CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 febbraio 2020, n. 3751
Tributi – Accertamento -Notifica – Domicilio fiscale – Legale rappresentante – Contenzioso tributario
Rilevato
che la contribuente s.r.l. ” K.” propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR del Lazio, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una sentenza della CTP di Roma, che aveva respinto il suo ricorso avverso un avviso di accertamento IVA, IRAP ed IRES 2008;
Considerato
che il ricorso è affidato a due motivi;
che con il primo motivo, la contribuente lamenta violazione artt. 24 e 111 comma 6 della Costituzione, 132 comma 2 n. 4 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 36 comma 2 n. 4 d. Igs. n. 546 del 1992, deducendo motivazione apparente ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., in quanto l’avviso di accertamento impugnato era stato illegittimamente notificato al legale rappresentante della società, residente in Sacrofano, mentre la società contribuente aveva il domicilio fiscale in Roma; pertanto la sentenza impugnata era da ritenere affetta dal vizio di motivazione apparente, non essendo stati indicati gli elementi, sui quali la CTR aveva fondato il proprio convincimento;
che, con il secondo motivo, la contribuente lamenta violazione artt. 24 e 111 comma 6 della Costituzione, 132 comma 2 n. 4 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 36 comma 2 n. 4 d. Igs. n. 546 del 1992, deducendo motivazione apparente ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ, con riferimento al terzo motivo di appello proposto, con il quale aveva chiesto il riconoscimento della detrazione IVA risultante dalla differenza fra operazioni attive e quelle passive, come realmente effettuate ovvero come presuntivamente calcolate dall’ufficio, in applicazione dei principi comunitari vigenti in materia di tributi armonizzati, quali l’IVA; e sul punto la sentenza impugnata non si era posta la questione dei rapporti fra norma interna e norma comunitaria, con conseguente sussistenza sul punto del vizio di motivazione apparente, in quanto il giudice non aveva indicato gli elementi, sui quali aveva fondato il proprio convincimento. Era stata poi sollevata una questione di illegittimità costituzionale dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 per contrasto con la normativa comunitaria, nonché questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 234 trattato CEE, circa l’interpretazione degli artt. 17 e 18 della VIA direttiva del Consiglio n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977, onde accertare se dette norme consentivano ad uno Stato membro di escludere la detrazione IVA, in caso di omessa dichiarazione IVA da parte del contribuente, non ascrivibile ad intento fraudolento;
che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;
che il primo motivo di ricorso è infondato, atteso che la CTR ha adeguatamente motivato in ordine alla rituale notifica dell’avviso di accertamento impugnato, siccome effettuata presso la residenza del legale rappresentante della società contribuente, ai sensi degli artt. 145 cod. proc. civ. e 60 d.P.R. n. 600 del 1973; e detta notifica è da ritenere legittima, pur se il legale rappresentante risiedeva in un Comune diverso da quello in cui la società aveva il suo domicilio fiscale, atteso che la più recente giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che l’art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1973, che sembrerebbe consentire tale tipo di notifica solo se la persona fisica che rappresenta la società risieda nel Comune in cui l’ente ha il suo domicilio fiscale, va interpretato nel senso che detta limitazione territoriale non è stata prevista dal legislatore a garanzia del contribuente, ma a tutela dell’operatività dell’ufficio, si che appare pienamente legittima la più garantista procedura della notifica di un atto al legale rappresentante di una società, che risieda in un Comune diverso dal domicilio fiscale dell’ente, qualora sia stata l’amministrazione finanziaria a scegliere di rinunciare alla limitazione territoriale delle ricerche, stabilita dalla norma di cui sopra unicamente in suo favore (cfr. Cass. n. 26540 del 2016; Cass. n. 18934 del 2015);
che è altresì infondato il secondo motivo di ricorso, con il quale la società contribuente ha lamentato motivazione apparente ed insufficiente della sentenza impugnata in ordine ad uno specifico motivo di appello da essa proposto e concernente l’incompatibilità fra l’indetraibilità dell’IVA 2008, stabilita dalla sentenza impugnata ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 e la normativa comunitaria, che non consentirebbe tale indetraibilità;
che invero la sentenza impugnata ha correttamente rilevato come non era consentito riconoscere alla società contribuente alcuna IVA in detrazione per l’anno in contestazione (2008), ai sensi degli artt. 55, 19, 27 e 33 del d.P.R. n. 633 del 1972, avendo essa volontariamente optato di esercitare, per l’anno in contestazione (2008), un’attività imprenditoriale, per sua natura fonte di operazioni imponibili, omettendo la registrazione dei corrispettivi IVA, la presentazione della dichiarazione annuale IVA ed il versamento dell’IVA dovuta, si che il comportamento da essa tenuto non poteva certo qualificarsi come incolpevole;
d’altra parte la società ricorrente neppure ha specificamente indicato nella presente sede né il come, né il dove era stata effettivamente documentata in giudizio l’esistenza di pagamenti di imposta a credito, in tal modo precludendo a questa Corte il preventivo giudizio di rilevanza della censura (cfr., in termini, Cass. n. 25694 del 2016; Cass. n. 1422 del 2015);
che, in siffatto contesto, non sussistono i presupposti né per sollevare una questione di illegittimità costituzionale dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 per contrasto con la normativa comunitaria, né per ritenere configurabile una questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 234 trattato CEE, circa l’interpretazione degli artt. 17 e 18 della VI direttiva del Consiglio n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977, onde accertare se dette norme consentano ad uno Stato membro di escludere la detrazione IVA, in caso di omessa dichiarazione IVA da parte del contribuente, tenuto conto della volontarietà del comportamento tenuto dalla società contribuente;
che il ricorso proposto dalla società contribuente va pertanto respinto, con sua condanna al pagamento delle spese processuali, quantificate come in dispositivo;
che, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della contribuente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la contribuente al pagamento delle spese di giudizio, quantificate in € 4.000,00, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
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