CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 maggio 2020, n. 8923
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza – Motivazione – Richiamo per retationem ad altra sentenza di altra CTR – Vizio di motivazione – Nullità sentenza
Rilevato che
1. con sentenza n. 10/03/12, la Commissione tributaria provinciale di Milano respinse i ricorsi (riuniti) proposti da L. Italiana Spa (in seguito: «L.», poi incorporata da C. Spa) e dai suoi amministratori dell’epoca P.B. e F.M.M.G., avverso gli avvisi di accertamento, loro rispettivamente notificati, che recuperavano a tassazione IRES, IRAP, IVA, per l’annualità 2005, maggiori ricavi in capo alla società, nonché a tassazione IRPEF, per l’annualità 2006, maggiori redditi personali degli amministratori, all’esito di una verifica fiscale a carico di L. da cui erano risultati costi indeducibili (euro 350.000,00, euro 200.000,00 ed euro 375.000,00) perché correlati a operazioni inesistenti o prive del requisito dell’inerenza, quali corrispettivi di contratti stipulati con P. Sas, con M. Spa e con la società inglese D. Ltd.;
2. interposto appello dai contribuenti, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, nel contraddittorio dell’Amministrazione finanziaria, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il gravame, sulla base di queste considerazioni:
(a) il costo di euro 350.000,00 (rilievi nn. la e lb), contabilizzato dalla L. nel 2005, si riferisce alla fattura n. 3 del 14/12/2005, emessa dalla P. di C.B. & C. Sas, per prestazioni scaturite da un contratto di associazione in partecipazione concluso con la L., che l’AF aveva ritenuto inesistenti in quanto detta P. Sas era priva delle risorse umane e tecniche necessarie a compiere, a favore di L., prestazioni d’importo così significativo. Pe un verso, la società contribuente, limitandosi a sostenere l’effettività delle prestazioni, senza fornire alcun elemento di riscontro, idoneo a confutare le risultanze della verifica (quali, ad esempio, la mancanza, da parte di P. Sas, di una struttura anche elementare e persino di un’utenza telefonica), non aveva dato la prova contraria capace di contrastare il rilievo fiscale, poggiante su elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. Per altro verso, le deduzioni, poste a base della censura del difetto del presupposto impositivo, sollevate da B. e G. – ai quali, secondo la prospettazione dell’ufficio, attraverso un complesso schema di cessione di partecipazioni societarie, doveva essere imputato pro quota l’importo di euro 350.000,00 corrisposto da L. a fronte della fattura n. 3/2005 – avevano formato oggetto di altri ricorsi, avverso gli avvisi di accertamento ai medesimi indirizzati in qualità di soci di altre società (R. s.s. e I. s.s.), sui quali erano intervenute le sentenze della CTP di Milano nn. 11 e 12/03/2012, confermate in sede d’appello, con sentenza della CTR n. 27/06/2013, le cui argomentazioni, in tema di assoggettamento ad imposta di redditi correlati ad una plusvalenza che, seppure realizzata nel 2005, era stata denunciata nel 2006, erano pienamente condivisibili;
(b) il costo di euro 200.000,00 (rilievi nn. 2a e 2b), contabilizzato da L. nel 2005, riguardante la fattura n. 477, emessa da M. Sistema di Consulenze Integrate Spa, era stato legittimamente ripreso a tassazione per difetto d’inerenza, in mancanza di allegazione, da parte della società contribuente, di documentazione atta a comprovare la natura, la qualità e la quantità dei servizi di consulenza;
(c) il costo di euro 375.000,00 (rilevi nn. 3a e 3b), contabilizzato da L. nel 2005, riconducibile a due fatture emesse dalla inglese D. Ltd., era stato legittimamente ripreso a tassazione in ragione dell’accertata natura di fronting company (società di facciata) attribuibile alla compagine estera che (apparentemente) avrebbe effettuato, a favore della contribuente, le prestazioni concernenti la produzione, la vendita e il marketing.
