CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 giugno 2021, n. 16749
Tributi – Accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa – Presupposti – Antieconomicità del comportamento del contribuente
Rilevato che
– L’Agenzia propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe, di rigetto dell’appello erariale relativo alla sentenza della Commissione tributaria provinciale di Treviso, che aveva accolto il ricorso della contribuente, esercente attività di costruzione di edifici, avverso l’avviso notificatole il 28 dicembre 2009, con il quale venivano induttivamente accertati a suo carico, per l’anno 2004, maggiori ricavi per euro 97.197,00, con conseguente recupero a tassazione di Irpeg, Irap e IVA non versati, oltre interessi e sanzioni, per complessivi euro 100.119,17;
– Il ricorso per cassazione è affidato a tre motivi.
– La contribuente, frattanto dichiarata fallita, è rimasta intimata;
– Si è costituito con controricorso G.C., già legale rappresentante pro tempore della omonima società a responsabilità limitata, deducendo l’avvenuta dichiarazione di fallimento di quest’ultima in data 15 febbraio 2013.
– Con istanza del 17 dicembre 2018 il sig. C.G. e la s.r.l. G.C. hanno dichiarato di volersi avvalere della definizione agevolata delle controversie tributarie ex art. 6 D.L. n. 119/2018 e hanno chiesto la sospensione del giudizio ai sensi del comma 10 del citato art. 6 del D.L. 119/2018.
– Con ordinanza 8 gennaio 2019 la Corte di Cassazione ha sospeso il processo ex art. 6 c. 10 del D.L. n. 119/2018 e rinviato la causa a nuovo ruolo.
– In data 27 agosto 2020 l’Agenzia Delle Entrate ha depositato istanza per la fissazione di udienza ai fini della dichiarazione parziale di estinzione del giudizio dichiarando, sulla base della comunicazione della Direzione Provinciale di Treviso, con nota del 13.7.2020, che il Sig. C.G. ha presentato domanda di definizione della controversia ex art. 6 D.L. n. 119/2018 risultata regolare mentre analoga domanda non è stata presentata dalla s.r.l. G.C.
Ha chiesto pertanto che nella stessa udienza venisse decisa la causa nei confronti della società.
– Analoga istanza di trattazione ex art. 6 del D.L. n. 119/2018 è stata presentata dall’avv. M. a nome del sig. C.G. e della s.r.l. G.C. in data 20 ottobre 2020. Ha ribadito l’istante che il sig. C.G. ha presentato domanda di definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti effettuando il versamento del dovuto in unica soluzione.
Al contrario la s.r.l. G.C. ha ritenuto di non aderire alla definizione delle liti fiscali pendenti e ha chiesto di trattare la controversia all’udienza fissata per la dichiarazione di parziale estinzione del giudizio.
– Il ricorso è stato discusso in camera di consiglio all’adunanza camerale del 20 gennaio 2021.
Considerato che
– Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 2967 c.c., per avere la Commissione tributaria regionale sostanzialmente ritenuto che “l’elemento dell’antieconomicità della gestione imprenditoriale non giustifichi l’emissione dell’atto impositivo anche se la stessa è reiterata nel tempo”.
– Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Commissione tributaria regionale reso una motivazione “del tutto carente”, non avendo il giudice indicato “gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento, ovvero il criterio logico e la ratio decidendi che lo ha guidato”.
– Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 4, la nullità della sentenza e del procedimento, per la violazione dell’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 112 c.p.c., avendo la decisione della Commissione tributaria regionale statuito su motivi di doglianza che non erano stati proposti ritualmente in sede d’appello, in tal guisa palesandosi extra petita.
– Mette in conto preliminarmente constatare che nel caso di specie, a fronte del procedimento notificatorio avviato dall’Agenzia in data 14 febbraio 2013, mediante consegna del plico col ricorso per cassazione, da parte dell’ufficiale giudiziario al servizio postale, nella successiva data del 15 febbraio 2013 la G.C. s.r.l. veniva dichiarata fallita.
– Giova affermare, ad avviso della Corte, il principio di diritto secondo cui: “L’intervenuta modifica dell’art. 43 l.fall. per effetto dell’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui stabilisce che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta l’interruzione del giudizio di legittimità tempestivamente intrapreso, mediante rituale avvio del procedimento notificatorio, con l’invio della copia del ricorso per il tramite dell’ufficio postale, quand’anche la notifica si sia perfezionata presso il destinatario in una data successiva alla pronuncia della dichiarazione di fallimento di quest’ultimo“.
