CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 giugno 2021, n. 16757
Tributi – IVA – Credito indicato in dichiarazione – Mancata esposizione nella dichiarazione successiva – Decadenza – Esclusione
Rilevato che
– con la sentenza impugnata la CTR lombarda accoglieva parzialmente l’appello dell’Ufficio con ciò dichiarando in parte legittimo l’atto impugnato, avviso di accertamento per IRPEF, IVA, IRAP per l’anno 2006;
– ricorre a questa Corte la contribuente con atto affidato a dieci motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria;
Considerato che
– con il primo motivo la contribuente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello perché sottoscritto da persona diversa dal Direttore dell’Ufficio senza che del funzionario che lo ebbe a sottoscrivere sia stata prodotta delega ad hoc; tale motivo è stressamene connesso con il secondo mezzo di impugnazione con il quale si censura la sentenza gravata per violazione dell’art. 53, dell’art. 18 c. 3 e dell’art. 12 c. 3 d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione tutti all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per non avere la CTR, con l’omissione di cui sopra, dichiarato – nel difetto di tal sottoscrizione – l’inammissibilità dell’appello erariale;
– i motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono rispettivamente infondato il secondo e inammissibile il primo;
– costante è la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2138 del 25/01/2019; Sez. 5, Sentenza n. 27570 del 30/10/2018; Sez. 6 – 5, Decreto n. 15470 del 26/07/2016) nei gradi di merito del processo tributario gli uffici periferiti dell’Agenzia delle Entrate, secondo quanto previsto dalle norme del regolamento di amministrazione, adottato ai sensi dell’art. 66 del d.lgs. n. 300 del 1999, sono legittimati direttamente alla partecipazione al giudizio e possono essere rappresentati sia dal direttore, sia da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi per ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore, senza necessità di una speciale procura, salvo che ne sia eccepita e provata la non appartenenza all’ufficio ovvero l’usurpazione del potere;
– dal rigetto del secondo motivo deriva che la mancata pronuncia sulla questione di cui si è detto risulta comunque irrilevante in quanto pone un profilo il cui esame è privo di decisività; ne discende quindi necessariamente anche l’inammissibilità del secondo motivo;
– il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per avere la CTR pronunciato ultra petita statuendo la legittimità dell’accertamento induttivo impugnato quale tipologia accertativa, mentre la contribuente ne aveva solo contestato la pretesa come veicolata nel merito;
– il motivo è inammissibile;
– appare evidente dalla lettura del provvedimento impugnato che l’affermazione censurata con il motivo non costituisce ratio decidendi ma mero obiter dictum; sul punto questa Corte ha chiarito (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14444 del 05/06/2018) che il vizio di extrapetizione ricorre soltanto ove il giudice modifichi, a prescindere dalla richiesta delle parti, il petitum e/o la causa petendi, sicché lo stesso non sussiste in presenza di un obiter dictum, in quanto inidoneo ad incidere su tali elementi costitutivi della domanda giudiziale;
– di qui l’inammissibilità del motivo che risulta pertanto privo di collegamento con la ratio decidendi, consentendo alla stessa di rimanere indenne alla censura;
– il quarto motivo può esaminarsi unitamente al settimo ed all’ottavo motivo stante la stretta connessione che li avvince; con essi si denuncia rispettivamente (nel settimo motivo) sia la violazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 sia la violazione dell’art. 10 della L. n. 212 del 2000 (c.d. statuto dei diritti del contribuente) nel profilo in cui pone la questione relativa alla mancata valutazione della documentazione prodotta dal contribuente in sede di accertamento con adesione, sia (nell’ottavo motivo) la violazione sempre dell’art. 10 surrichiamato per non aver l’Ufficio rinotificato l’invito a produrre la documentazione, una volta notificato il primo invito durante il periodo estivo; la prima censura è formulata in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., la seconda in relazione all’art. 360 c. l n. 4 e all’art. 112 c.p.c.; la terza in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.;
– le censure hanno tutte per bersaglio l’erroneità della statuizione della CTR che ha ritenuto da un lato preclusa alla contribuente l’utilizzabilità della documentazione non prodotta a seguito di richiesta dell’Ufficio, e dall’altro lato non ha preso posizione sulla denunciata violazione da parte dell’Agenzia delle Entrate del principio di correttezza statutariamente previsto;
– i motivi possono esaminarsi congiuntamente, in quanto costituiscono frammentazione di una medesima censura; gli stessi sono infondati con le precisazioni che seguono;
– emerge dalla sentenza impugnata che la richiesta della documentazione della cui utilizzabilità si discute fu chiesta dall’Ufficio “nel mese di agosto allorquando (la contribuente n.d.r.) era in vacanza” (penultima pagina sentenza CTR, riga n. 3);