3. i contribuenti ricorrono per la cassazione della sentenza, con cinque motivi; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
Considerato che
1. con il primo motivo del ricorso [1. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, del DPR n. 600/73, in relazione all’art. 360 n. 3 del c.p.c.], i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere erroneamente riconosciuto la natura induttiva degli accertamenti, nei confronti di L. Spa (poi incorporata da C. Spa) e di G. e B., laddove in realtà si era trattato di accertamenti analitici aventi ad oggetto i rapporti economici tra L. Spa e P. Sas e tra quest’ultima e G. e B., il che configura il vizio di ultrapetizione e di falsa applicazione (agli atti impositivi) dell’art. 39, comma 1, cit.;
1.1. il motivo, nella sua complessa articolazione, è infondato;
in primo luogo, in punto di violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., si rileva che la CTR non è incorsa nel dedotto vizio di ultrapetizione perché, senza discostarsi dal petitum dell’appello e senza pronunciarsi su profili estranei al perimetro della controversia, ha dichiarato di condividere la decisione di primo grado che ha riconosciuto la legittimità degli atti impositivi;
con riferimento al dedotto vizio di falsa applicazione dell’art. 39, primo comma, cit., è dato rilevare che la CTR – a prescindere dall’impreciso riferimento all’accertamento «induttivo» di maggiori redditi, anziché all’accertamento «analitico-induttivo», quale aspetto del tutto irrilevante nella prospettiva del controllo di legalità della sentenza impugnata devoluto a questa Corte – ha correttamente affermato che l’accertamento ex art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600/1973, poggia su elementi presuntivi, per poi aggiungere, alla stregua di una valutazione di merito, incensurabile in sede di legittimità, che i contribuenti non avevano fornito prove idonee a contrastare la fondatezza dei rilievi fiscali;
2. con il secondo motivo [2. Nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, c.p.c. per omessa/illogica motivazione ai sensi dell’art. 36, n. 4 del D.Lgs 546/92], i ricorrenti premettono che, nei ricorsi avverso gli avvisi n. T9M010200442 e n. T9M010200490, relativi all’annualità 2006, diretti rispettivamente a G. e a B., avevano fatto valere la nullità degli avvisi, per mancanza del presupposto impositivo, in quanto le vicende oggetto del contenzioso tributario si erano svolte nel 2005 e l’Agenzia delle entrate di Milano aveva erroneamente individuato nel 2006 l’anno in cui le società semplici R. e I. non avrebbero dichiarato la plusvalenza conseguita per effetto della cessione di partecipazioni, e, conseguentemente, l’ufficio di Cremona aveva imputato il reddito di partecipazione ai predetti soci, in relazione alla medesima annualità (2006);
imputano, quindi, alla CTR: (a) di avere confuso detta eccezione di nullità dell’accertamento, diretto rispettivamente a G. e B., con la diversa doglianza (che non era stata riproposta come motivo d’appello) secondo cui la ripresa a tassazione di euro 350.000,00, a carico della società, contravveniva al divieto di doppia imposizione ex art. 163, t.u.i.r.; (b) di non avere esposto le ragioni per le quali era stata condivisa la decisione di primo grado che aveva rigettato la sopra citata eccezione di nullità degli avvisi; (c) di non avere indicato per quale motivo una plusvalenza realizzata, nel 2005, da una società – R. s.s. – che non aveva dichiarato redditi nel 2005 e nel 2006, possa essere riferita dall’Agenzia al 2006; (d) che la pretesa inversione dell’onere della prova, in relazione alla circostanza che la somma erogata da L. a P. Sas fosse pervenuta a G. e a B., per l’attività svolta in azienda, si basava sul «falso» presupposto che gli accertamenti fossero stati emessi ai sensi dell’art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600/1973;
2.1. il motivo è fondato;
la sentenza della CTR è viziata da carenza assoluta di motivazione nella parte in cui afferma la legittimità dell’imputazione prò quota a B. e G., per l’annualità 2006, della plusvalenza realizzata da R. s.s. nel 2005, senza minimamente dare conto delle ragioni che giustificano un simile convincimento, limitandosi a richiamare per retationem altra sentenza della CTR lombarda, la n. 27/06/13, avverso la quale pende ricorso in cassazione (recante RG n. 22486/2013), trattato all’odierna adunanza camerale;
l’accoglimento di tale profilo di critica è assorbente rispetto alle altre censure in cui si articola il complesso mezzo d’impugnazione.
