CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 febbraio 2020, n. 3821
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Reintegro della dipendente – Indennità risarcitoria – Motivo economico posto a base del recesso non inerente l’organizzazione aziendale dal datore di lavoro distaccante
Rilevato che
1. In data 19.10.2016 la C.M. e C. – CMC di Ravenna Soc. Coop – intimava alla dipendente Arch. A.L., Quadro di settimo livello e con mansioni di progettista, distaccata presso la B. sepa, licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
2. Impugnato il recesso dalla lavoratrice il Tribunale di Ravenna -con ordinanza del 14.7.2017 – dichiarava l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo e, ritenuto che il licenziamento fosse stato determinato unicamente dal motivo ritorsivo relativo alle sollecitazioni di intervento che la lavoratrice aveva adottato presso le autorità politiche in relazione alla vicenda del crollo del viadotto “Scorciavacche”, condannava la società a reintegrare la dipendente nel posto di lavoro e a corrisponderle una indennità risarcitoria commisurata a tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra, con la conseguente regolarizzazione contributiva e assistenziale.
3. Il medesimo Tribunale, con la pronuncia n. 351 del 2017, rigettava l’opposizione proposta dalla Cooperativa avverso la suddetta ordinanza.
4. A seguito di reclamo, proposto sempre dalla datrice di lavoro, la Corte di appello di Bologna con la sentenza n. 611 del 2018, in riforma della gravata pronuncia dichiarava la illegittimità del licenziamento, di cui disponeva l’annullamento e ordinava alla C.M. e C. – CMC di Ravenna Soc. Coop. – di reintegrare la dipendente e di corrisponderle l’indennità risarcitoria di cui all’art. 18 comma 4 della legge n. 300 del 1970 nella misura delle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento illegittimo alla effettiva reintegra.
5. A fondamento del decisum i giudici di seconde cure rilevavano che il licenziamento era illegittimo perché il motivo economico posto a base del recesso non ineriva l’organizzazione aziendale dal datore di lavoro distaccante, bensì l’organizzazione della società presso cui la lavoratrice era distaccata; ritenevano, poi, infondata la natura ritorsiva del licenziamento per mancata prova sulla circostanza, tempestivamente allegata nella fase di opposizione, secondo cui il datore di lavoro fosse a conoscenza delle iniziative assunte dalla dipendente nei confronti del potere politico;
applicavano, infine, la tutela prevista dall’art. 18 co. 4 della legge n. 300 del 1970.
6. Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione la C.M. e C. – CMC di Ravenna Soc. Coop. – affidato a sei motivi, successivamente illustrati con memoria.
7. Resisteva con controricorso A.L., formulando ricorso incidentale sulla base di tre motivi, cui resisteva a sua volta con controricorso la società.
8. Il PG ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso principale.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo del ricorso principale la società denunzia la nullità delle sentenze di primo e secondo grado, in relazione all’art. 101 cpc, per violazione del principio del contraddittorio: omessa ammissione della prova testimoniale e conseguente omessa motivazione su un punto decisivo della controversia; si sostiene che erroneamente i giudici del merito avevano respinto la richiesta della articolata prova per testimoni pur vertendo la stessa su fatti che rappresentavano il fulcro della controversia e che erano meritevoli di un imprescindibile chiarimento.
3. Con il secondo motivo si eccepisce, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, la nullità della gravata sentenza in relazione all’art. 132 n. 4 cpc, perché la motivazione, come articolata nel caso in esame, era totalmente assente.
4. Con il terzo motivo la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto: nella fattispecie l’art. 18 della legge n. 300 del 1970 come modificato dalla legge n. 92 del 2012, in relazione alla errata applicazione della tutela reintegratola cd. “piena” per la ritenuta “manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo”, deducendo che, nel caso de quo, la tutela applicabile fosse quella prevista dall’art. 18 co. 5 della legge n. 300 del 1970 perché il fatto materiale (esternalizzazione dei compiti attribuiti alla L.) comunque sussisteva come accertato in prime cure.
5. Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, della violazione o falsa applicazione di norme di diritto: nella fattispecie l’art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, in relazione alle conseguenze del mancato repechage, per avere la Corte territoriale ritenuto erroneamente assorbito il motivo di appello relativo al presunto mancato repechage la cui sola violazione avrebbe comportato il riconoscimento della sola tutela indennitaria.