– a fronte di tal richiesta, rimasta senza riscontro, accerta ancora la CTR, è stato emesso l’atto impugnato; a tal atto la contribuente rispondeva proponendo istanza di accertamento con adesione;
– avevano luogo 6 incontri tra la parte e l’Ufficio e quindi “solo in occasione dell’ultimo avvenuto in data 6 maggio 2012” la contribuente produceva la documentazione “con ciò rendendo non possibile il controllo di numerose fatture passive da parte dell’Ufficio e, ancor meno, da parte della Commissione” (pag. 5 sentenza CTR, secondo periodo);
– a fronte di ciò secondo il giudice dell’appello “la documentazione prodotta dalla contribuente tardivamente potrebbe essere giustificata solo in risposta al questionario – che la stessa assume essergli stato notificato nel mese di agosto allorquando era in vacanza – mentre non lo è in sede di accertamento con adesione” (pag. 6 sentenza CTR primo periodo);
– pertanto, secondo la CTR, la produzione della documentazione avvenuta nel corso del contraddittorio ai fini dell’accertamento con adesione e dopo 6 incontri tra la parte e l’Ufficio, che poteva esser tempestiva in sede di risposta, ancorché tardiva, al questionario, risulta priva di rilevanza ove prodotta in sede di accertamento con adesione;
– in tal senso, la CTR ha fatto applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, accogliendo l’eccezione dell’Ufficio (pag. 3 terzo periodo sentenza CTR) che chiedeva dichiararsi tal documentazione inutilizzabile;
– il giudice dell’appello da un lato ha quindi in concreto ritenuto che la documentazione andasse prodotta in sede di risposta all’invito, e non in altra diversa e successiva sede, non risultando quindi ammissibile la produzione eseguita in sede di accertamento con adesione;
– la disposizione di riferimento risulta essere in questo caso l’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 per l’imposizione reddituale e il connesso art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972 quanto all’iva, il cui ultimo comma rinvia all’art. 32 ridetto il quale prevede che “le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta.
Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputa bile”;
– non rileva invece l’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 quanto alle imposte sul reddito né il corrispondente art. 52 c. 5 d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di iva secondo il quale “i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione“; esso prevede chiaramente come elemento essenziale della condotta che origina la preclusione quello della intenzionalità di non consentire l’esame della documentazione;
– infatti, tal ultima previsione sopra citata trova applicazione ai soli casi di ispezione, con ciò intendendo l’attività di esame e controllo svolta dai verificatori in sede di accesso presso il contribuente o in luoghi a questi collegati, al di fuori dell’Ufficio, non nei casi in cui i documenti sono richiesti con l’invio di apposita comunicazione o questionario ma senza introduzione e stazionamento per quanto necessario di personale dell’Amministrazione presso il soggetto sottoposto a controllo;
– ne deriva che risulta qui irrilevante la questione relativa alle modalità con le quali si è realizzata la produzione dei documenti, onde determinare sia stata o meno intenzionalmente diretta a sottrarre la documentazione all’ispezione e sia o meno, quindi imputabile al contribuente; si tratta della questione che la contribuente pone con il quarto motivo di ricorso (pagg. 27 – 28 dell’atto): in questo caso non vi è stato accesso o ispezione, ma semplice invio di richiesta dei documenti. La rilevanza dell’intenzione di sottrarre a ispezione i documenti è, come detto, esclusa;
– venendo quindi all’esame della modalità di richiesta della documentazione nel corso dell’estate, la Corte rileva come tale eccezione sia formulata genericamente, senza neppure trascrivere né produrre la richiesta notificata in estate e quindi senza render edotta la Corte della data precisa di notifica, del termine concesso al contribuente per la produzione dei documenti, di quali documenti erano interessati dall’invito ad esibirli formulato dall’Ufficio;
– va poi chiarito se nel presente caso la condotta dalla contribuente (che non ha adempiuto tempestivamente alla richiesta ma che ha comunque reso disponibili i documenti all’Ufficio nella fase procedimentale, anteriore al contenzioso e successiva alla notifica dell’atto impositivo) possa o meno qualificarsi come legittima quanto alla sede e al momento (successivo alla richiesta, rimasta concretamente senza riscontro) in cui è stata perfezionata; la contribuente pone la questione con il quarto motivo (pag. 27 secondo capoverso);
