CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 gennaio 2019, n. 655
Illegittimità del rapporto di lavoro a termine – Ripetizione della somma versata dal datore di lavoro – Esigibilità della somma lorda – Somme dalla stessa versate all’erario quale sostituto d’imposta – Obbligo del soggetto che ha effettuato il versamento a presentare istanza di rimborso – Ipotesi di errore materiale, di duplicazione e inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento – Il solvens non può ripetere dall’accipiens, più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito
Rilevato
– che con sentenza del 21 marzo 2017, la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Lucca, che aveva accolto l’opposizione proposta da B. M. nei confronti di P.I. S.p.A. avverso il decreto ingiuntivo che, a seguito della riforma della pronunzia sanzionatoria dell’accertata illegittimità del rapporto di lavoro a termine intercorso tra le parti, la Società aveva ottenuto dallo stesso Tribunale per la ripetizione della somma a tale titolo versata, opposizione essenzialmente mirata a contestare l’esigibilità della somma lorda, rigettava l’appello principale proposto dalla Società, inteso a censurare la pronunzia del primo giudice in ordine alla ripetibilità della somma netta ed accoglieva l’appello incidentale della M., volto ad ottenere la condanna della Società al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 32 I. n. 183/2010, individuata quale sanzione spettante a fronte della nullità del contratto a termine nella sentenza di condanna generica pronunziata dalla stessa Corte d’Appello di Firenze;
– che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto di dover aderire al principio di diritto accolto da questa Corte con la pronunzia n. 1464/2012;
– che per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la M.;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
Considerato
che, con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 602/1973 lamenta l’incongruità logica e giuridica della pronunzia della Corte territoriale che ha erroneamente ritenuto di poter individuare nella norma predetta il titolo legittimante il recupero da parte della Società datrice delle somme dalla stessa versate all’erario quale sostituto d’imposta;
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione della medesima norma di cui sopra, lamenta la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale per contrasto con l’orientamento espresso da questa Corte per il quale, alla stregua dell’invocata norma, sarebbe il dipendente legittimato a richiedere il rimborso delle ritenute IRPEF eseguite, come sostituto d’imposta ex art. 23 d.P.R. n. 600/1973 dal datore di lavoro, privato o pubblico sulle somme corrisposte; che , nel terzo motivo, la violazione e falsa applicazione ancora della medesima norma è prospettata in relazione all’omessa considerazione da parte della Corte territoriale di un quadro normativo che, mentre impedisce al sostituto d’imposta di accedere alla procedura di rimborso, se non nell’ipotesi di errore materiale, consente al sostituito di provvedere al recupero delle ritenute attraverso il meccanismo delle deduzioni dal reddito imponibile;
che, con il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 21, d.lgs. n. 546/1992, la Società ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale il non aver tenuto conto dell’inapplicabilità alla fattispecie di tale norma stante il suo carattere meramente residuale; che, tutti i motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, risultano infondati; l’art. 38 d.P.R. n. 602/1973 nel testo modificato dal d.lgs. n. 143/2005 prevede in via principale che sia il soggetto che ha effettuato il versamento a presentare istanza di rimborso e non solo in caso di errore materiale ma anche di duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, cosicché correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto il caso in esame rientrare nelle ipotesi di inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, posto che l’obbligo fiscale sorto da una sentenza (immediatamente esecutiva) poi riformata, secondo una fisiologica dinamica processuale, è venuto meno con effetto ex tunc (cfr., tra le altre, Cass. n. 6072/2012 e Cass. n. 8829/2007) a seguito della parziale riforma in appello (frutto peraltro della sopravvenuta I. n. 183/2010, art. 32), lasciando, così, impregiudicato il principio, peraltro più aderente alla peculiarità del rapporto di lavoro subordinato, per cui il solvens non può ripetere dall’accipiens, in ogni caso, più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito, principio sancito da Cass. n. 1464/2012 cui la Corte territoriale si è puntualmente richiamata e successivamente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 23093/2014);
che, pertanto, condividendosi la proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge, da distrarsi in favore degli avv.ti E.S. e A.G..
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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