CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 maggio 2019, n. 12774
Rapporto di lavoro – Assunzioni agevolate – Benefici contributivi – Fallimento – Trasferimento di azienda – Mobilità dei lavoratori – Prova
Rilevato che
Il giudice del lavoro del Tribunale di Alessandria respinse l’opposizione avanzata dalla Nuova Casa di Cura S.A. avverso la cartella esattoriale concernente il credito di € 447.763,58 vantato dall’Inps a seguito di disconoscimento del diritto ai benefici relativi alle assunzioni agevolate di cui alla legge n. 223/1991; la Corte d’appello di Torino (sentenza del 28.5.2013) ha rigettato l’impugnazione proposta dalla Nuova Casa di Cura S.A. dopo aver evidenziato che a seguito del fallimento della Casa di Cura S.A. si era avuto tra la curatela fallimentare e la s.r.l. Nuova Casa di Cura S.A. un effettivo trasferimento di azienda per effetto del quale i lavoratori avevano continuato a lavorare nella stessa struttura, svolgendo le stesse attività, per cui la loro messa in mobilità si era rivelata funzionale esclusivamente ad un passaggio di tutto il complesso ad una nuova proprietà, che ne aveva continuato la gestione imprenditoriale, con la conseguenza che correttamente il primo giudice aveva escluso il diritto della ricorrente alla fruizione degli sgravi di cui trattasi;
per la cassazione della sentenza ricorre la Nuova Casa di Cura S.A. s.r.l. con un solo motivo, cui resiste l’Inps con controricorso;
Considerato che
con un solo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge e l’errata applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 8 della legge 223/1991, con particolare riferimento ai commi 2, 4 e 4 bis, nonché in relazione agli artt. 4, 24, 25, comma 9, della stessa legge ed in relazione all’art. 2112 del codice civile con riferimento all’art. 47, comma 5, della legge 428/1990, oltre che l’errata motivazione su un punto decisivo della controversia; in concreto, la ricorrente imputa alla Corte d’appello di aver trascurato l’importanza assunta nella vicenda in esame dell’intervenuto fallimento della Casa di Cura S.A., posto che era stata la curatela fallimentare a licenziare i lavoratori e a porli in mobilità, per cui mancava qualsiasi obbligo per la società che aveva acquistato l’azienda in sede fallimentare (vale a dire essa ricorrente) di assumere i lavoratori che avevano prestato la loro attività in favore della società a suo tempo fallita; ne conseguiva l’applicazione della disposizione di cui all’art. 8, comma 4, della legge 223/91 in base alla quale il beneficio della riduzione della contribuzione spetta al datore di lavoro che, senza esservi tenuto ai sensi del comma 1, assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di mobilità;
in definitiva, secondo la ricorrente, doveva accertarsi il suo diritto a godere del beneficio di cui all’art. 8, commi 2 e 4, della legge n. 223/1991, in assenza di qualsivoglia preclusione al riguardo, ivi compresa la preclusione di cui al comma 4 bis della predetta disposizione, con conseguente diritto all’annullamento dell’opposta cartella di pagamento, risultando illegittimo il verbale di accertamento da cui essa traeva causa; il motivo è infondato;
invero, al riguardo questa Corte ha già avuto occasione di pronunziarsi affermando (Cass. Sez. Lav., sentenza n. 18402 del 20.9.2016) che <<Il riconoscimento dei benefici contributivi previsti dall’art. 8, commi 2 e 4, della l. n. 223 del 1991, in favore delle imprese che assumono personale licenziato a seguito di procedura di mobilità ex artt. 4 e 24 della stessa legge, presuppone che sia accertato che la situazione di esubero sia effettivamente sussistente e che l’assunzione di detto personale da parte di una nuova impresa risponda a reali esigenze economiche e non concreti condotte elusive finalizzate al solo godimento degli incentivi, sicché il diritto ai benefici va escluso ove tra le due imprese sia intervenuto un contratto di affitto del complesso dei beni aziendali, idoneo a configurare un trasferimento di azienda che, ai sensi dell’art. 2112 c.c., importa la continuazione dei rapporti di lavoro con l’acquirente, non avendo rilievo il disposto dell’art. 47, comma 5, della l. n. 428 del 1990, che, nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. in caso di trasferimento di azienda in crisi, disciplina la posizione contrattuale dei lavoratori nel passaggio alla nuova impresa, senza aver riguardo agli aspetti contributivi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva escluso la fruibilità degli sgravi da parte di un’impresa che, stipulato un contratto di affitto con un’azienda fallita, aveva prima assunto i lavoratori in cassa integrazione con contratti a tempo determinato e, poi, a meno di un anno, a tempo indeterminato prelevandoli dalle liste di mobilità)>>;