6. Con il quinto motivo la società lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione alla omessa valutazione delle motivazioni del licenziamento già comunicate nella lettera, in data 9.9.2016, di avvio della procedura ex art. 7 legge n. 604 del 1966 e confermate nella lettera di licenziamento del 19.10.2016 e dei mezzi istruttori richiesti da essa). Si sostiene, da un lato, che la motivazione della decisione di secondo grado, che aderiva acriticamente a quella di prime cure, era deficitaria e, quindi, da cassare e, dall’altro, che era stato omesso l’esame circa la soppressione dell’Ufficio Ambiente, dell’Ufficio Topografia, dell’Ufficio Acquisti di cantiere e la riduzione dell’organico alle dipendenze delle Direzioni di cantiere.
7. Con il sesto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alla impossibilità di “ricollocazione” dell’Arch. L. sia con riferimento alla sede e settore Italia di CMC, sia con riferimento al settore estero: in particolare, si evidenza che la Corte territoriale nulla aveva precisato sull’impossibilità di reinserimento della L. in altri cantieri e commesse.
8. Con il primo motivo del ricorso incidentale A.L. denunzia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione agli artt. 1 commi 48, 51 e ss. legge n. 92 del 2012, nonché agli artt. 2697, 2698 cc e 115 cpc, come modificato dalla legge n. 69 del 2009; si afferma che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto tempestivamente allegata la circostanza, proposta solo nella fase di opposizione, circa la mancata conoscenza, da parte della società, delle iniziative assunte da essa lavoratrice nei confronti del potere politico perché, male interpretando i precedenti di legittimità citati, non aveva rilevato la novità dei fatti costitutivi posti a base delle argomentazioni della datrice di lavoro e, conseguentemente, aveva ritenuto assente la natura ritorsiva del licenziamento come risultante dalle allegazioni in fatto, dalla produzione documentale e dai capitoli di prova per testi articolati sul punto.
9. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale eccepisce, ai sensi dell’art. 360 n. 3, 4 e 5 cpc, in relazione all’art. 132 n. 4 cpc, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione in punto di “diverso riscontro” in ordine alla ritorsività del licenziamento nonché la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione agli artt. 115, 116 cpc e 2697 e 2698 cc, per essere totalmente carente le argomentazioni adottate dalla Corte territoriale sull’esclusione della natura ritorsiva del licenziamento e, in subordine, per non avere ammesso i mezzi istruttori formulati in relazione a tali questioni.
10. Con il terzo motivo si sostiene, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 e 3 cpc, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione e violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 91 e 132 cpc, per avere errato la Corte territoriale nell’avere disposto la parziale compensazione per 1/5 delle spese di lite, con riferimento alla fase sommaria, in assenza di motivazione e in violazione del criterio della soccombenza di cui all’art. 91 cpc.
11. Il ricorso principale non è fondato.
12. Il primo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
13. Sono senza dubbio inammissibili le doglianze prospettate anche in relazione alla sentenza di primo grado, confermata in appello sulle questioni oggetto di gravame, in quanto l’impugnazione, con un unico atto e con l’osservanza dei requisiti prescritti dall’art. 360 cpc, di sentenze di grado diverso pronunciate nella medesima causa è consentita unicamente se l’una investe una questione pregiudiziale e l’altra il merito (cfr. Cass. 15.9.2014 n. 19740, Cass. 4.1.2002 n. 69), ma non quando le stesse siano state emesse in procedimenti formalmente e sostanzialmente distinti e in relazione ai quali può essersi formato sui relativi punti della decisione un giudicato interno.
14. Con riguardo alla sentenza di secondo grado, la censura sul rigetto della richiesta di prova per testi è, invece, inammissibile perché la ricorrente non ha riportato, nel testo della doglianza, i capitoli di prova nella loro integrità onde consentire una corretta verifica in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 19985/2017; Cass n. 27415/2018).
15. E’ infondata perché i giudici di seconde cure hanno motivato, correttamente ed adeguatamente, sulle ragioni per le quali hanno ritenuto irrilevanti le prove articolate, specificando che le stesse erano finalizzate a dimostrare l’intervenuta organizzazione lavorativa e la soppressione della funzione precedentemente espletata dall’arch. L. presso la società terza distaccata e non presso la C.M. e C. CMC di Ravenna Soc. Coop.
16. Al riguardo, va richiamato l’orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 24679 del 2013) secondo il quale il ricorso per cassazione conferisce la giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalle legge.
