CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 gennaio 2019, n. 608
Licenziamento – Quadro – Appropriazione indebita di beni di proprietà aziendale – Grave inadempimento contrattuale – Violazione del vincolo di fiducia
Fatto
Rilevato che: con sentenza del 5.4.2017, la Corte di Appello di Catania, in accoglimento del gravame avverso la sentenza del Tribunale di Ragusa del 25.8.2015, rigettava la domanda di impugnativa del licenziamento intimato il 16.7.2014 a F.B. da Coop. S. S.p.A. (già I.S. SpA);
la Corte distrettuale osservava come la condotta di appropriazione indebita di beni di proprietà aziendale (45 pezzi di rosticceria assortita) da parte del lavoratore integrasse un grave inadempimento contrattuale, anche in ragione del ruolo ricoperto dal dipendente (di quadro aziendale) che necessitava di un più intenso vincolo fiduciario, dovendo fungere da esempio per gli altri lavoratori;
propone ricorso per cassazione F.B., affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, la società in epigrafe;
il PG ha depositato requisitoria, con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso in quanto tardivo;
entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod.proc.civ.;
Diritto
Considerato che:
risulta fondata e deve essere accolta l’eccezione formulata dalla controricorrente d’inammissibilità del ricorso per superamento del termine di 60 giorni previsto dall’art. 1, comma 62, della legge nr. 92 del 2012;
per giurisprudenza consolidata di questa Corte (ex plurimis, Cass. nr. 10927 del 2016), l’individuazione del rito applicabile e il conseguente giudizio sulla tempestività dell’impugnazione deriva dal necessario accertamento in concreto del rito applicato, anche erroneamente dal giudice di merito, in virtù del principio di ultrattività del rito;
nel caso di specie, la Corte di appello di Catania ha espressamente affermato che «all’udienza di discussione del 30 marzo 2017 la causa era posta in decisione, ai sensi dell’art. 1, comma 60, ultima parte della l. 92/2012» (pag. 3 della sentenza impugnata, ultima parte dello svolgimento del processo) ed osservato che il Tribunale «non aveva mai disposto il mutamento del rito, da quello cd. Fornero a quello ordinario del lavoro» (pag. 4, punto 2 della sentenza della Corte di appello di Catania);
per quanto innanzi, la tempestività dell’odierno ricorso va, dunque, valutata ai sensi dell’art. 1, commi 61 e ss, della legge nr. 92 del 2012;
risulta in atti attestazione telematica della cancelleria della Corte di Appello di Catania della comunicazione eseguita in data 5.4.2017 alle ore 13,40 nei confronti di «S. R.» (difensore costituto del ricorrente nel giudizio di appello) all’indirizzo di posta elettronica certificato «xxx»;
dalla medesima attestazione si evince che il «testo inviato con la PEC» ha avuto ad oggetto «Deposito sentenza – Pubblicazione» e reca la dicitura «Descrizione: “Depositata (Pubblicata) Sentenza nr.397/2017». Essa è riferita al Registro Numero di Ruolo Generale 740 del 2015, relativa alle parti Coop S. S.P.A. (indicato come «Ricorr. principale») e B. F. (indicato come «Resist. principale»);
da quanto precede si ricava, dunque, in maniera inequivoca che, in data 5.4.2017, veniva comunicato alle parti, in via telematica, il testo integrale della sentenza impugnata (circostanza peraltro neppure in contestazione);
pertanto, stante l’idoneità della comunicazione telematica della sentenza a far decorrere il termine di cui all’art. 1, comma 62, della legge nr. 92 del 2012 (in argomento, Cass. nr. 26479 del 2017; Cass. nr. 19177 del 2016; Cass. nr. 16216 del 2016; in motivazione, Cass. nr. 19505 del 2018) il ricorso, notificato in data 2.10.2017, va dichiarato inammissibile;
le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza; l’inammissibilità del ricorso determina la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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