– la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento proprio alla mancata risposta all’invito a produrre documentazione rilevante ai fini del controllo, ha costantemente ritenuto avere rilievo ai fini della preclusione all’utilizzo, il solo mero fatto oggettivo della mancata trasmissione della documentazione. Qui il contribuente può superare l’inutilizzabilità se, con il ricorso, deduce (e poi ne fornisce prova nel corso del giudizio) che il mancato invio dipendeva da causa di forza maggiore. Non ha quindi nessun rilievo l’intenzionalità di cui si discute nell’altro caso sopra descritto, perché il rifiuto è integrato dal solo fatto del mancato invio (v. tra le tante Cass. 28049/2009; 5734/2016; 16106/2018; 16548/2018; 8405/2020; 3442/2021);
– dalla lettura della sentenza impugnata, poi, non risulta esser stata dedotta e comunque non risulta esser stata provata nel processo di merito la sussistenza di una causa di forza maggiore, che non può identificarsi unicamente nella mera generica circostanza, dedotta pure genericamente, di aver ricevuto la notifica dell’invito nel periodo estivo non potendo essa, espressa nei termini qui posti, adeguata circostanza impeditiva all’operare della preclusione all’utilizzo della documentazione richiesta e non consegnata in sede di invito;
– in ultimo, emerge dal ricorso a pag. 27 punto iii), la questione della necessaria informativa sulle conseguenze per il contribuente del mancato invio di quanto richiesto; la questione, peraltro, è inammissibile non risultando esser stata posta nei precedenti gradi di merito, risultando quindi nuova;
– ritiene infine la Corte opportuno enunciare il seguente principio di diritto: «in tema di accertamento tributario, occorre distinguere l’ipotesi in cui la richiesta dell’Amministrazione finanziaria di documenti al contribuente sia stata inviata mediante questionario, ai sensi dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette ovvero dell’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di Iva, da quella in cui sia stata avanzata, ex artt. 33 d.P.R. n. 600 del 1973 quanto all’imposizione reddituale e ex 52 d.P.R. n. 633 del 1972 quanto all’Iva, nel corso di attività di accesso, ispezione o verifica, atteso che – ferma sempre la necessità, in ogni ipotesi, che l’Amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale indicazione di quanto richiesto, accompagnata dall’espresso avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza – nel primo caso, il mancato invio nei termini concessi equivale a rifiuto, determinando l’inutilizzabilità della documentazione in sede amministrativa e contenziosa, salvo che il contribuente non dichiari, all’atto di produrre la suddetta documentazione con il ricorso, che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile, della cui prova è onerato; nel secondo caso, la mancata esibizione di quanto richiesto preclude la valutazione a favore del contribuente solo se si traduca in un sostanziale rifiuto di rendere disponibile la documentazione, incombendo la prova dei relativi presupposti di fatto sull’Amministrazione finanziaria»;
– il quinto e il sesto motivo sono incentrati sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c., dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 5 e 6 d. Lgs. n. 218 del 1997 per non aver la CTR riconosciuto come fatto non contestato che la documentazione prodotta (e non consegnata in risposta all’invito) costituisse prova dei normali costi di gestione; gli stessi sono formulati l’uno quale violazione dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., l’altro quale violazione dell’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c.;
– alla luce della decisione sui motivi che precedono, i motivi in esame sono infondati; la documentazione in parola, in quanto inammissibile, non costituisce elemento di fatto legittimamente introducibile nel processo e pertanto non si rende necessaria la sua contestazione nel merito di quanto riporta, poiché il contenuto ivi provato non può dedursi nella controversia e pertanto ad esso non può rispondersi con alcuna mancata contestazione, né con alcuna contestazione;
– con il nono motivo la ricorrente denuncia poi violazione e falsa applicazione dell’art. 55 d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR ritenuto precluso il recupero del credito IVA a seguito della mancata presentazione della dichiarazione;
– tale motivo è fondato;
– questa Corte ha più volte chiarito come (Cass. Sez. U, Sentenza n. 17757 del 08/09/2016; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1627 del 20/01/2017; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 19790 del 25/07/2018) in tema di IVA, ove il contribuente fruisca di un credito d’imposta per un determinato anno e lo esponga nella dichiarazione annuale, non perde il diritto alla sua detrazione se omette di riportarlo nella dichiarazione relativa all’anno successivo, atteso che la decadenza è comminata, giusta l’art. 28, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972 (ratione temporis vigente), soltanto per il caso in cui il credito (o l’eccedenza di imposta versata) non venga indicato nella prima dichiarazione utile, sempre che la detrazione sia esercitata, ex art. 8, comma 3, del d.P.R. n. 322 del 1998, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui in diritto è sorto;