– Invero, nell’ambito del giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (v. tra le tante Cass. n. 27143 del 2017; Cass. n. 7477 del 2017; Cass. n. 21153 del 2010).
– Va preliminarmente dichiarata la cessazione della materia del contendere con riferimento a G.C., che ha documentato il versamento in unica soluzione del quantum dovuto a seguito dell’adesione alla domanda di definizione agevolata delle controversie pendenti.
– Tanto premesso, i primi due motivi di ricorso, logicamente connessi, si prestano ad una trattazione unitaria, sono fondati e vanno accolti.
– Questa Corte ha già condivisibilmente chiarito che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, (metodo di accertamento applicabile per estensione analogica anche in materia IVA, ai sensi dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972: v. Cass. n. 26036 del 2015; cfr. pure Cass. n. 3197 del 2013 in motivazione) qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente; in tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti -, maggiori ricavi o minori costi, segnatamente rideterminando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (cfr. v. Cass. n. 7871 del 2012 e Cass. n. 26036 del 2015 cit.) e ciò indipendentemente dalla riscontrata regolarità formale delle scritture contabili, atteso che la grave incongruità o abnormità del dato economico esposto in dichiarazione priva le stesse scritture contabili di qualsiasi attendibilità (v. Cass. n. 20201 del 2010; Cass. n. 21167 del 2001, secondo cui in tema di IVA, la circostanza che un’impresa commerciale dichiari per più annualità un volume di affari di molto inferiore agli acquisti ed applichi modestissime – e, nel caso di specie, paradossalmente addirittura negative – percentuali di ricarico sui prodotti venduti costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare, da parte dell’Amministrazione, una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 (v. Cass. n. 3197 del 2013 cit.; Cass. n. 6929 del 2013; Cass. n. 14941 del 2013; Cass. n. 26508 del 2014).
– Nel caso di specie, l’ente impositore ha valorizzato situazioni che confliggono gravemente e intrinsecamente con i dati dichiarati dalla contribuente, minandone la credibilità, quindi assurgendo ad elementi concordanti suscettibili di far ritenere che siano stati emessi o iscritti dati non attendibili nella prescritta documentazione contabile dell’impresa, la cui consistenza patrimoniale rispecchiava un maggior volume di affari, indicativi di superiore capacità contributiva.
– Invero, l’Ufficio efficacemente poneva in rilievo la peculiare perseveranza della contribuente, nell’anno 2003 e nelle annate contigue, di un comportamento manifestamente antieconomico.
– Il perdurare delle situazioni di perdita, peraltro per importi anche ragguardevoli, per più periodi d’imposta consecutivi si palesava sintomatico, nella ricostruzione dell’ufficio, di una condotta antieconomica non giustificabile dall’analisi delle informazioni dichiarate.
– Dall’esame dell’avviso di accertamento era dato evincere, infatti, circostanze significative di una radicale inattendibilità dei dati indicati in dichiarazione, posto che irragionevolmente la società: per un verso, anziché ottenere un margine di guadagno, vendeva inspiegabilmente ed insistentemente sottocosto; per altro verso, applicava una percentuale di ricarico sui prodotti venduti addirittura nulla, come tale inidonea a consentire un pur esiguo margine di guadagno; per concomitante verso, benché sostenesse costi per la maggior parte riconducibili a lavori eseguiti da altre ditte nei cantieri di riferimento, inspiegabilmente si asteneva dall’applicare percentuali di ricarico mediamente in linea con i prodotti commerciati nel settore; per altro verso ancora, conseguiva reiteratamente ricavi inferiori ai costi sostenuti, in distonia con i criteri di ragionevolezza ed economicità che devono informare l’attività commerciale; per ulteriore verso, altresì, mostrava un risultato di esercizio persistentemente contrassegnato da una perdita sul conto economico, nonostante il settore non attraversasse in allora una fase di crisi o di stagnazione; per altro verso, infine conseguiva immotivatamente una percentuale di redditività costantemente e notevolmente inferiore ad imprese omogenee per settore di attività e volume d’affari.