si è, altresì, statuito (Cass. Sez. Lav., sentenza n. 10428 del 27.4.2017) che <<In tema di sgravi contributivi, ai fini di ottenere l’applicazione dei benefici previsti dall’art. 8 della l. n. 223 del 1991, nell’ipotesi di cessione d’azienda, è onere del datore di lavoro fornire la dimostrazione degli elementi di novità intervenuti nella struttura societaria e delle significative integrazioni apportate al complesso originario per consentire a quello ceduto di svolgere autonomamente la propria funzione produttiva; né rileva che la cessione sia avvenuta nell’ambito di una procedura fallimentare, in quanto il fallimento della società non determina, di per sé, il venir meno del bene giuridico “azienda” inteso come complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell’esercizio dell’impresa>>;
tra l’altro, la circostanza che il passaggio dei beni sia avvenuto nell’ambito di una procedura fallimentare è del tutto irrilevante, giacché irrilevanti sono le finalità perseguite dal cedente, siano esse quelle dell’incremento dell’attivo fallimentare o della continuazione dell’attività di impresa. Ciò che rileva è che il fallimento della società non determina di per sé il venir meno del bene giuridico «azienda» inteso come complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell’esercizio dell’impresa, e dunque la possibilità di una sua cessione nell’ambito di un regolare contratto di vendita o affitto di azienda (Cass. 23/6/2001, n. 8621);
inoltre, è onere della parte che intende valersi degli sgravi fornire la prova dei presupposti per la sussistenza del beneficio, poiché il diritto può essere riconosciuto solo ove si accerti che in concreto sussista una diversità oggettiva tra le due imprese: la ritenuta mancanza di prova in ordine al «passaggio dei beni ulteriori rispetto all’insegna e al contratto di locazione dei locali dove si svolgeva l’attività di impresa» non può ridondare in danno dell’istituto previdenziale, essendo piuttosto onere dell’impresa cessionaria dimostrare gli elementi di novità intervenuti nella struttura (così Cass. n. 8800/2001, cit., e Cass. 12589/1999, cit.), in presenza di significativi elementi di permanenza della preesistente struttura aziendale;
orbene, la Corte di merito si è attenuta ai suddetti principi nel motivare il proprio convincimento in ordine alla insussistenza del diritto vantato dall’appellante al conseguimento degli sgravi contributivi di cui trattasi, avendo adeguatamente spiegato quanto segue:- In data 25.2.2006 il Tribunale di Casale Monferrato aveva dichiarato il fallimento della Casa di Cura S.A. srl; la curatela fallimentare aveva stipulato, a decorrere dall’1.5.2006, contratto d’affitto d’azienda con S. srl che aveva assunto i 49 dipendenti in forza presso la fallita Casa di Cura e ne aveva continuato l’attività sino al 23.11.2006; in costanza di contratto d’affitto la proprietà dell’azienda era stata aggiudicata, a seguito di pubblico incanto, alla Nuova Casa di Cura S.A. s.r.l. che presentava assetti societari sostanzialmente coincidenti con quelli della S. s.r.l., essendo quest’ultima partecipata al 100% dal socio unico Casa di Cura Città di Bra che, a sua volta, risultava essere socio di maggioranza al 55% anche di Nuova Casa di Cura S.A. srl; in data 23.11.06, avendo la S. dichiarato di non volere proseguire l’attività, il curatore fallimentare aveva licenziato i lavoratori ed il giorno successivo (24.11.06) li aveva posti in mobilità; l’opponente aveva iniziato la propria attività il 27.11.2006, assumendo 34 lavoratori tra quelli provenienti dalla Casa di Cura S.A. e transitati in S. srl, i quali avevano continuato a svolgere le medesime mansioni e a mantenere il medesimo inquadramento giuridico ed economico loro riconosciuto in pendenza del precedente contratto di lavoro; era pacifico che il negozio traslativo era intercorso tra il Fallimento e la Nuova Casa di Cura S.A. srl, mentre doveva escludersi che si fosse mai concluso un rapporto giuridico diretto tra le due società, per cui non trovava applicazione il disposto del comma 4 bis dell’art. 8 della legge n. 223/91; quindi tra il Fallimento e la s.r.l. Nuova Casa di Cura S.A. si era verificato un effettivo trasferimento di azienda; invero, dopo la retrocessione dell’azienda dalla S. al Fallimento (avvenuta il 23.11.06 allorquando la stessa S. aveva deciso di non voler proseguire l’attività), i lavoratori erano stati messi, dapprima, in mobilità nel giorno seguente e, poi, riassunti in parte tre giorni dopo, cioè il 27.11.06, dalla Nuova Clinica S.A. che si era aggiudicata il complesso aziendale a seguito di incanto, sin dal 29 settembre precedente; era altresì pacifico che tali lavoratori avevano continuato a lavorare nella stessa struttura, svolgendo le stesse attività, per cui la loro messa in mobilità si era rivelata funzionale esclusivamente ad un passaggio di tutto il complesso ad una nuova proprietà, che ne aveva continuato la gestione imprenditoriale;
tale motivazione, articolata su presupposti di fatto pacifici ed immune da vizi di carattere logico-giuridico, in quanto sviluppata sulla base dei principi di legittimità sopra richiamati, si sottrae alle censure odierne, per cui il ricorso va rigettato;
le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo;
la ricorrente va, altresì, condannata al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 10.200,00, di cui € 10.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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