secondario, ritualmente allegato e dimostrato in giudizio, la cui esistenza risulti dalla sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
Mette in conto, pertanto, disattendere il motivo di censura, sulla base del seguente principio di diritto: “L’interpretazione dello jus superveniens e la correlata valutazione della sua rilevanza in ordine alla fattispecie oggetto di causa non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, in tale nozione dovendosi far rientrare i soli elementi fattuali, non anche quelli meramente interpretativi”;
– Il secondo e il terzo motivo di ricorso, intimamente connessi, sono suscettibili di trattazione unitaria; essi sono infondati e vanno respinti;
– Nel caso di specie appare incontroverso fra le parti che le merci importate non siano state scaricate nel magazzino, ma trattenute sugli automezzi, e fatte oggetto di mere operazioni documentali, senza essere sottoposte a forma alcuna di manipolazione;
– In ragione del condiviso orientamento di questa Corte, cui è d’uopo dare continuità, al fine di evitare l’immediato assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto per l’immissione in consumo di beni non comunitari immessi in libera pratica, occorre, per converso, che la loro introduzione nei depositi fiscali istituiti ai fini iva sia fisica e non soltanto virtuale (v. in particolare Cass. n. 15980 del 2015);
– Segnatamente, in tema di depositi fiscali ai fini IVA, previsti dall’art. 50 bis del d.l. n. 331 del 1993, l’esenzione dall’IVA all’importazione per l’ammissione in libera pratica di beni non comunitari presuppone l’effettivo immagazzinamento della merce, essendo la materialità del deposito, anche se non esplicitamente prevista dalla norma, insita nella stessa nozione civilistica di deposito art. 1766 c.c. nonché richiesta dalla disciplina comunitaria (artt. 98 – 110 Regolamento CEE n. 2913 del 1992 del Consiglio del 12 ottobre 1992, istitutivo del codice doganale comunitario) (v. su punto Cass. n. 2697 del 2014; Cass. n. 20958 del 2013; Cass. n. 11642 del 2013; Cass. n. 12263 del 2010);
La necessità di una custodia reale e non virtuale si desume, peraltro, dall’esplicito riferimento ai locali contenuto nell’art. 50 bis, comma 1, oltre che dalla necessità ivi prevista (comma 4, lett. a), che i beni vengano materialmente introdotti nel deposito;
– Anche il comma 6 della norma appena richiamata, laddove descrive le operazioni di “estrazione” dei beni dal deposito IVA ai fini della loro utilizzazione, presuppone ineludibilmente il materiale inserimento della merce in deposito; solo in questo senso, infatti, può essere interpretato detto comma, laddove prende in considerazione gli acquisti operati sui beni prima dell’estrazione “durante la giacenza fino al momento dell’estrazione”;
– È poi il comma 5, dell’art. 50 bis, in esame, a prevedere che i controlli doganali si effettuino attraverso la “vigilanza dell’impianto”;
Né va trascrutato che, nell’istanza di autorizzazione, i soggetti legittimati a gestire il deposito devono previamente individuare i locali di cui hanno la disponibilità, destinati alla custodia dei beni loro affidati (D.M. n. 419 del 1997, art. 2, comma 3);
– La fisicità del deposito IVA e la necessaria materialità dell’inserimento in esso dei beni emergono allora inequivocabilmente già dalle scelte semantiche operate dal legislatore, con l’uso di verbi come introdurre (il quale evoca l’attività fisica dell’immettere dentro qualcosa), e lemmi come custodia (che postula il rapporto, anch’esso corporeo, con la cosa che ne è oggetto) (v. Cass. n. 15980 del 2015 cit.);
La disciplina dei depositi fiscali IVA è, d’altronde, mirata ad evitare un trattamento fiscale deteriore in relazione ai beni comunitari rispetto a quello riservato ai beni provenienti da Paesi terzi, posto che, a seguito dell’abbattimento delle barriere tra gli Stati membri, soltanto per le merci extraeuropee era prevista proprio la possibilità dell’immagazzinamento nel territorio dell’Unione, senza assolvimento dei dazi e delle imposte nazionali, come l’IVA; scopo della norma è stato, dunque, quello di scongiurare l’assoggettamento indiscriminato all’IVA di tutti i singoli passaggi in ipotesi di cessioni intracomunitarie e di immissione in libera pratica di beni non comunitari: l’introduzione nei depositi all’uopo istituiti comporta, infatti, il differimento dell’obbligo di pagamento dell’imposta fino al momento dell’estrazione delle merci per l’immissione in consumo e pone l’obbligo direttamente a carico dell’ultimo acquirente;