– pertanto, nel ritenere del tutto precluso il riconoscimento del credito IVA, la CTR sul punto ha commesso errore di diritto; sotto questo profilo solo quindi la sentenza è cassata con rinvio, dovendo il giudice adito in seguito alla riassunzione del presente giudizio determinare, alla luce della documentazione legittimamente acquisita agli atti, la sussistenza o meno del credito e il rispetto, quanto al suo riconoscimento, della “cornice” biennale di cui alla giurisprudenza sopra citata;
– il decimo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 d. Lgs. n. 472 del 1997 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto dovute le sanzioni in capo alla contribuente;
– il motivo è infondato;
– deve premettersi che in questo caso non si discute di sanzioni per omesso pagamento dei tributi oggetto di dichiarazioni debitamente presentate, ma di sanzioni irrogate a seguito di rideterminazione officiosa del reddito e del volume d’affari del contribuente, a seguito di omissione della presentazione delle dichiarazioni; tanto si evince sia dalla sentenza impugnata, sia dagli atti di parte in questo giudizio di Legittimità;
– ciò posto, si osserva come questa Corte abbia anche di recente e in plurime occasioni confermato come (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 12901 del 15/05/2019) in tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi dell’art. 5 del d. Lgs. n. 472 del 1997 la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza;
conseguentemente, non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2139 del 30/01/2020);
– nel caso che ci occupa, la CTR ha accertato in fatto come le violazioni che hanno condotto all’accertamento e alla irrogazione delle sanzioni constavano nella mancata tempestiva presentazione delle dichiarazioni da parte del consulente incaricato (equiparandosi la dichiarazione presentata con ritardo superiore a 90 giorni a quella omessa – pag. 2 della sentenza impugnata);
– il caso quindi è ben diverso dalla fattispecie nella quale il consulente incaricato trae in inganno il contribuente, ad esempio consegnando a questi documentazione che poi si rilevi ideologicamente o materialmente falsa dalla quale si evinca, contro verità, la redazione della dichiarazione e il connesso versamento dei tributi, come espressamente si chiarisce in ricorso per cassazione (pag. 40 dell’atto), in quanto la contribuente “si era avveduta dell’omissione” da un lato, ma non ebbe mai a esser ingannata dal rag. Alaimo, sull’attività del quale “aveva fatto affidamento” (pag. 40 dell’atto, ancora);
– come è noto infatti, l’art. 3 del d.P.R. n. 435 del 2001 prevede al comma 10 che “la prova della presentazione della dichiarazione è data dalla comunicazione dell’Agenzia delle entrate attestante l’avvenuto ricevimento della dichiarazione presentata in via telematica direttamente o tramite i soggetti di cui ai commi 2-bis e 3, ovvero dalla ricevuta della banca, dell’ufficio postale o dalla ricevuta di invio della raccomandata di cui al comma 5”;
– e quanto all’adempimento degli obblighi dichiarativi questa Corte ha precisamente statuito che (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11832 del 09/06/2016) il contribuente non assolve agli obblighi tributari con il mero affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere in via telematica la dichiarazione alla competente Agenzia delle Entrate, essendo tenuto a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto, sicché la sua responsabilità è esclusa solo in caso di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento;
– poiché quindi nel presente caso il contribuente non ebbe mai a esercitare accuratamente il dovuto e non inesigibile controllo sul professionista delegato, la sua responsabilità per le sanzioni, sotto il profilo della colpa, non può escludersi non risultando sufficiente per mandarlo esente il dolo del delegato poiché ove egli ne avesse sorvegliato l’operato (quantomeno richiedendo copia delle ricevute di trasmissione delle dichiarazioni, adempimento certo non inesigibile in capo al contribuente anche del tutto sprovvisto di preparazione in materia tributaria e in caso negativo rivolgendosi ad altro consulente perché ponesse rimedio alla situazione) l’evento omissivo poteva scoprirsi e il contribuente poteva porvi rimedio rivolgendosi a migliore delegato per l’adempimento e sorvegliandone questa volta l’operato;
– e viceversa, ove a fronte delle richieste di consegnare copia delle ricevute, il consulente avesse fraudolentemente fornito documentazione falsa, allora necessariamente si doveva concludere per l’inapplicabilità delle sanzioni difettando in tal caso anche l’elemento soggettivo della colpa in capo al contribuente;
– ne deriva che la CTR sul punto ha correttamente pronunciato;
– conclusivamente va accolto il solo nono motivo di ricorso; i restanti motivi sono rigettati;
– in accoglimento del motivo di cui si è detto la sentenza è cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame nel rispetto dei principi sopra illustrati e limitatamente al motivo accolto;
P.Q.M.
Accoglie il nono motivo di ricorso; rigetta i restanti motivi cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.