3. con il terzo motivo [3. Nullità, ex art. 360, c. 1, nn. 3 e 4 c.p.c. per violazione di legge: A) Violazione dell’art. 37 comma 3, DPR 600/73; violazione dell’art. 2697 del c.c., violazione dell’art. 112 del c.p.c., violazione dell’art. 57 del D.Lgs. 546/92; B) Motivazione contraddittoria in violazione dell’art. 36 del D.Lgs. 546/92], i ricorrenti deducono di essere stati soci, con quote del 30% (B.) e del 70% (G.) della R. s.s., la quale aveva ceduto una partecipazione del 33,33% nella P. s.s. che, a sua volta, possedeva il 100% della P. Sas di C.B. & C., la quale aveva conseguito proventi per euro 1.500.000,00 attraverso contratti di associazione in partecipazione stipulati con L. Spa, C. Spa e M. Scarl; aggiungono che R. s.s. e I. s.s. avrebbero compensato la plusvalenza da vendita di partecipazione con minusvalenze di cui l’ufficio, negli atti di accertamento, aveva sostenuto il carattere fittizio, senza darne prova (in violazione dell’art. 2697, cod. civ.);
riferiscono che, secondo la tesi dell’Amministrazione finanziaria, vi sarebbe stata un’interposizione fittizia delle società semplici (P. Sas, P. s.s., R. s.s., I. s.s.) tra L. Spa e C. Spa (da una parte) e gli stessi B. e G. (dall’altra) e che questi ultimi avrebbero percepito, attraverso lo schermo rappresentato dalle società semplici, i compensi erogati dalle società di capitali;
aggiungono, testualmente, che: «i ricorrenti hanno obbiettato che l’Ufficio non ha tratto le conseguenze codificate dall’art. 37, comma 3, del DPR 600/73 che testualmente recita […]» (cfr. pag. 14 del ricorso per cassazione); addebitano alla CTR di non avere preso posizione su tale specifica censura dell’atto impositivo, incorrendo nel vizio di cui all’art. 112, cod. proc. civ.;
da un ultimo punto di vista i ricorrenti censurano la contraddittorietà della motivazione della sentenza, per avere affermato che si era in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti, laddove, invece, una volta accertata la simulazione, relativa, emergono le operazioni effettive, dissimulate, e si ripristina il rapporto giuridico reale, intercorso tra L./C., da una parte, e G. e B., dall’altra;
3.1. il motivo, nella sua complessa articolazione, è in parte infondato e in parte inammissibile;
3.1.1. in primo luogo, in punto di violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., si rileva che la CTR non è incorsa nel dedotto error in procedendo perché, senza discostarsi dal petitum dell’appello e senza omettere di pronunciare su alcuni profili di quest’ultimo, ha dichiarato di condividere la decisione di primo grado che ha riconosciuto la legittimità degli atti impositivi, con ciò, implicitamente, disattendendo tutte le censure rivolte dai ricorrenti alla sentenza impugnata;
3.1.2. in secondo luogo, la censura in punto di violazione dell’art. 57, proc. trib., è inammissibile in quanto non risulta essere stata dedotta nel giudizio di merito; al riguardo è opportuno ricordare che, secondo l’orientamento pacifico di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 26/03/2012, n. 4787). Il contribuente, per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 16/06/2017, n. 15029; 31/01/2006, n. 2140); tutto ciò, nel caso di specie, non è accaduto;
3.1.3. infine, il dedotto vizio di contraddittorietà della motivazione della sentenza, si appalesa inammissibile, alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 7/04/2014, nn. 8053 e 8054), per il quale: «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.»; onde, a seguito della riforma del 2012 – proseguono le sezioni unite – scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata;
le Sezioni unite, inoltre, hanno precisato che: «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione).» (Cass. sez. un. 3/11/2016, n. 22232);