– I depositi fiscali in questione sono luoghi fisici, ubicati sul territorio italiano, adibiti alla custodia di beni non destinati alla vendita al minuto nei locali che vi sono ricompresi e nei quali le merci entrano e stazionano, uscendo al momento dell’estrazione; essi si differenziano sia dal deposito doganale (contemplato dagli art. 98 e ss. del codice doganale comunitario), inteso come regime doganale, sia dal deposito fiscale per le accise, configurato come impianto, in cui avvengono la fabbricazione, la lavorazione, la trasformazione e la detenzione dei prodotti soggetti ad accisa, in regime sospensivo (art. 1, comma 2, lett. c., d.lgs n. 504 del 1995), entrambi, peraltro, considerati depositi IVA dall’art. 50 bis,
– Non vale a corroborare la virtualità dell’introduzione l’art. 4 del D.M. n. 419 del 2007, contenente il regolamento attuativo della disciplina dei depositi IVA, il quale prevede che l’introduzione e l’estrazione dei beni dal deposito debbano avvenire sulla scorta di un documento amministrativo, commerciale o di trasporto, con l’indicazione dei dati di cui all’art. 3, comma 1, del presente regolamento, fatti salvi i casi di cui all’art. 50 bis, comma 4, lett. b), del d.l. n. 331 del 1993, per i quali l’introduzione avviene sulla base del documento doganale di importazione; ciò in quanto la norma si limita a regolare le forme documentali che devono accompagnare l’introduzione e l’estrazione, coordinandole con le indicazioni che deve includere il registro contemplato dal precedente art. 3, il quale, significativamente, si riferisce alla movimentazione dei beni custoditi nel deposito IVA;
Siffatta conclusione non è incisa dall’art. 16, comma 5, del d.l. n. 185 del 2008, conv. dalla l. n. 2 del 2009, secondo cui “il d.l. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 bis, comma 4, lett. h), convertito, con modificazioni, dalla I. 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA”, in quanto la società contribuente non ha allegato di avere svolto tali prestazioni di servizi, venendo in discussione unicamente la mancata osservanza della previsione di cui all’art. 50 bis, comma 4, lett. b);
– Più in generale, non conducono a sorreggere una diversa conclusione, rispetto a quella sopra argomentata, le norme d’interpretazione autentica dell’art. 50 bis, comma 4, susseguitesi nel tempo, per mezzo dell’art. 16, comma 5, bis del d.l. n. 185 del 2008, come convertito, e successivamente modificato dal d.l. n. 179 del 2012, a sua volta convertito con modificazioni dalla l. n. 221 del 2012, secondo cui l’introduzione s’intende realizzata anche negli spazi limitrofi al deposito IVA, senza che sia necessaria la preventiva introduzione della merce nel deposito; la norma, infatti, si riferisce alla sola lett. h) dell’art. 50 bis, comma 4 ossia alle prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, non già alle operazioni, rilevanti nel caso in esame, di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA, oggetto della lettera b) del medesimo comma (v. tra le altre Cass. n. 21067 del 2018 e Cass. n. 15980 del 2015);
La giurisprudenza unionale ha confermato la piena compatibilità della legislazione e della giurisprudenza interna in tema di obbligatorietà dell’inserimento effettivo della merce nel deposito IVA, riconoscendo ai singoli Stati la possibilità di determinare le modalità con le quali fare operare il sistema del deposito fiscale dal quale derivare il beneficio dell’esenzione del pagamento dell’IVA ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, della sesta direttiva CEE (vedi, Corte Giust., 17 luglio 2014, Equoland; Corte Giust., 18 dicembre 2008, Sopropè);
– Con riguardo, specificamente, alla normativa nazionale la richiamata decisione del 17 luglio 2014, Equoland, ha evidenziato che “… il legislatore italiano ha previsto che, al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, il soggetto passivo abbia l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale, poiché si presume che tale presenza fisica garantisca la successiva riscossione dell’imposta”, obbligo che ha carattere formale ma è rilevante in quanto “… è atto a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti”, senza eccedere “quanto necessario per conseguire i suddetti obiettivi” ;
Emerge quindi con evidenza l’irrilevanza del fatto – pure valorizzato dalla parte ricorrente – rappresentato dal transito e dalla breve sosta degli automezzi recanti a bordo la merce presso il deposito, in considerazione del principio di diritto stabilito dalla Corte di giustizia, secondo il quale “l’art. 16, paragrafo 1, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini dell’IVA siano fisicamente introdotte nel medesimo” (punto 30 e dispositivo) (Corte giust., 17 luglio 2014, Equoland).