17. Il secondo motivo non è meritevole di accoglimento.
18. Ai fini di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr. Cass. n. 25509 del 2014; Cass. n. 8294 del 2011).
19. Nel caso in esame la Corte territoriale ha evidenziato con chiarezza l’iter che ha seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo, quindi, per implicito quelle logicamente incompatibili con la opzione adottata.
20. Il terzo motivo è inammissibile perché non coglie nel segno della decisione in quanto la tutela ex art. 18 co. 4 della legge n. 300 del 1970 è stata riconosciuta non perché il fatto (esternalizzazione) non fosse sussistente, ma perché lo stesso riguardava la impresa terza distaccata e, quindi, era irrilevante non concernendo la effettiva datrice di lavoro dell’arch. L. (Cooperativa).
21. La doglianza, pertanto, non era pertinente alla ratio decidendi della sentenza gravata.
22. Il quarto, quinto e sesto motivo sono inammissibili.
23. Essi, infatti, riguardano la tematica del “repechage” che è stata, in sostanza, ritenuta assorbita dai giudici di seconde cure.
24. In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la censura che non è diretta contro una statuizione della sentenza di merito bensì su questioni in relazione alle quali il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che con riferimento a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (cfr. in termini Cass. n. 22095 del 2017; Cass. n. 23558 del 2014; Cass. n. 4804 del 2007).
25. Anche il ricorso incidentale va rigettato.
26. Il primo motivo è infondato.
27. La Corte territoriale ha correttamente applicato il principio secondo cui, nel rito cd. Fornero, il giudizio di primo grado è unico a composizione bifasica, con una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela del lavoratore, ed una seconda fase, a cognizione piena, che della precedente costituisce una prosecuzione, sicché non costituisce domanda nuova, inammissibile per mutamento della causa petendi, la deduzione di ulteriori motivi di invalidità del licenziamento impugnato (Cass. n. 27655 del 2017; Cass. n. 30443 del 2018).
28. Nel caso in esame, quindi, ben poteva essere valutata la circostanza della mancata conoscenza, da parte della società, delle iniziative assunte dalla lavoratrice nei confronti del potere politico, sebbene prospettate solo in fase di opposizione.
29. Quanto, poi, alla esclusione della natura ritorsiva del licenziamento, come ritenuto dai giudici di secondo grado, deve rilevarsi che si tratta di valutazione assunta sulla base di un apprezzamento di merito delle prove, insindacabile in sede di legittimità in quanto congruamente e logicamente motivato sulla base delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10484 del 2001; Cass. n. 5434 del 2003) e la censura sul punto si sostanzia unicamente in una difformità del suddetto apprezzamento rispetto a quello preteso dalla parte (cfr. Cass. n. 27162 del 2009; Cass. n. 6064 del 2008).
30. Il secondo motivo non merita accoglimento per le stesse ragioni di diritto riportate con riguardo al secondo motivo del ricorso principale.
31. Rileva il Collegio che la ratio decidendi adottata dalla Corte territoriale, per negare la natura ritorsiva del licenziamento, è chiara ed è fondata sulla esplicitata circostanza che, non essendo a conoscenza del datore di lavoro le iniziative intraprese dalla dipendente presso il potere politico, il provvedimento di recesso non poteva assolutamente essere messo in relazione a tale fatto.
32. Il terzo motivo è infondato.
33. La violazione dell’art. 91 cpc sussiste solo se si pongono, anche parzialmente, le spese di lite a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 12963 del 2007): ciò non è ravvisabile nel caso de quo.
34. Quanto alla parziale compensazione, che nella fattispecie è stata motivata in ragione del criterio della soccombenza prevalente, deve evidenziarsi che essa rappresenta esercizio del potere discrezionale del giudice di merito che non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass n. 30952 del 2017).
35. E’ opportuno, da ultimo, ricordare che, in tema di impugnazioni, sussiste il potere del giudice di appello di procedere di ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali quale conseguenza della pronuncia di merito, in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite (da ultimo Cass. n. 27606 del 2019), per cui ben potevano i giudici di seconde cure rimodulare le spese di tutte le fasi e gradi avendo riguardo all’esito di tutto il giudizio.
36. Alla stregua di quanto esposto, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.
37. La soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.
38. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia della ricorrente principale che di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto rispettivamente per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuti.
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