nella controversia tributaria in esame, una motivazione esiste, in quanto la CTR ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto legittimi i recuperi fiscali nei confronti della C. (per quanto attiene, invece, al diverso aspetto delle omissioni della sentenza rilevazione agli avvisi personali diretti a B. e G., vedi supra § 2.);
4. con il quarto motivo [Nullità ex art. 360, n. 4, c.p.c. per mancata, insufficiente e/o erronea motivazione in relazione ai rilievi 2a e 2b – Ripresa di costi non inerenti per euro 200.000,00 ex art. 109 del TUIR e art. 14, comma 4-bis della L. 537/93, nonché recupero IVA per euro 40.000,00], i ricorrenti premettono che, nel 2005, L. aveva stipulato con M. Sistema di Consulenze Integrate Spa un contratto di consulenza e di assistenza, verso un corrispettivo di euro 200.000,00, oltre IVA, come da fattura n. 477 del 13/12/2005; soggiungono che il relativo costo era stato ripreso a tassazione a causa della genericità della fattura (nella quale si faceva riferimento a «prestazioni professionali svolte»), priva dell’indicazione della natura, della qualità e della quantità dei servizi oggetto dell’operazione, in violazione del disposto dell’art. 21, del d.P.R. n. 633/1972;
imputano alla CTR di avere affermato «per mero pregiudizio e contro ogni regola processuale in materia di prove» (cfr. pag. 22 del ricorso per cassazione), che «la circostanza che il costo in questione fosse confluito come componente di reddito della M. (con gli effetti in tema di divieto di doppia imposizione che vi sono correlati), pur presumibile, non risulta suffragata da alcun riscontro circa l’effettiva tassazione, ancor più necessario trattandosi di società coinvolta in illeciti tributari di rilievo penale.» (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), il che comportava un’illegittima inversione dell’onere della prova e introduceva, in motivazione, il riferimento a non meglio precisati procedimenti penali a carico di M., ai quali C. Spa era del tutto estranea;
5. con il quinto motivo [Nullità ex art. 360, n. 4, c.p.c. per mancata, insufficiente e/o erronea motivazione in relazione ai rilievi 3a e 3b – contabilizzazione e dichiarazione di costi a fronte dì operazioni inesistenti per il contratto stipulato con D. Ltd.], i ricorrenti censurano la motivazione «totalmente generica e priva di qualsiasi fondamento.» (cfr. pag. 26 del ricorso per cassazione) della sentenza impugnata, in relazione alla ripresa a tassazione IRES, IRAP, dell’importo di euro 375.000,00, che L. avrebbe corrisposto a D. Ltd., a fronte di due fatture relative ad un contratto stipulato tra le due società il 16/12/2004, in quanto la decisione della CTR poggia esclusivamente sulle affermazioni dell’Amministrazione finanziaria, che il giudice d’appello ha condiviso, secondo cui, da uno scambio d’informazioni con le autorità fiscali del Regno Unito, era risultato che detta società estera era soltanto una fronting company, ossia una «società schermo/di facciata»;
5.1. il quarto e il quinto motivo, da esaminare congiuntamente perché postulano un’identica questione giuridica, sono infondati;
si denuncia, in sintesi, la nullità della sentenza per l’assoluta carenza motivazionale circa le ragioni dei recuperi fiscali dei costi di cui alle fatture M. e D.;
tali doglianze sono prive di fondamento in quanto, come già precisato (cfr. § 2. della narrativa), il giudice d’appello ha espresso, con sufficiente chiarezza, le ragioni del proprio convincimento, sicché non si riscontra quell’impercettibilità della ratio decidendi che riduce la motivazione a pura apparenza e vizia di nullità la sentenza (Cass. 06/03/2018, n. 5197, che richiama Cass. sez. un. n. 22232/2016, cit.):
6. in conclusione, accolto il secondo motivo di ricorso e rigettati gli altri, la sentenza è cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo, il terzo, il quarto e il quinto motivo, cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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