– L’Ufficio legittimamente procedeva, pertanto, all’accertamento induttivo, dubitando della veridicità dei dati contabili dichiarati, posto che, una volta verificata l’impossibilità di conseguire un margine operativo netto positivo, si palesava ontologicamente controproducente, per l’imprenditore, proseguire un’attività che determina un saldo complessivo in perdita; difatti, un’impresa che evidenzi perdite di esercizio, sarebbe stata costretta ad uscire dal mercato; in buona sostanza, il fatto che la società contribuente abbia dichiarato un reddito in perdita per diversi anni consecutivi, rappresentava una condotta commerciale anomala, in contrasto con i principi di ragionevolezza anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento; tale condotta commerciale anomala si mostrava di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’ente impositore, una rettifica della dichiarazione.
– Del resto, la rilevanza dell’antieconomicità risiede sull’ovvia considerazione in base alla quale, chiunque svolga un’attività economica è indotto a ridurre i costi o a massimizzare i ricavi, a parità di tutte le altre condizioni; pertanto, in presenza di un comportamento non adeguatamente giustificato sul piano razionale, è legittimo concludere che l’incongruenza è soltanto apparente e che dietro ad essa si celi, in realtà, una diversa volontà, che è quella di omettere o di fornire dati non attendibili al fine di occultare una consistenza patrimoniale indicativa di maggiore capacità contributiva.
– Come sopra evidenziato, si evince, nello specifico, in capo alla società contribuente, in relazione agli immobili venduti, l’applicazione di una percentuale di ricarico costantemente negativa, quindi anomala in quanto, non tanto eccessivamente inferiore a quella praticata nel mercato di riferimento, ma addirittura inesistente.
– Orbene, l’orientamento di questa Corte è costante nel ritenere (v. da ultimo Cass. n. 27552 del 2018) che l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, desumibile anche da un unico elemento presuntivo, purché preciso e grave, quale appunto l’abnormità della percentuale di ricarico adoperata o, come nel caso che occupa, del tutto esclusa.
– La pronuncia in esame non si è adeguata al condiviso indirizzo di questa Corte, ritenendo preclusa la possibilità di ricorrere all’accertamento induttivo anche utilizzando un unico elemento indiziario, quale quello della percentuale di ricarico determinata dall’Ufficio (Cass. n. 26036 del 2015; Cass. n. 25217 del 2018; Cass. n. 27552 del 2018).
– Il percorso motivazionale della Commissione tributaria regionale contraddice, in altri termini, l’orientamento sedimentato di questa Corte secondo cui, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, l’Amministrazione finanziaria ben può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, su base presuntiva il reddito del contribuente (v. Cass. n. 27552 del 2018).
– Segnatamente, infatti, la Commissione tributaria regionale, lungi dal vagliare e confutare tutti gli elementi di fatto indicati dall’Agenzia delle Entrate a sostegno della antieconomicità dell’operazione posta in essere dalla contribuente, si è limitata a: insistere sulla regolarità delle scritture contabili (così pg. 5); negare apoditticamente che gli elementi addotti dall’Ufficio potessero “configurare presunzioni dotate dei requisiti di gravità precisione e concordanza” (testualmente primo cpv. pg . 6); escludere, senza meglio argomentare, l’applicabilità della percentuale media di ricarico del 20%, adottata dall’Ufficio in quanto correlata ai costi operativi dichiarati dalla società e riferibile alle imprese collocate nello stesso “range” di volume d’affari, evocando assiomaticamente la congruità dei ricavi dichiarati dalla contribuente rispetto “allo studio di settore specifico DU/760”; valorizzare a sostegno della ritenuta illegittimità della ripresa a tassazione – reputandola in tal guisa incongruamente imprescindibile, avuto riguardo al quadro delle regole sopra esposto, siccome interpretato da questa Corte – la mancata prova di “pagamenti in nero da parte della società all’amministratore”.
– Previa declaratoria di cessazione della materia del contendere tra l’Agenzia e G.C., il ricorso va in definitiva accolto nei confronti della G.C. s.r.l., in relazione ai primi due motivi di censura, assorbito il terzo, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Dichiara la cessazione della materia del contendere con riferimento alla posizione di G.C.; accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia, anche per la regolazione delle spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto.