CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 luglio 2020, n. 14972

Lavoro – Consigliere di amministrazione – Rapporto di lavoro subordinato – Modalità di organizzazione dell’attività

Rileva che

All’esito di accertamento risalente al giugno 2008 l’I.N.P.S. riteneva che i rapporti di lavoro subordinato intervenuti tra la S.r.l. P.C. ed i soci ed amministratori T.R. e P.W. non potessero configurarsi come tali, disponendo perciò l’iscrizione di questi ultimi nella gestione del commercio, avverso la quale i predetti insorgevano davanti al giudice del lavoro di Parma, il quale con sentenza n. 449/24-11-2011 in accoglimento del ricorso depositato il 12 gennaio 2009, dichiarava illegittima la contestata iscrizione degli istanti P. e T. nell’elenco degli esercenti attività commerciale gestito dall’ente previdenziale, per l’effetto accertando che allo stesso nulla era dovuto a tale titolo; l’I.N.P.S., anche in nome e per conto della società di cartolarizzazione S.C.C.I. S.p.a. interponeva gravame avverso la suddetta pronuncia, quindi accolto dalla Corte d’Appello di Bologna, che con sentenza n. 671 del 16 maggio – tre luglio 2013, in riforma dell’impugnata decisione, rigettava le domande degli opponenti, accogliendo invece la domanda riconvenzionale a suo tempo spiegata da parte convenuta con la condanna del T. al pagamento di euro 14.790,oo nonché del P. al pagamento di identica comma, oltre accessori, dichiarando peraltro compensate tra le parti le spese relative ad entrambi i gradi del giudizio di merito; contro tale decisione d’appello in data tre luglio 2014 hanno proposto ricorso per cassazione i sigg. T.R. e P.W., in proprio e quali legali rappresentanti di P.C. S.r.l., con due motivi. L’I.N.P.S., in proprio e quale mandatario dell’anzidetta S.C.C.I., è rimasto intimato, essendosi limitato soltanto a depositare procura speciale a favore dell’avv. A.S. ed altri;

Considerato che

con il primo motivo parte ricorrente ex art. 360 n. 5 c.p.c. ha denunciato omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che aveva formato oggetto di discussione tra le parti: sull’alterità tra la posizione di consigliere di amministrazione e di lavoratore subordinato di essi T. e P., avuto riguardo all’essenziale circostanza inerente alla gestione collegiale dell’attività, in capo al consiglio di amministrazione, di cui oltre ad essi ricorrenti faceva parte un ulteriore consigliere. Infatti, l’impugnata pronuncia, lungi dall’aver preso in considerazione anche la documentazione relativa alle deliberazioni del consiglio di amministrazione, senza nemmeno chiarirne le ragioni, aveva espressamente richiamato dichiarazioni testimoniali da cui, ictu ocuii, viceversa emergeva che vi era diversità tra la posizione di amministratori dei sigg. T. e P. e la loro posizione di dipendenti (T., P. e R., componenti del c.d.a., si riunivano nel punto vendita per decidere sul da farsi), circostanza essenziale, che se fosse stata coerentemente e adeguatamente valutata dalla Corte distrettuale, avrebbe dovuto condurre alla conferma della statuizione di primo grado. Quanto alle deposizioni testimoniali, la Corte territoriale aveva tralasciato di considerare il fatto decisivo, attestante le modalità di organizzazione dell’attività presso la S.r.l. P.C., mentre dalla succinta motivazione della pronuncia impugnata si evinceva che il giudice di secondo grado aveva omesso di esaminare l’essenza stessa della posizione rivestita dai suddetti T. e P. in seno alla società. Inoltre, il contenuto delle delibere del consiglio di amministrazione (varie tra il 31 ottobre 1995 ed il sei aprile 2006) pur risultando inerente all’essenza della discussione tra le parti, non era entrato minimamente a far parte del processo valutativo seguito dalla Corte territoriale, che infatti ai suddetti documenti non aveva dedicato nemmeno una riga;

con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., è stata, inoltre, denunciata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2697 e 2094 c.c., avuto riguardo, in particolare, all’onere probatorio nella specie a carico dell’Istituto previdenziale, e non già di parte opponente, onere peraltro da non potersi considerare soddisfatto in base al materiale raccolto dall’organo verbalizzante, tenuto altresì conto della posizione sostanziale assunta dalle parti. Di conseguenza, l’I.N.P.S., sebbene convenuto in giudizio, era da ritenersi gravato degli oneri di deduzione e di prova, che invece per la generalità dei casi l’ordinamento pone a carico di parte attrice. L’ente previdenziale, quindi, nella specie non era stato in grado di fornire alcun supporto alla pretesa negazione della qualificazione subordinata dei rapporti intercorsi tra la società P.C. ed i sigg. T. e P., qualificazione ex art. 2094 c.c. che secondo la citata giurisprudenza non poteva negarsi anche nel caso di coesistenza, in campo al medesimo soggetto, delle posizioni di amministratore e di lavoratore dipendente, attesa la loro compatibilità giuridica. Nel caso in esame, invece, era stata fatta applicazione dell’erroneo principio, secondo cui la gestione collegiale dell’attività da parte del consiglio di amministrazione avrebbe impedito a taluni componenti del medesimo organo la possibilità di intrattenere, nello stesso tempo, anche un rapporto di lavoro subordinato con la stessa società; tanto premesso, il ricorso va disatteso per le seguenti ragioni;

invero, quanto al primo motivo, non risulta omesso l’esame di alcuna rilevante e decisiva circostanza fattuale da parte della competente Corte di merito, la quale, mediante adeguata motivazione, ancorché stringata e concisa, ha chiaramente tenuto conto della situazione prospettatale, accertando l’insussistenza nella specie del preteso assoggettamento da cui derivavano i formalizzati rapporti di lavoro subordinato dei due soci e amministratori rispetto alla società, il cui consiglio di amministrazione risultava per giunta composto in maggioranza dagli stessi T. e P., che peraltro con lo stesso ricorso de quo dichiarano espressamente di agire non solo in proprio, ma anche quali legali rappresentanti della stessa P.C. S.r.l. (società questa che tuttavia, sia dalla sentenza impugnata che dal ricorso per cassazione, non risulta aver partecipato ai due gradi del giudizio di merito), tenuto conto di quanto riferito dai testi N., L., T. e V.

Pertanto, la Corte bolognese ha del tutto correttamente osservato come la circostanza che gli appellati esercitassero, oltre all’attività inerente al rapporto gestorio, un ulteriore tacere esecutivo, in favore della S.r.l., abituale e continuativo, secondo quanto dagli stessi allegato ed in base pure a quanto emerso dall’espletata istruttoria, giustificava l’iscrizione alla gestione commercianti e non quella al f.p.l.d. per difetto dell’elemento della subordinazione. Ogni altro rilievo in relazione all’anzidetto primo motivo appare, quindi, del tutto inconferente, avendo la Corte di merito con adeguata motivazione, non inferiore al c.d. minimo costituzionale richiesto a norma degli artt. 111 Cost. e 132 n. 4 c.p.c., accertato in punto di fatto, quindi insindacabilmente in questa sede di legittimità, l’insussistenza della subordinazione di cui all’art. 2094 c.c., pretesa dai due ricorrenti (del resto, come si evince dalle pagg. 2 e 3 del ricorso in parola, dal 9 ottobre 1987 gli attuali ricorrenti subentrarono nella compagine sociale rilevando le quote di uno dei due originari soci. Successivamente, il 12 febbraio 1988 venne assunto come macellaio specializzato il P. e il 9 aprile 1992 con la qualifica di quadro il T.

Costoro, poi, dal 25 ottobre 1994, entrarono a far parte del consiglio di amministrazione, inizialmente composto da sei membri, poi ridotti a tre dal 20 marzo 2000 con l’uscita degli altri soci che cedevano le loro quote il 19.4.2000, ricoprendo inoltre gli stessi ricorrenti le cariche di presidente e vice presidente della società). Dunque, la dedotta gestione collegiale della società, da parte del consiglio di amministrazione (formato da tre componenti, dei quali due erano gli attuali ricorrenti) unitamente al collaterale e pur distinto impegno operativo dei predetti in ambito aziendale non comporta affatto come necessaria conseguenza la natura subordinata ex art. 2094 c.c. di quest’ultimo, secondo quanto al riguardo prospettato dai predetti, ma non riscontrata in concreto dalla Corte di merito, che perciò la escludeva;

parimenti, anche per quanto sopra osservato, appare altresì inconferente ed infondato il secondo motivo, visto che in primo luogo dall’impugnata pronuncia non risulta alcuna indebita inversione dell’onere probatorio, siccome disciplinato dall’art. 2697 c.c., essendosi limitata la Corte di merito ad operare le sue valutazioni di competenza in proposito sulla scorta delle testimonianze comunque acquisite agli atti del processo, dalle quali ha quindi desunto la carenza di congrui elementi di cognizione in termini di assoggettamento e di subordinazione nei sensi di cui all’art. 2094 c.c., senza peraltro neanche far cenno alle risultanze dell’accertamento amministrativo di giugno 2008 in forza del quale l’I.N.P.S. aveva escluso la sussistenza dei pretesi rapporti di lavoro subordinato (v. d’altro canto Cass. lav. n. 14965 del 6/9/2012, secondo cui nel giudizio promosso dal contribuente per l’accertamento negativo del credito previdenziale, incombe all’INPS l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva, che l’Istituto fondi su rapporto ispettivo. A tal fine, il rapporto ispettivo dei funzionari dell’ente previdenziale, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria, quando esprime gli elementi da cui trae origine -in particolare, mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi- restando, comunque, liberamente valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori);

pertanto, anche in punto di diritto l’impugnata pronuncia appare immune di errori, risultando conforme al richiamato principio affermato da questa Corte con la sentenza n. 7465 pubblicata il 21/05/2002, secondo cui la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è in astratto compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, sempre che il vincolo della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio – dirigente alle direttive ed al controllo dell’organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci, concreto assoggettamento tuttavia nella specie non riscontrato dalla Corte di merito (v. in senso conforme anche Cass. I civ. n. 706 del 21/01/1993). Ne deriva che la contestata iscrizione, disposta dall’I.N.P.S., risulta altresì coerente con quanto affermato da Cass. lav. n. 10426 del 2/5/2018, secondo cui in tema di contributi previdenziali, qualora il socio amministratore di una società a responsabilità limitata partecipi al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, ha l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti, mentre, qualora si limiti ad esercitare l’attività di amministratore, deve essere iscritto alla sola gestione separata, operando le due attività su piani giuridici differenti, in quanto la prima è diretta alla concreta realizzazione dello scopo sociale, attraverso il concorso dell’opera prestata dai soci e dagli altri lavoratori, e la seconda alla esecuzione del contratto di società sulla base di una relazione di immedesimazione organica volta, a seconda della concreta delega, alla partecipazione alle attività di gestione, di impulso e di rappresentanza;

pertanto, il ricorso va respinto, senza peraltro doversi disporre alcunché in ordine alle spese, nonostante la soccombenza di parte ricorrente, poiché l’I.N.P.S. si è limitato a depositare (anche nell’interesse della S.p.a. S.C.C.I.) l’anzidetta procura speciale, ma non svolgendo alcuna effettiva attività difensiva;

atteso l’esito negativo dell’impugnazione, sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115/02.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.