– Il quarto motivo è fondato e va accolto;
Mediante detta censura viene sollevata la questione della duplicazione del carico impositivo determinata dagli avvisi, posto che questi ultimi avevano prodotto una liquidazione aggiuntiva di imposta, che andava ad affiancarsi all’IVA già corrisposta attraverso l’emissione di autofattura e successivo versamento in sede di liquidazione periodica;
Mette in conto osservare che l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’IVA all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all’art. 50 bis, comma 4, lett. b), d.l. n. 331 del 1993 n. 331, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sia pur tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in C-272/13 Equoland (v. Cass. n. 17815 del 2015; Cass. n. 15988 del 2015; Cass. n. 10911 del 2015; Cass. 19749 del 2014);
– L’Agenzia delle Dogane non può, quindi, disconoscere il pagamento dell’IVA avvenuto mediante inversione contabile, senza che tale esborso conferisca un diritto a detrazione, pena la violazione del principio comunitario di neutralità dell’imposta in oggetto;
Le coordinate tratteggiate dalla Corte di Giustizia sono state seguite anche dall’Amministrazione Finanziaria (v. Agenzia delle Entrate, Circolare n. 12/E del 24 marzo 2015) che, con un’inversione di rotta, in linea con i suddetti principi giurisprudenziali, ha ritenuto non doversi procedere, in casi analoghi a quello esaminato dai Giudici lussemburghesi, alla richiesta dell’imposta già assolta mediante reverse charge, alla condizione, da accertare caso per caso, che non sussista evasione o tentativo di evasione (cfr. in tal senso anche Agenzia delle Dogane, Circolare n. 16/D del 20 ottobre 2014);
– Si è così approdati al superamento del precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui l’avvenuto assolvimento, mediante autofatturazione dell’IVA interna, non avrebbe potuto compensare l’omesso pagamento dell’imposta all’importazione, sicché l’Amministrazione sarebbe stata legittimata a richiedere il pagamento dell’IVA, non costituendo duplicazione del tributo e ciò in quanto, secondo tale prospettiva ormai inattuale, “il sistema di accertamento dei due tributi è diverso, in quanto l’IVA all’importazione è diritto di confine che deve essere accertato e riscosso nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo, e di cui una quota parte deve essere riversata alla Comunità Europea, mentre l’IVA nazionale viene autoliquidata e versata in relazione alla massa di operazioni attive e passive poste in essere dal contribuente e inserite nella dichiarazione periodica” (Cass. n. 10734 del 2013; Cass. n. 2254 del 2014);
– L’IVA all’importazione non può, d’altronde, essere considerata un tributo diverso da quella interna, il che si ricava perspicuamente dall’art. 1 del D.P.R. n. 633 del 1972, che, nell’individuare le operazioni rilevanti ai fini dell’applicazione del tributo, menziona espressamente, oltre alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi, anche le importazioni, a riprova del fatto che si tratta comunque di operazioni per le quali si verifica il presupposto applicativo della stessa imposta;
– Il fatto che l’IVA all’importazione costituisca un tributo interno al pari dell’IVA nazionale è stato, altresì, riconosciuto dalla stessa Agenzia delle Dogane (Circolare n. 10/D del 4 marzo 2003) la quale, in relazione al condono tombale di cui alla l. n. 289 del 2002, ha affermato che questo ultimo si può applicare solamente ai tributi nazionali, tra i quali rientra espressamente l’IVA all’importazione, mentre ne restano esclusi i dazi, in quanto risorsa propria comunitaria;
Essendo UVA all’importazione un tributo interno ed essendo stati posti in essere gli adempimenti contabili in materia di reverse charge, ne deriva che non vi è stata alcuna evasione di imposta e, quindi, alcun danno all’Erario;
– In effetti, per chiara scelta normativa, il meccanismo dell’inversione contabile è idoneo, di per sé, a costituire adempimento dell’obbligazione tributaria: l’art. 17, comma primo, del d.P.R. n. 633 del 1972 dispone che “l’imposta è dovuta dal soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista dall’art. 19”;
– Non essendovi alcuna frode, dato l’assolvimento dell’IVA, l’Amministrazione non può chiedere il pagamento dell’IVA all’importazione, né può disconoscere il diritto alla detrazione, essendo l’omessa introduzione delle merci nel deposito una violazione meramente formale, che non ha inciso in alcun modo sulla debenza dell’IVA che, seppur tardivamente, è stata incamerata dall’Erario;
– Il diritto alla detrazione è un diritto comunitariamente riconosciuto, sicché fuori dei casi di frode, il Fisco non può precludere l’esercizio di tale diritto in tutti i casi in cui l’operazione sia stata correttamente adempiuta e contabilizzata, in quanto non vi è alcun debito di imposta a giustificazione di tale disconoscimento (cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza 8 maggio 2008, C- 95/07 e C- 96/07, nota come “Ecotrade”, la quale afferma che: “Infatti, se è vero che tali disposizioni consentono agli Stati membri di adottare talune misure, esse non devono tuttavia eccedere quanto è necessario per conseguire gli obiettivi indicati al punto precedente. Simili misure non possono quindi essere utilizzate in modo tale da rimettere sistematicamente in questione il diritto alla detrazione dell’IVA, il quale è un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa comunitaria in materia”) ;
La censura è, dunque, fondata, essendosi la Commissione tributaria regionale discostata dal seguente principio di diritto: “L’assolvimento dell’iva intracomunitaria col metodo dell’inversione contabile, in luogo dell’assolvimento dell’IVA all’importazione, non consente al fisco di richiedere nuovamente il pagamento dell’imposta“;
– Il ricorso va, in conclusione, accolto; la sentenza impugnata va cassata e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, con l’accoglimento dell’impugnazione originariamente proposta;
– Il recente consolidamento della giurisprudenza di legittimità induce a compensare le spese del giudizio;
P.Q.M.
Rigetta i primi tre motivi di ricorso; accoglie il quarto; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’impugnazione originariamente proposta dalla contribuente; compensa tra le parti le spese del giudizio.
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